Arti Incompossibili N.7: “Opere di carta” di Alfonso Filieri

Come fosse un’improbabile carta geografica, ne strappa i bordi, i quali, al modo dei frattali, danno luogo a nuove coste, fiumi e profili montuosi.

Sono del tutto slegate le parole dalle forme che la carta persegue, mostrando ciò che si oppone al compimento delle storie.

La malleabilità di tale supporto, immagazzinando le proprie metamorfosi, restituisce  amebe su pareti, libellule nell’aere e persino pagine di perdute biblioteche.

Il corrusco aspetto, da alate fauci e da incenerite piante, assunto dalle erbe intrappolate nella cellulosa, assembla forme-sintesi: le ali-occhio, le code-gocce, le sete rapprese e la coriacea pelle, già divenuta superficie increspata dai marosi.

Le venature, che immettono nell’opera un concetto incompatibile con la reale sostanza  cartacea,  ottenute tramite la stesura  di uno strato di cera carnauba, conservano traccia dei gesti dell’artista.

È come un reperto che abbia visto trascorrere geologiche ere: sottoposto a pressioni inimmaginabili che gli hanno donato l’aspetto di un vetro rotto, di un ghiacciato fiume.

Il colore vi si spande e si ritira, si mineralizza, si condensa, si nebulizza sul supporto in costante moto. Non ha tregua il pigmento sulla carta.

Assume l’essenza di tutte le altre materie, restituendone i segni: medaglioni impressi nel piombo o superfici acquoree che fanno intravedere un fondale roccioso.

La carta conserva gli spigoli e i profili di innumerevoli poligoni in un corollario da geometria imperfetta, ambigua.

Albori e luminescenze, spegnimenti tellurici e glabre zolle non ricordano però la superficie terrestre, quanto una chimica che registra se stessa, per conservare una memoria che altrimenti come parola svanirebbe.

Natura vi appare sempre fossilizzata, raggelata in fonde venature di blu smeraldo e di mercuriale  verde ftalo. Non si distacca la foglia dalla pietra e ambedue dalla carta.

Ragnatele di luce, disposte e imbrigliate sulle creste sommitali delle pieghe, sono conservate in un catalogo ragionato di forme immaginate.

Carta può dunque sostenere qualsiasi metamorfosi. Persino fuoco le avvampa nelle viscere. Arde per un sogno interno.

Pur anche di volute di fumo e spruzzi salmastri, di astratti umori e opachi astri narra la carta, senza parole.

Le carte veline si addensano e si aprono come membrane fra cartilagini. Non vi è nulla che non possa essere trasportato su tale enciclopedico supporto.

Le grafie della natura sono compendiate sulla tavole dell’album, le quali menzionano le salienti tappe delle mutazioni che la materia infligge alla materia.

Sulla parete, ritagli di filigrana vegetale si solidificano, recuperate da altri cicli narrativi. Provengono da emisferi ora riemersi.

La sovrapposizione delle carte produce ombre minime e infimo spessore e, tuttavia, resta incomprensibile in quanto volume.

Segni evanescenti, labili e friabili, come fossero una struttura venuta in superficie, di cui resta da indovinare la sostanza.

Alghe e venature marmoree, concrezioni, trasparenze si formano su un piano mai neutrale.

I fossili s’inscrivono nelle pieghe. Un colore blu, assorbito come la luce di un sole nero,   emette ancora radiazioni.

Rosa Pierno
Written By
More from Rosa Pierno

Gilberto Isella: “Variabili spessori” – una nota di Rosa Pierno

  Un inno alla variazione perpetua, al divenire colto nel suo fluente...
Read More

Lascia un commento