LE PASSEGGIATE JUCCI-BUFFONI E IL RINVENIMENTO DELLA POESIA-MAMMUT

franco_buffoniA proposito del nome Jucci

«Sapessi, tiglio, come ti guardava/ Jucci nel settantanove/ E le mancava il fiato per dirti/ che ti amava, pur così conciato,/ Potato come me dal parrucchiere,/ Ma per questo robusto. […]»: in questa poesia, il cui titolo, come un cartellino apposto all’albero indicato, riprende la base del primo verso, compare per la terza e ultima volta il nome Jucci; nelle pagine precedenti lo avevamo trovato in Controluce  e La lunga notte medievale. Che proprio Jucci sia la chiave di lettura ce lo dice il titolo di quest’ultima raccolta di Franco Buffoni, edita nello Specchio di Mondadori (2014): Jucci, appunto.

A proposito di Jucci, Buffoni, a un certo punto, tra le pagine, butta lì due versi: «Sono stato molto in dubbio/ Prima di chiamarti per nome in poesia» (in Il cretinetti e la funambola). Jucci ha quindi corso il rischio di essere un criptico hapax in copertina (ipotizzando, ovviamente,  il mantenimento del titolo anche in assenza di citazioni dirette del nome all’interno dei testi).

La malattia di Jucci-Buffoni

Nelle Note in fondo al volume Buffoni fornisce alcune informazioni: «Nel 1969, quando la conobbi, Jucci aveva 28 anni, era laureata in tedesco, insegnava e faceva ricerca, in particolare si occupava di etnologia e antropologia. […] Il nostro legame durò fino al 1980, quando Jucci morì di cancro, dopo alcuni mesi infami costellati di interventi chirurgici». E aggiunge: «Per dieci anni condividemmo libri e avventure, vacanze e scoperte. […] Con lei scoprii il mio territorio —quello che fa da sfondo al Profilo del rosa— dalle Alpi al lago Maggiore».

Jucci (ma è meglio pensare Jucci-Buffoni) scoprirà la sua malattia in un contesto molto lontano dai luoghi naturali frequentati dalla coppia nel corso delle passeggiate, in un normale contesto quotidiano, e attraverso il telefono, in un momento (in quel momento) nel quale invece Buffoni avrebbe voluto che s’aprissero «[…] spazi al silenzio»: «Che cosa al tuo fegato/ Che cosa, inesorabile, hai dentro?» (in Perché al telefono, nella V sezione Colline di tulle nero, che copre un periodo temporale di alcuni mesi: dalla scoperta della malattia alle ultime ore di Jucci).

L’identificazione-opposizione Jucci-Buffoni è pressoché esplicitata e quindi “autorizzata” nella VII sezione Come un eternit, che chiude Jucci («[…] nell’ultima sezione — allorché i diversi “tempi” del libro si annodano — l’intreccio delle due voci ai simboli dovrebbe apparire nella sua necessità e limpidezza», nelle Note); in Dall’altro mondo, per es., Buffoni annota e commenta: «Perché la tua morte non mi ha insegnato a vivere/ Mi ha solo permesso di continuare a vivere./ Senza la tua morte/ Sarei morto/ Invece sono vivo e lo scrivo./ Sei morta per costringermi/ Al referto in carta velina,/ per mandarmi in tempo alla tac/ E farmi operare/ Prima.».

«Oggi —scrivendo Jucci— mi trovo a rivivere giorno per giorno quel decennio, ma nella prospettiva esplicita dell’indignazione, dello sgomento e della pietà» dichiara Buffoni nelle Note, che solo qualche riga prima aveva però messo un’avvertenza per il lettore: «Ma non sarebbe nel carattere di Jucci, né tanto meno è nel mio, l’intento di trasmettere una storia sentimentale o persino struggente. Questa è la storia di due persone che, pur amandosi, si sono dilaniate.». Jucci è, guardato da questa prospettiva, un libro terribilmente privato che parla del rapporto Jucci-Buffoni.

La scoperta del territorio e dei ritmi naturali: il gruppo consonantico «gl» nel «tiglio» e altri esempi sulle figure di suono

Abbiamo quindi una location; i luoghi che fanno da sfondo alle vicenda personale Jucci-Buffoni sono quelli descritti nella raccolta Il profilo del Rosa[1], il cui titolo «è felicemente polisemico, alludendo sia alla sagoma del monte Rosa e delle sue quattro cime, da sempre impresse nella retina dell’autore, sia al triangolo rosa che nei campi di concentramento nazisti veniva apposto sulla divisa dei prigionieri omosessuali», come annota Massimo Gezzi nell’introduzione all’Oscar Mondadori[2] che antologizza poesie di Buffoni relative al periodo 1975-2012, commentando: «Oltre alla memoria personale, alcune sezioni del libro (specie quelle della maturità) recuperano poi un “palinsesto antropologico obliato, rimosso” (A. Inglese) […] Ecco, allora, l’interesse per le incisioni rupestri risalenti all’età del Ferro; o le frequenti incursioni  in epoche più o meno remote (dal regno dei Longobardi alla Grande Guerra) […]».

