Arti Incompossibili N.5: Manlio Monti. Lavori su Carta

Alla carta percorsa da nervature vegetali infligge uno slabbro. Stende un velo sottilissimo di catrame, lo costringe a gareggiare con la trasparenza della carta. La lotta ingaggiata tra siffatte materie indizia un luogo altro rispetto alla superficie, un ennesimo piano sul quale vengono a stratificarsi lembi di carta nera e opaca, ritagliata e strappata. Zolle di tenebrosa aderenza.
Il collage impila strati, utilizza adesioni imperfette, determinando sulla carta scabra, retinata da un disomogeneo addensamento di corpuscoli vegetali, una figura pressoché tridimensionale che manda a gambe all’aria la coerenza fisica dell’impianto.
Pondi e piume, neri opachi e ocra trasparenti sfidano l’equilibrio. Asfalto ghermisce una terra di mezzo, bituminosa e marezzata insieme, adescando l’occhio solo per rilanciarlo sull’instabile equilibrio.
Si possono fingere mille e una materia sulla carta con pigmento e bitume, con china e carta colorata. Il collage sarebbe la via che si sovrappone, il piano che non interseca, ma pesa sul precedente, la materia leggerissima che diventa lapidea tramite colla.
Segni lievi e colorati ricordano il travertino antico, la pietra traversata da fratture e lacune. Il collage completato da asfalto disciolto viene risicato da due larghe bande di acrilico, le quali fanno da sponda alla materia reale.
Trasformare l’asfalto in pigmento ricorda le metamorfosi della ninfa in arborea fronda. Si legge  la grana della carta sotto lo strato bituminoso, quasi che essa potesse divenire pergamena e allora le si potessero distendere al fianco con diversi pigmenti pelli più’ coriacee. L’equilibrio perfetto è dato da un libro ridotto alla sola copertina.
Se bitume avanza e accampa pretese sull’intero mondo, allora pennellata può sgusciar via come un’anguilla fra lacustre carta e assumere il sembiante di una rete in cui si sia impigliato sguardo.
Dapprima si preparano le carte con pigmenti giallognoli, al limite dell’efflorescenza. Muffe e licheni s’incantano in meravigliose catene narrative persino in siffatti geometrici ritagli. Una barra nera riporta alle condizioni iniziali, all’origine, quando ancora non c’era la parola.
Il libro tenta con inconfessata impudicizia. Se contiene solo figura denuncia una parabola del mondo che fa a meno del senso.
La carta ispessita da passaggi sempre più densi di pigmentazione catramosa presenta aree di allerta per la prossimità al sacro recinto, dove il nero assoluto si configura come verità forata dalla sua stessa granulosa consistenza.
Tra pienezza e penuria si mena l’esistenza, ma il lusso e’ sfrenato. Dice di una pervicacia che non devia nemmeno dinanzi all’ostacolo, messo lì a bella posta sulla carta: sfera piumata con pietra rettangolare.
Si potrebbe sferrare un finale attacco alla figura tentandola da ogni parte, incollando gli strati di risulta e facendo ristagnare il nero come nelle forre più profonde.
L’inchiostro trattiene la figura impedendole di emergere dal fondo.  L’illuminazione serve invece a metterne in risalto le sagome.   Ma tutta la scenografia in realtà ha la funzione di impaludare ogni preciso tratto.
Col solo collage ti mostro verità inaudite e a buon mercato. La terza dimensione è un artificio che gabba l’occhio, lo conduce per sentieri e angoli, facendolo scorrere su superfici curve di scabrosa resistenza. Occhio non dice il vero all’orecchio.
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Rosa Pierno
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