Datemi solitudine ma non lasciatemi sola. — Mariella Bettarini

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Appunti: Il bozzolo del grande fiore [Flavio Ermini]

Appunti: Il bozzolo del grande fiore [Flavio Ermini]

Clicca sull’immagine per leggere, scaricare e stampare il volume su Issuu. 1. L’oggetto da decifrare La mia lingua si fa prossima al morfismo onirico, dove la corrente del razionale è spostata ai margini del campo emotivo. Qui le connessioni scalari sono quasi del tutto sciolte e danno modo alla materia di essere accolta dalla nominazione. Ogni mia parola è una goccia di china che cade in un’acqua purissima. E subito si torce. Scava tane scure. Libera la sua forza. È solare e lunare. E s’inabissa ancora e si perde. Una nuova goccia segue la prima. Altre sono disposte intorno. Ogni parola sembra farsi spazio nella compattezza dell’oggetto da decifrare. Deve incrinare l’unità del cristallo per potersi dare una natività. Latens non è soltanto ciò che tarda a manifestarsi. È anche ciò che vincola: l’allarme percettivo del contenuto preverbale, che fa segno alla lingua dall’interno di una lingua muta. Tutte le cose si tengono insieme, ma l’oscurità permane sul vincolo che le lega e impedisce loro di liberare il non detto. Conta il movimento della progressione più che la posizione raggiunta? il distendersi del tempo più che il suo contenuto? il volo dell’accensione più che la costrizione del senso?

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Ritratto di poeta come organismo animale primitivo

Clicca sull’immagine per leggere il volume su Issuu     RITRATTO DI POETA COME ORGANISMO ANIMALE PRIMITIVO Omaggio a James Joyce e a Dylan Thomas   La grande porta del possesso L’esteriorità diviene l’usurpatrice dell’interiorità, mentre l’apparente immediato ha ormai la meglio su quanto richiede tempo per manifestarsi: il transitorio vince sul persistente. In questo scenario, l’uomo è l’adoratore di cose che sono in continuo aumento. Il suo desiderio smisurato di possesso è portato in tutte le direzioni. La passione per la quantità restringe la possibilità di una scelta, e discernere diventa sempre più difficile. Il nostro tempo è fatto di continue prese sul circostante: allunga mani ovunque: tenta l’appropriazione, ne sente l’esigenza. Tutto entra per la grande porta del possesso, oltre la quale lo spazio è la vetrina dell’accostamento più disparato. Quanto allo spirito, l’uomo sa di progredire più nell’impoverimento che nella conquista.

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Il suono della lingua e il suono delle cose: Stefano Dal Bianco su “Trame di letteratura comparata”

Il suono della lingua e il suono delle cose: Stefano Dal Bianco su “Trame di letteratura comparata”

Non è vero che viviamo in un mondo vuoto. Oppure è vero, ma dicendo così non si è fatta abbastanza chiarezza sulla vera natura del nostro malessere: il nostro mondo è fatto male non perché sia privo di significati, ma perché di significati ce n’è troppi. Siamo bombardati dai significati, tutti i giorni, tutte le ore della nostra vita. Passiamo il tempo a interpretare i segni che il mondo ci scaraventa contro, interpretiamo tutto, psicologizziamo tutto e tutti, tutto si trasforma in sapere, tutto ciò che non è riducibile a uno qualunque dei saperi codificati tende a non esistere, perde ogni diritto di cittadinanza. Importa solo ciò che è dicibile, classificabile, scambiabile. E non ha molta importanza la qualità dei significati in questione: che siano effimeri oppure no, il meccanismo è lo stesso.Da questo punto di vista non c’è nessuna differenza tra un varietà televisivo, un libro di Habermas o di Cacciari e, al limite, una funzione religiosa o una musica new age: tutto è dominato dai significati. Io credo che si possa guardare alla storia della società occidentale (non conosco bene le altre) come alla storia della progressiva invadenza dei significati sulle altre modalità di percezione del mondo (modalità anti-ermeneutiche). Credo che l’angoscia di Leopardi di fronte al dominio del commercio “spiritualista” del suo tempo, o, a ritroso, la polemica di Petrarca contro l’aristotelismo, appartengano al medesimo ordine di discorso: siano due tappe della presa di coscienza, da parte di alcuni, dell’enorme posta in gioco nella battaglia secolare tra le istanze mentalistiche (e utilitaristiche) connesse all’uso dei saperi e le istanze, sempre perdenti perché costitutivamente anti-autoritarie, che puntavano allo sviluppo sociale delle facoltà percettive legate ai corpi. Questa è anche la storia mefitica del declino sociale della poesia, che dopo Dante si è dovuta arroccare in difesa dei sensi, della percezione soggettiva (psicologia), oppure svendere in qualità di ancella di qualche sapere o potere. La cosiddetta poesia civile, quella più implicata con il mondo dei significati, ha poco senso perché nel migliore dei casi ci dice ciò che già sappiamo, e questo mi pare un compito ben povero per [...]

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