Alessandra Carnaroli, l’invenzione del treciclo

Le poesie di Alessandra Carnaroli, attiva dal 2001 – raccolta d’esordio Taglio intimo, per Fara editore – sono state commentate fra gli altri da Aldo Nove e Tommaso Ottonieri, e pubblicate su diversi siti e riviste attenti alla poesia sperimentale e di ricerca (alfabeta2il verriAtti impuri e Nazione indiana). E pubblica ora – nella collana «Syn scritture di ricerca», a cura di Marco Giovenale – elsamatta: viaggio in versi nell’oralità della scrittura e ai margini della condizione «altra».

Alessandra ramazza fra le strade del digitale, quelli del quotidiano e la polvere favolistica della mente. Con questi «di più» ritesse il parlato, raggiungendo con leggerezza il nucleo bollente del vivere – il mostruoso, la crudeltà, la pazzia, la pasta carnale dei corpi: «vorrei che il mio colon fosse / il tuo / avambraccio per / alzare merda ogni / tanto / quando / apri le gambe e invogli / la pellicina storta». E, seguitando a citare: «In fondo al bagno e budella / quello che resta / di un menarca di sostanza / la nostra (figlia) / incalza abbaia in veranda /verniciata all’inguine e dimessa / di peli freschi e controsoffitti /al posto delle mie ghiandoline sporche».

I protagonisti della raccolta sono un Hänsel e una Gretel feisbucchini, che ascoltano e riportano i frammenti del linguaggio contemporaneo pescati dalla rete, ma anche la conversazione famigliare, ma anche la lezione letteraria della neoavanguardia (come non pensare agli inserti dialogici della Ragazza Carla e della Ballata di Rudi di Pagliarani e all’interno domandarsi e rispondersi di Salto mortale di Luigi Malerba?: «poveretta però che tristezza siamo tutti stati inseguiti da lei / adesso però noi c’abbiamo una famiglia un fidanzato / possiamo andare a scuola o aversi un lavoro pagato / fare una famiglia»). Non sciupano niente della nuova lingua «sociale» che scorre nella rete e altrove, e ne palesano gli inciampi, fino a raccogliere la trasformazione fatata delle parole dall’uso quotidiano che se ne fa nei blog (il triciclo che diventa «treciclo» nel blog trevigiano).

La dimensione è dunque «altra», e deraglia continuamente dai conformismi e dagli epigonismi poetici: rifacendosi, in modo contemporaneo e del tutto originale, al linguaggio della poesia femminista, soprattutto di ascendenza anglosassone (per esempio a Lyn Lifskin, Mary Dorcey o Sally Read) dalla quale tuttavia si smarca per avvenuta espiazione, e soprattutto ai movimenti narranti della tradizione fiabesca. Come non accostare questa elsamatta, per raffinata e nascosta citazione dell’autrice, alla Saggia Elsa dei fratelli Grimm? O alla complice svampitezza di Galletto e Gallinella? Alla controllata ferocia della saggia Ghita? Alla crudeltà senza veli di Frau Trude?

La generazione delle madri ha raccontato tante favole alle figlie, e fra queste molte sono state le favole realmente percorse, nella vita e nella scrittura. Lo dimostra pure la collocazione a fine libro – quasi dichiarazione e chiusa consapevole sulle proprie scelte poetiche – di una poesia di Patrizia Vicinelli, vera e propria elsamatta della neoavanguardia: nel solco di quella che si delinea, sempre più, come la liberata storia delle donne in scrittura fra vecchio e nuovo secolo.

(già su Alfabeta2)

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Cetta Petrollo
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