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Ore dorate
Francesco Dalessandro 2008, pag. 32 Il Labirinto |
Il dono dell’amore fa dono di sé. Altro non necessiterebbe dire di questo esile libriccino, cosi minuto e serrato nell’azzurro della sua copertina. Nel primo quarto a sinistra Ruggero Savinio, un tocco di colore e di oro, quasi una finestrella aperta sul mondo. È, il bravissimo pittore, un amico di vecchia data degli intellettuali che facevano capo ad Arsenale, storica rivista letteraria romana, a metà degli anni ’80, di cui fu redattore – con Gianfranco Palmery, allora direttore e ora editore de Il Labirinto – il poeta che qui presentiamo. La finestrella di Savinio è in sé già prefazione al libro.
Lo sguardo. E come un nodo che ritrova i capi e si stringe in sé, la poesia di Dalessandro è un volo ronzante, all’apparenza deviante, che parte da un punto fermo, da un osservatorio – in genere da una finestra, appunto – e che poi si ritrova facendo tesoro del raccolto: visioni e parole in pugno, quasi un segreto. Sguardo che annusa e arraffa e fruga e pesca basso, nel bianco e nero della memoria e che nell’andare si gonfia di sé come una nuvola. E’ un paesaggio naturale e dell’anima ciò che scova e saccheggia: dalle ombre vive o defunte del piccolo giardino – microuniverso pulsante, vivaio operoso e complice compagno esistenziale – all’orizzonte disegnato dal crinale del Pineto davanti casa, su una Roma mai nominata, ma appena appena accennata con un tocco d’inchiostro. Una scrittura morbida e sensuale che apre e chiude, sottolinea e tralascia. Una scrittura elegante che non urla ma sottace, passa veloce e lascia una scia che resta a noi segreta. Poi si raccoglie e si ritrova nella vegetazione delle erbe e dei cuori.
L’eleganza degli affetti consueti, chiusa nella discrezione delle stanze private, sta appesa come un abito di lino sgualcito ma proprio per questo più prezioso; sta nella foto di anni or sono, quella scattata – ti ricordi? – da un passante, tanto per essere almeno ripresi una volta insieme, in coppia… La coppia. L’affanno dell’amore strappato alla noia e goduto. I suoni sordi e accaldati delle casse toraciche aperte sulla verde frescura del giardino, che viva, con le sue creature, e rigogliosa e profumata, s’intreccia con la figura dei due amanti nei loro interni: vita rampante unita ai palpiti e alle aritmie di chi la cura e la vigila. Amore con amore. L’intreccio è botanico, biologico. Sì, l’amore va curato come un giardino, ripulito, medicato, rinnovato, nutrito e difeso.
L’amore è un atto creativo continuo e come un’opera d’arte ha qualcosa di divino se si salva. Amore domestico, il più caro e il più costoso, quello che si fa tessuto del tuo corpo, della tua vita, che poggia la testa nel nido della tua storia, l’arruffa e la rinverdisce. Nessun clamore ma ordinario splendore nel decoro del lessico, così intimo e intenso e discreto. Un parlare fra noi, un dirsi senza spiegare che già ci siamo capiti. La calma, l’attesa, l’impazienza, il tempo del confronto, l’abbandono, i ritorni, le offese e le ferite, le perdite, i risarcimenti, le carezze e i baci. L’arte del ricamo ma anche del rammendo. La somma delle complicità e delle differenze. Le luci e le ombre. Ed ecco brillare nella penombra la carne, ecco gli affondi e, ancora dopo tanti anni, le moine, i vezzi del corteggiamento e le pause e i suoni accorti della presenza quotidiana, la tenerezza che si vizia delle abitudini rassicuranti ma che sa sorprenderci con improvvisi colpi di coda. Vita coniugale: uno spaccato, anzi sette, sette lustri di vita, sette poesie incantevoli.
E Francesco Dalessandro le dona a sua moglie, a Dora, nei giorni del loro anniversario. E la sposa lancia il suo bouquet a noi. E alla fortuna di chi lo raccoglie.
Simonetta Melani, “Erba d’Arno”, n. 112-113 prim.-estate 2008