In Jucci, nella sezione II Solo licheni e tundra e nella III I rifugi segnati sono tracciati (con dettagli toponomastici precisi, come su una cartina alpinistica) i percorsi e i sentieri delle passeggiate di Jucci-Buffoni; siamo ne «“l’alto milanese inteso nell’antica accezione vescovile […] e ‘ducale’ (come Ducato di Milano) a inglobare l’intero bacino del Verbano fino al Sesia”»[3].

Nel corso delle passeggiate naturalistico-letterarie narrate in Jucci, l’interesse di Buffoni, sotto la “guida” di Jucci (che, ricordiamo, «in particolare si occupava di etnologia e antropologia»), non è quello di individuare e seguire le tracce di un periodo storico preciso (come invece avviene, p. es., nella raccolta Guerra[4], nella quale l’autore utilizzando una memoria diaristica segue la vicenda del padre e alcune tracce lasciate dalla Seconda guerra mondiale), ma è un vero e proprio ritorno alle “origini” antropologiche dell’uomo e della donna, a un momento a-storico, e quindi anche in qualche misura preletterario, che precede la nascita delle distinzioni di genere. Un ritorno alla “purezza” primordiale. Siamo nella Preistoria; ma, in Jucci, la scoperta del DNA umano, che s’intreccia con il DNA culturale della nostra civiltà, non è verticale (com’è, per es., in Dante —dal basso verso l’alto: dall’Inferno posto al centro della Terra al cielo del Paradiso— o nel Viaggio al centro della terra di Jules Verne —dalla superficie terrestre verso il centro della Terra—, nel quale gli “speleologi” intravedono l’antenato primordiale, il proto-Padre: «So anche che […] hanno ravvisato in quelle ossa semplici resti di mammut […] Non è uno scheletro, ma un corpo intatto, conservato con un intento unicamente antropologico»[5]); in Jucci il raggiungimento di questa “purezza” o stato primordiale, il ritrovamento, è orizzontale e quindi è non gerarchico e più “democratico”. Uomo simbolo di questa purezza, per Jucci-Buffoni, è l’uomo preistorico Oetzi, i cui resti sono stati ritrovati quasi intatti nel ghiacciaio del Similaun in Tirolo. Rinvenuto, portato allo scoperto, alla superficie, Oetzi è oggi oggetto di studi antropologici condotti con tecniche di indagine criminale (proprio questo è il titolo della poesia, in Il profilo del Rosa). Ed è probabile che Jucci-Buffoni l’avrebbero invece lasciato lì, sui ghiacciai, il corpo mummificato di Oetzi, e non dato in pasto ai «laboratori IBM di Magonza», com’è invece accaduto.

C’è, in Jucci-Buffoni, almeno parzialmente, una visione criminalistica della Storia (e della società contemporanea) che fa da sfondo alle passeggiate naturalistico-antropologiciche. In Jucci, tolto lo sfondo, anzi i fondali storici, che risultano comunque ancora debolmente attivi come delle scorie radioattive[6], resta la natura. Infatti, le notazioni geografiche sono sempre chiare, al punto che è quasi possibile ricostruire i percorsi “reali”, i sentieri attraversati dalla coppia Jucci-Buffoni: montagne, laghi, fiumi, paesi ecc. sono individuabili pressoché sempre con precisione. Inoltre, in Jucci, la natura emerge vigorosamente, contro il dato zoologico, ridotto al minimo: pochi sono gli animali (e, anche, le persone) citati all’interno dei testi rispetto al grande e potente colpo d’occhio sull’intero paesaggio e sul mondo “green”. Si configura qui un neo-ecologismo in poesia, in linea con alcune tendenze dell’attuale letteratura internazionale, nel quale il dato zoomorfo (indice, per es., della prevalenza dell’uomo e dell’io in poesia, in particolare quella italiana verrebbe da aggiungere) è considerato un elemento di “disturbo”: le parole, le ramificazioni ritmico-semantiche, nel corso dei dialoghi Jucci-Buffoni, s’intrecciano con il paesaggio, in un ambiente naturale e naturalistico sostanzialmente szoomorfizzato (gli animali citati sono, a volte, delle semplici “apparizioni” all’interno del con-testo).

