…la funzione del poeta è quella di interpretare il proprio tempo… in un periodo così chiuso creativamente, il poeta autentico riesce a vedere i germi del nuovo. In parte il poeta fa il mondo, aiuta gli altri a diventare persone, a prendere coscienza di se stessi… — Patrizia Cavalli

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Biblet & C.: come ti cambio l’editoria senza cambiare gli editori

  Non è stato affatto difficile scegliere l’argomento d’apertura di questa nuova rubrica domenicale che ho chiamato Poernet: vocabolo ibrido che unisce le parole poesia ed internet, con un sottile e implicito riferimento fonetico al porno – “la voglia della voglia” secondo la definizione che ne diede Carmelo Bene – necessariamente oggetto di indagine, vista la natura dell’argomento. L’annuncio della nascita dei due nuovi e-Book store tutti made in italy – Edigita e Biblet – ha fatto il giro del web – e non solo. Un po’ meno ha circolato la notizia di innumerevoli altre pioneristiche iniziative nate anche molti anni fa, quando ancora Bernabé (AD Telecom) confondeva un e-book reader con un portafotografie e la principale occupazione dei maggiori gruppi editoriali era escogitare nuovi modi di esigere aiuti statali secondo quanto prestabilito dalle regole del libero mercato vigenti («Gli editori continuano a investire, ma si sentono abbandonati dal governo», poverini!). Ebbene: questi stessi personaggi appaiono oggi come i padri della tanto attesa (almeno 10 anni) rivoluzione dell’editoria italiana, il corrispondente made in Italy del rivoluzionario Amazon americano (1994). Ora, considerando il fatto che i cinque più grandi gruppi editoriali in questione detengono da soli il 60% della quota di mercato totale (Mondadori: 28,4%; RCS: 12,6%; GEMS: 9,3%; Giunti: 5,8%; Feltrinelli: 4%), e considerando l’abisso temporale di “soli” 16 anni che ci separa da Amazon, più che “congratulazioni!” bisognerebbe dire “era ora!”. Rivoluzionari? Padri? Pionieri? Ma chi?! Ma dove?! Dov’è l’innovazione? Dove il coraggio, l’avventura, la fatica, il rischio, la voglia di cambiare le cose, la sfida? Un pioniere la rivoluzione la fa, non la subisce. Qui, invece, ci troviamo di fronte a dei colossi economico-editoriali che hanno atteso l’acqua alla gola prima di cominciare ad annaspare, mentre i veri pionieri sono lì, in compagnia dei loro sogni e con le tasche vuote, in attesa di finanziamenti statali  già predestinati ad altri e che non arriveranno mai.


Stefano Dal Bianco: Ritorno a Planaval

Stefano Dal Bianco: Ritorno a Planaval

Ritorno a Planaval Stefano Dal Bianco 2001, 120 p. Mondadori (collana Lo Specchio) Dalla quarta di copertina di Pier Vincenzo Mengaldo: Stefano Dal Bianco è un uomo che si guarda vivere ad ogni istante ostinatamente, dolorosamente. E pensa a se stesso, col correttivo di affetti familiari nitidamente detti, come a una virtualità. Da ciò due aspetti salienti del suo libro: la forma di diario, o diario spezzato, e il continuo esprimersi al condizionale. Ma il “diario” è costruito con continue transizioni fra una prosa essenziale di micro-eventi (ma né “poetica” né sapienziale) e una poesia scandita liberamente: spesso all’interno dello stesso testo, con effetti quanto mai suggestivi di chiusura e distensione, inediti nella poesia d’oggi. E se l’introspezione è l’atteggiamento fondamentale del libro, quell’io però è collocato in ambienti precisi, sempre visti un po’ di sbieco, che possono ridursi alla casa, a una stanza, a una finestra. In fin dei conti, domina il contrasto epocale fra città e “natura”, che Dal Bianco si limita a porre senza dar risposte (come deve fare la poesia); e non è che la città non possa spremere minime gocce di felicità, anche se la libertà sta altrove. Dal Bianco non è un poeta “ideologico”. Neppure si chiude alla speranza che – diceva Kafka – esiste in misura infinita ma non per noi. Ed ecco che le immagini più ricorrenti sono quelle “contemplative” della luna e dell’azzurro, ora piene ora offuscate.   Questo poeta così notevole non assomiglia a nessun suo confratello d’oggi, anzitutto perché non ha alcuna fretta. La parsimonia e la concentrazione non sono in lui che la faccia operativa della serietà della sua introspezione.     Articolo 19, Aprile 2002, di Lorenzo Buccella : “Il ritmo è ciò che resta dopo che si è buttata via la zavorra del rumore del mondo”. L’affermazione di Stefano Dal Bianco, poeta padovano (nato nel 1961), forse meglio di altre rappresenta una sorta di “cartello stradale” per orientarci nella lettura delle sue poesie. Ed in particolare, dell’ultima raccolta Ritorno a Planaval che ha visto un autore della generazione di mezzo (quella dei quarantenni) approdare alla pubblicazione per [...]


Maurizio Cucchi: Vite Pulviscolari – una nota di Roberto Maggiani

Maurizio Cucchi: Vite Pulviscolari – una nota di Roberto Maggiani

Vite Pulviscolari Maurizio Cucchi 2009, 105 p., brossura Mondadori (collana Lo Specchio)   La scrittura di Maurizio Cucchi incuriosisce, attira, adagio delinea al lettore un mondo materico fisicamente ruvido, abrasivo, in cui “Far fruttare anche il minimo gesto”. Cucchi si occupa dei singoli aspetti inerenti la realtà empirica secondo sue proprie prospettive universalmente accettabili, seguendo metodologie descrittive che partono dalle esperienze del reale, dalle visioni, dai suoni, dalle forme, dagli oggetti e le loro qualità, i colori in primis, con quella loro forza evocativa; in particolare il colore rosso si ripete svariate volte nel corso della lettura, direttamente o indirettamente, il rosso della ruggine, del cuore, del sangue: “[…] / Ma dice giusto l’amica, dice / profondo: la memoria è in fondo / inaffidabile, imperfetta, tutta / caverne e trappole. E’ il sangue, / invece, il corpo, il vero / testimone che non mente, / che porta impressa, sicura / anche se mutante, la memoria. / […]” (pag. 16). In un processo oserei dire proustiano, di memoria e percorsi a ritroso nel tempo, Cucchi parte dalla materia, dalle sue geometrie, in cui sono impresse somiglianze (come in una sorta di auto-somiglianza frattale), per arrivare alle sensazioni, ripescandole dal proprio mondo interiore, e da quelle proponendo interessantissime meditazioni. C’è quindi in Cucchi, a mio avviso, in questa sua nuova raccolta, più che un tentativo, proprio della metafisica, di andare oltre gli elementi instabili, mutevoli e accidentali dei fenomeni, un concentrare l’attenzione sugli aspetti inerenti la materialità del mondo nel suo misterioso svolgersi e manifestarsi in leggi fisiche e biologiche inevitabili. Non ravviso in questa scrittura, ferma e in qualche modo ciclica nei processi mentali, il posto per una vera e propria trascendenza – e questa è, a mio parere, una peculiare gradevole caratteristica di questo autore –, non v’è l’intento di uscire dalla realtà fisica onde cogliere le strutture fondamentali dell’essere, ma, semmai, il movimento della mente e del pensiero di Cucchi avviene all’interno degli elementi naturali nei quali si conclude l’esistenza: “Per rimanere insieme ancora un po’, prima / del risucchio totale che assorbirà anche, con me, / la tua [...]