La collana Autoriale e l’autorialità tra Barthes, Foucault e la Rete

Quando Fabrizio Bianchi, direttore editoriale della Dot.com Press, mi ha invitato a creare una nuova collana di poesia, gli ho espresso le mie idee a riguardo e lui ha suggerito il titolo di Autoriale che ho accettato dopo qualche riflessione. E’ un titolo impegnativo, come impegnativa è la poesia… La possibilità di configurare, attraverso la scelta degli autori, una certa idea della poesia in me si è accompagnata alla possibilità di riflettere sull’autorialità, sul concetto di autorialità.

Il problema dell’autorialità era stato affrontato alla metà del Novecento in maniera molto acuta da Roland Barthes e da Foucault. La figura dell’autore all’epoca era sostanzialmente ancora quella ottocentesca, romantica, considerata dal punto di vista psicologico e biografico. Era la persona dell’autore che andava indagata e la sua relazione con il resto. Vi era un continuo interrogare il testo per giungere alla persona. Questa modalità romantica di considerare il rapporto tra autore e testo fu da Roland Barthes fortemente avversata a favore dell’idea di Scrittura, di struttura della lingua. L’oggetto della critica letteraria non era più la persona dell’autore, ridotto in un certo senso ad “operatore” ma il testo, la scrittura stessa, con le sue leggi, le sue incessanti variazioni, con le sue costanti. La de-soggettivazione dell’atto poetico andava incontro alla glorificazione della scrittura. Questa concezione in un certo modo viene approfondita e diversamente declinata dal filosofo Foucault che vede nell’autore sostanzialmente una funzione, la funzione-autore, sempre diversa nella storia. Tale funzione può essere realizzata anche da più persone come accadeva nell’antichità. Anche qui l’autore  biografico-psicologico ottocentesco è escluso, conta solo la sua funzione, non la sua persona.

Con la Rete queste descrizioni sono diventate strutturali, tecnologicamente realizzate e indotte. La Rete tende a realizzare ciò che la semiologia indicava come movimento della scrittura. La tendenza è gestire il flusso di informazioni e l’interazione tra chi produce per la prima volta un testo e chi lo sostiene attraverso la ricreazione dello stesso testo secondo un regime di autori molteplici o di autore collettivo. Questo avviene quando gruppi di fans collaborano alla realizzazione di ulteriori storie a partire da un testo: è accaduto nel mondo del cinema ma anche nel mondo della narrativa. Così personaggi finzionali sono forniti di un loro profilo attivo su Facebook, confondendo il reale e il virtuale. Ma su questo rimando a Giuseppe Carrara e alla sua nota sul concetto di autorialità al tempo di internet.

Nella poesia non si registrano fenomeni simili anche perché non vi è tutto l’impianto di mercato che promuove, sostiene e si avvantaggia di queste trasformazioni tecnologiche. Ma nel mondo della poesia è accaduto che la stampa digitale ha facilitato la stampa dei libri dando voce cartacea all’aumento dei poeti che, nati spesso sulla rete e qui visibili, cercano il cartaceo come ulteriore riconoscimento.

Nel mondo della poesia non si trova il fenomeno dell’autore collettivo (ricordo un esperimento per la narrativa realizzato qualche anno fa da Vanni Santoni)  o dei molteplici autori che interagiscono ma troviamo in compenso moltissimi autori, una vera e propria inflazione. Questa crescita non solo ha reso inutile e forse impossibile ogni sistemazione “canonica” dei poeti, come si poteva fare ancora nel Novecento ma ha posto in crisi il concetto stesso di autorialità per il venire meno dell’autorevolezza, parte integrante di questa nozione. Si tratta forse di una sorta di polverizzazione dell’autorialità come ipotizza Roberto Cotroneo 

La collana Autoriale è nata anche per questo, per offrire delle occasioni di rallentamento, di riflessione. Si tratta di contrapporsi al modello idraulico dell’informazione che liquida, appunto, scorre senza sosta nell’indifferenziato, come tendenzialmente accade troppo spesso nei blog e nei social network. In questo contesto provare temporaneamente a fermare il flusso vuol dire per ogni libro della collana ridisegnare l’autore, sottolineare i contorni della sua autorialità.

Chi è l’autore? Cosa pensa della propria arte, delle altre arti? Cosa pensano gli altri delle sue opere? Per questo è prevista  un’antologia della critica: per raccogliere ciò che viene continuamente disperso in materia di recensione che è, o un’inutile ritualità oppure è, o può essere, un utile strumento conoscitivo. Solo in quest’ultimo caso questi scritti di carattere recensivo vengono ripubblicati accanto all’autoantologia che è la rilettura che l’autore fa del suo percorso in versi, mentre una biobibliografia  ragionata è il luogo dove si mostrano i contesti e gli ambienti in cui le opere sono nate, gli incontri, le circostanze, le atmosfere. Si tratta di dare corpo a ciò che intendo per “responsabilità dell’autore”

Il poeta che si esprime intorno alla propria arte e al mondo comincia  a dare una certa consistenza a ciò che, sia pure misteriosamente, precede i suoi versi. Il lettore che vuole avvicinare un’opera di poesia a questo punto si avvicina ad un mondo di relazioni complesse, tali da legare il testo ad una molteplicità di contesti. E’ qui che in definitiva si radica la nozione concreta e storica di autorialità. La poesia può considerarsi un momento di metabolizzazione finale di un processo complesso e lungo che abbraccia tutte le dimensioni del vivere, intellettuali ed emozionali, oltre che linguistiche. La poesia è una forma particolare di conoscenza del mondo.

