Andrea Zanzotto su “Cuore” di Beppe Salvia

di Andrea Zanzotto

beppe salviaÈ di straordinario interesse la collezione che si è inaugurata a Roma con l’editore Rotundo, perché ci presenta i migliori poeti giovani – veramente giovani anche per il salto qualitativo che fanno verso nuove forme – che hanno trovato il loro primo punto di incontro nelle riviste semi-clandestine “Braci” e “Prato Pagano”, che si pubblicano a Roma. Si è parlato di “scuola romana” di poesia: direi che questi autori ne rappresentano una frazione abbastanza inquietante e lontana da quella che era la classificazione della scuola romana, gravitante, mettiamo, intorno a nomi come Dario Bellezza o simili. Certo la ricchezza e l’intensità dell’esperienza, in questi autori, è innegabile ed anche la straordinaria profondità dell’impegno poetico.

Di Beppe Salvia, bisogna dire che purtroppo ha scelto… Scelto è parola sciocca: si è tolto la vita, insomma, a 31 anni. È stato un grande dolore per tutti, quando si è saputo che era scomparso.

In questo libriccino viene data la sintesi della poesia di Beppe Salvia, che si è fatta subito notare per una straordinaria limpidezza dello spalancarsi di una potenza e di un’unità lirica. Tutto resta preso come in un abbraccio di una sconcertante luce, che da una parte sorregge e dall’altra, però, crea un inquietante sfondo di allontanamento. Il titolo dato a questa sua raccolta, “Cuore”, è volutamente provocatorio, in un certo senso. Non so se sia stato dato dai redatoori che hanno curato questa pubblicazione postuma, o se Salvia avesse già ordinato queste carte con un titolo simile. Il fatto è che la sua poesia, che ha una luce di giovinezza e di alba e nello stesso tempo qualcosa, appunto, di terribilmente teso verso lontananze imprendibili, lascia una parola lacerata, fra gli uomini, e la volontà di riprendere contatto con il “cuore” del mondo. Un tema che si potrebbe dire romantico, in fondo; ma non è così, perché si potrebbe avvicinare la poesia di Salvia persino alle tormentate e oltranzistiche indicazioni dell’ermetismo di Calogero, il grande poeta scomparso parecchi anni fa, anch’egli in modo tragico. C’è, comunque, nella poesia di Salvia, una ricchezza anche di momenti veramente liberatori, come in questa poesia:

viva le lunghe ore della scuola

il banco celeste come il cielo
serviva a non guardare la lavagna

viva le povere ore di malinconia
viva quel tuo mugugno

viva la veste bianca e le bugie

viva la via deserta tutta
fiocchi bioccoli
lanugine di giugno

Ma la parte realmente preponderante, che è quella con una forte tensione tragica, viene data in componimenti più lunghi, che spesso hanno la caratteristica di sonetti o pseudo-sonetti, e poi hanno delle variazioni numerose intorno agli stessi temi: una specie di ribuii, una specie di tumulto di variazioni.

la mia cultura è poca e la mente fioca,
non ho conosciuto regole e leggi e nessuno
dell’ordine dell’universo m’ha insegnato
ad amare la sua natura grande
e umile. Ho offeso con la mia stupidità
la legge della vita, l’infinita innocenza
della sua crudeltà. Adesso ho un cuore
nobile ma la mia carne è pietra.

Così, con poesie tutte di livello molto alto, di una piena consapevolezza del valore della parola lirica, e direi al di là della lirica stessa, sullo sfondo della tragicità, si caratterizza l’opera del compianto Beppe Salvia, sul quale, certamente, ci si augura che si debba puntare l’attenzione dei critici.

(Trascrizione da Radio Della Svizzera Italiana – Lugano, Rete 2, “Pagina Culturale”, del 23 giugno 1988)

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