Del resto chi sceglie di fare il poeta (o il filosofo) sceglie la solitudine, altrimenti non potrebbe sentire le parole “vere” e distinguerle da quelle false di cui è pieno il mondo. Solitudine e silenzio sono gli elementi del poeta. — Roberto Carifi

Dal Bianco Stefano

Il suono della lingua e il suono delle cose: Stefano Dal Bianco su “Trame di letteratura comparata”

Il suono della lingua e il suono delle cose: Stefano Dal Bianco su “Trame di letteratura comparata”

Non è vero che viviamo in un mondo vuoto. Oppure è vero, ma dicendo così non si è fatta abbastanza chiarezza sulla vera natura del nostro malessere: il nostro mondo è fatto male non perché sia privo di significati, ma perché di significati ce n’è troppi. Siamo bombardati dai significati, tutti i giorni, tutte le ore della nostra vita. Passiamo il tempo a interpretare i segni che il mondo ci scaraventa contro, interpretiamo tutto, psicologizziamo tutto e tutti, tutto si trasforma in sapere, tutto ciò che non è riducibile a uno qualunque dei saperi codificati tende a non esistere, perde ogni diritto di cittadinanza. Importa solo ciò che è dicibile, classificabile, scambiabile. E non ha molta importanza la qualità dei significati in questione: che siano effimeri oppure no, il meccanismo è lo stesso.Da questo punto di vista non c’è nessuna differenza tra un varietà televisivo, un libro di Habermas o di Cacciari e, al limite, una funzione religiosa o una musica new age: tutto è dominato dai significati. Io credo che si possa guardare alla storia della società occidentale (non conosco bene le altre) come alla storia della progressiva invadenza dei significati sulle altre modalità di percezione del mondo (modalità anti-ermeneutiche). Credo che l’angoscia di Leopardi di fronte al dominio del commercio “spiritualista” del suo tempo, o, a ritroso, la polemica di Petrarca contro l’aristotelismo, appartengano al medesimo ordine di discorso: siano due tappe della presa di coscienza, da parte di alcuni, dell’enorme posta in gioco nella battaglia secolare tra le istanze mentalistiche (e utilitaristiche) connesse all’uso dei saperi e le istanze, sempre perdenti perché costitutivamente anti-autoritarie, che puntavano allo sviluppo sociale delle facoltà percettive legate ai corpi. Questa è anche la storia mefitica del declino sociale della poesia, che dopo Dante si è dovuta arroccare in difesa dei sensi, della percezione soggettiva (psicologia), oppure svendere in qualità di ancella di qualche sapere o potere. La cosiddetta poesia civile, quella più implicata con il mondo dei significati, ha poco senso perché nel migliore dei casi ci dice ciò che già sappiamo, e questo mi pare un compito ben povero per [...]

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