Tutto questo viene restituito nei versi attraverso il gusto dell’autore che nel tempo si è affinato. Quel gusto che il lettore deve poter intuire a partire dalla propria esperienza per ripercorrere in qualche modo il tragitto. E’ quanto ho provato a tratteggiare nell’idea di “poesia integrata” http://www.cepollaro.it/IntervisTes.pdf

I libri della collana Autoriale vogliono mettere il lettore in condizione di riscoprire il gusto della autorialità, che non è soltanto l’autorevolezza di chi scrive, ma anche la crescita e la conquista di chi legge  partecipando alla realizzazione dell’esperienza poetica. Vi è bisogno sì di un autore ma anche di un lettore consapevole, il più possibile consapevole.

Biagio Cepollaro
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  • «Questa crescita non solo ha reso inutile e forse impossibile ogni sistemazione “canonica” dei poeti, come si poteva fare ancora nel Novecento ma ha posto in crisi il concetto stesso di autorialità per il venire meno dell’autorevolezza, parte integrante di questa nozione». (Cepollaro)

    Questa prudente constatazione dello stato caotico delle esperienze poetiche post-novecentesche è pienamente condivisibile. Con parole rivolte ad un pubblico più di massa l’ho più volte ribadita io pure varie volte dal 2006, quando iniziai l’esperienza del “Laboratorio Moltinpoesia” ospitato dalla Casa della Poesia di Milano diretta allora da G. Majorino. In una delle tante riflessioni scrivevo:

    «Nell’ultimo quarantennio si è manifestato un fenomeno interessante e ambiguo, che io chiamo dei “moltinpoesia”. Sull’onda della scolarizzazione e comunicazione di massa e ultimamente del Web, la produzione di testi di poesia (o di “parapoesia” o “similpoesia”, come li definiva Raboni, sfiorando la questione senza affrontarla) ha raggiunto dimensioni imponenti. Il fenomeno non può essere più svalutato, riducendolo a categorie generiche (epigoni, minori, sottobosco, ecc.). Andrebbe studiato in profondità. E tuttavia nessuno lo fa. Di conseguenza esso non riesce né ad essere mappato nel suo insieme né vagliato criticamente, come pur si dovrebbe. Essendo improbabile e impensabile, in una fase come questa di crisi generale delle istituzioni, la nascita di una sorta di “Censis della poesia”, che fare?

    L’atteggiamento più onesto e saggio mi pare quello di “pescare” come si può in questo mare magnum. Procedendo a vista, a tentoni, alla spicciolata. Operando come singoli osservatori o come gruppi informali. Utilizzando bussole di fortuna. Anche perché sembra davvero esaurita la stagione delle grandi teorie letterarie di riferimento, che avevano, fino agli anni Settanta circa, incoraggiato anche per la poesia approcci di lettura solidi e ben motivati: formalisti, strutturalisti, marxisti o psicanalitici. Oggi, sbarazzandosi per quanto è possibile delle nostalgie per le “età dell’oro poetico”, delle deprecazioni moralistiche contro il presente in mano ai “barbari”, delle invettive snobistiche a doppio segno (o avanguardistiche ed elitarie o populistiche e “tutto fa brodo”), si potrebbe lo stesso fare un utile lavoro critico e difendere la consapevolezza che, sì, a lungo una visione dell’insieme di ciò che chiamiamo – purtroppo genericamente – ‘poesia’ o ‘poesia italiana’ o ‘poesia contemporanea’ non ci sarà, ma che dovrà pur essere costruita. E, nel frattempo, dare conto rigorosamente di ciò che ciascuno trae da questa o quella zona più o meno “pescosa” del suddetto mare magnum (per rimanere alla metafora marinaresca). E verificare anche senza troppe gelosie il “pescato” altrui».

    Auguro dunque a Fabrizio Cepollaro e a Fabrizio Bianchi buona fortuna. Vorrei solo avvertirli fraternamente e criticamente che per «provare temporaneamente a fermare il flusso []e] per ogni libro della collana ridisegnare l’autore, sottolineare i contorni della sua autorialità» o «riscoprire il gusto della autorialità» presupporrebbe che ci sia un fondamento non meramente soggettivo per definire Tizio o Caio un autore. Qual è quello della collana «Autoriale»?

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