La natura dà il ritmo ai versi e regola anche la respirazione. La lingua di Buffoni, che ha digerito e assimilato la letteratura (è, tra l’altro, anche anglista), è “naturale”, non risulta mai artificiosa o costruita. C’è una naturalità letteraria, perché è nella natura l’imprinting, il ritmo originario.

Particolare importanza rivestono gli alberi. C’è, per es., un albero, caro alla coppia, il tiglio (è una specie di senhal?), portatore del suono «gl»; e, forse, questo gruppo consonantico indica (per prossimità o lontananza) la presenza latente dell’albero anche in altri con-testi all’interno della silloge. È un gruppo consonantico particolarmente significativo, che potrebbe far riferimento agli aspetti generativi della natura (e questa è una possibile chiave di lettura). In Jucci c’è un continuo e ininterrotto dialogo con il con il tiglio; e «gl» regge un gruppo di liriche in “sequenza” all’interno della V sezione Colline di tulle nero, dedicata alla malattia e alla morte di Jucci. Nel testo Io ascolterò (pag. 72), che ha una posizione centrale, Jucci dice (in corsivo, all’interno della silloge, è sempre lei che parla): «Io ascolterò quando ai rododendri/ Dovrai spiegare, e al tiglio/ Che sei rimasto solo». Restando all’interno della sezione che tratta della malattia di Jucci, le ricorrenze di «gl» sono queste: in Gazzelle prigioniere (pag. 61) troviamo «foGLie», «fiGLie», «tiGLio»; questo suono è interlacciato a quello del gruppo «ll»: in «capeLLi», «gazzeLLe», «coLLo»; nel testo successivo, Alla clinica della bambola (pag. 62), ritorna ancora il gruppo «gl»: «groviGLio», «fiGLIo»; segue il testo Uno splendido figlio (pag. 63), nel quale è presente nuovamente lo stesso gruppo consonantico: «fiGLio», «voGLie».

In Jucci si ritrovano alcuni gruppi di suoni, che generano i ritmi portanti all’interno dei testi e tendono a diventare anche dei raggruppamenti di “significato”. Le figure di suono, fondamentali in Jucci, non hanno mai una semplice funzione allitterativa o imitativa, ma tendono a organizzarsi anche secondo un “senso”. Da qui l’importanza, all’interno dei versi, della funzione fono-ritmica delle sillabe contro gli aspetti più propriamente “ritmici” legati agli ictus sillabici, tipici della versificazione tradizionale. Non mancano, naturalmente i versi standardizzati dalla tradizione, infatti le due poesie che aprono la raccolta, Cioccolata con panna e Dietro un muretto (nella I sezione Dietro un muretto) presentano entrambe un endecasillabo di sesta al primo verso. E anche i versi di Io ascolterò citati sopra sono tradizionali: il primo è, anch’esso, un endecasillabo a maiore e gli altri due dei settenari).

Altrove emergono altri raggruppamenti fono-ritmici, per es. attorno alla “rima” in «-ata» nel testo Quando si fanno morbide le ombre (pag. 48) e in quello successivo, Simile a Marte (pag. 49): «conformata», «gelata» (relativamente alla rosa), «accartocciata» (con riferimento alla foglia, con dichiarato e ironico richiamo montaliano) nel primo testo e «cascata» e «tagliata» in rima accoppiata nel secondo testo. Come si può notare, le due poesie sono, in questo caso, più “letterarie” di altre: nella prima c’è l’innesto dagli “ossi”, nella seconda la citazione «Manfred di Byron» e i nomi Mercurio e Marte.

Un altro esempio: in Il collare (pag. 55) troviamo gli strumenti musicali «VIOLino» e «VIOLa»; c’è la «viola da gamba» che «sillaba stanca» il nome di Jucci (in due ottonari, versi “minori”, da Chamber music). La coppia Jucci-Buffoni (in questo dialogo, coppia oppositiva) stabilisce una relazione attraverso i suoni, e la poesia si chiude con Buffoni che dice «So darti solo dell’ANGoscia»; e l’«angoscia» è in relazione con gli «Gli ANGoli. Acuti». C’è una punta di dolore nella comune “radice” «ang-». Sono «Tanti angoli acuti a disegnare/ Un collare» (rima in «-are»). Queste punte (punture) di dolore, che incidono la «carne» sono percepibili, a livello sonoro, come «[…] piccOlI sOlchI spinOsI» (allitterazione).

In Jucci si ritrovano dunque alcune “cellule sonore” che tendono a raggrupparsi, in maniera naturale, secondo un senso e un significato.

A caccia del mammut-poesia

Nel corso delle passeggiate antropologico-letterarie, Jucci-Buffoni raggiungono i luoghi ancestrali della poesia; in Verso la sorgente (pag. 19), andando a «ritroso»  (che significa anche andando alle “origini” del versus, del verso), raggiungono le «acque sotterranee» caratterizzate da un «verde più fitto». Che il testo sia interpretabile anche come una dichiarazione di poetica ce lo dice il verso «E dentro tremo come un libro al fuoco», che ostenta l’ossimoro barocco (iperletterario) acqua-fuoco. Il discorso continua in Controluce (pag. 28), uno dei tre testi nel quale viene citato (a proposito di una fotografia) il nome Jucci: «E Jucci controluce in primavera./ La cascata non lo sa/ sta spingendomi nel sogno/ con la foto qui vicino». Ancora l’acqua e la natura collegate al verso-lingua. E, a seguire, sempre in questo III blocco-sezione intitolato I rifugi segnati (si noti il riferimento al “segno”), nel testo Da principio furono le cime (pag. 30): «E il colore il rosa del nome [con riferimento al monte Rosa e al genere femminile]/ era piano da sillabare». Jucci-Buffoni sono quasi arrivati alla “meta”, alla purezza della poesia: «Finché il ghiaccio regge, pensavamo» (in Il lavoro di lima). E Jucci (parlando nel corsivo) commenta: «Eravamo già noi, lo sapevamo,/ Iniziò subito il lavoro di lima» (allusione, con un tocco di ironia dato il contesto, al labor limae del poeta, che è ora Senza piedistallo —titolo dell’ultima poesia che chiude la III sezione—). La poesia è qui, nascosta Solo tra licheni e tundra (titolo della II sezione). In Solo licheni e tundra (pag. 15), titolo del testo che apre e che si estende all’intera sezione, c’è finalmente la scoperta del mammut-poesia. Sta dentro una «[…] lingua di ghiaccio profonda» (si noti “lingua”, che rimanda al linguaggio) all’interno del lago. Questa lingua (la poesia) non si è “sciolta”: «Resiste tra i detriti coi resti dei mammut./ Forse il tempo tiene lì la poesia.».

La poesia, proprio come il cacciatore preistorico Oetzi, rinvenuto in un ghiacciaio (identificabile con il poeta) e sottoposto oggi ad analisi condotte con tecniche di indagine criminale, resta (almeno temporaneamente) nel suo luogo originario, nel suo con-testo.

La sillaba-cellula

Il poeta e anglista Tomaso Kemeny in un’acuta recensione de Il Profilo del Rosa apparsa su «Il Segnale», XX, n. 58, 2001, pagg. 55-56, annotava: «Ciò che mi sorprende è l’assoluta anestetizzazione dell’emotività: la scrittura pare come prosciugata, in un paesaggio estraniato dalla percezione-emotività diretta, come estratto dalla memoria-terra, dov’è stato lungamente sepolto. Persone, animali, oggetti, azioni paiono appartenere a un periodo mitico-geologico altro, di grande distanza di sicurezza.».

Ora, in Jucci, quell’anestetico letterario ha perso la sua efficacia e comincia a sentirsi il dolore: è un dolore esistenziale, ma anche fisico, che entra in una specie di sillaba-cellula: il ritmo di Buffoni-poeta entra nelle sillabe, s’intreccia legandosi chimicamente ai versi, al punto che al microscopio (analitico) è difficile scindere le cellule dalle sillabe, perché tendono a coincidere, a creare legami inscindibili; questi “legami” nella scrittura di Buffoni si possono ovviamente rompere correndo però il rischio di separare la poesia dalla realtà.

In Jucci, Buffoni porta allo scoperto un aspetto ancestrale e lo risveglia nel corso delle sue passeggiate-conversazioni con Jucci. La poesia è, paradossalmente, in un autore colto come Buffoni, legata a ritmi e suoni naturali: è qualcosa che pulsa come una gioia, che mette in comunicazione Jucci-Buffoni con la natura e che diventerà un dolore latente e continuo proprio con la morte di Jucci, anche se Jucci continuerà a vivere nei “ritmi” delle cellule e delle sillabe di Buffoni.

Pubblicato su “Il Segnale”, anno XXXIV, n. 100, febbraio 2015


[1] Franco Buffoni, Il profilo del Rosa, Mondadori, Milano 2000.

[2] Franco Buffoni, Poesie 1975-2012, Milano, 2012, Mondadori, pag. XV.

[3] Nota a Il profilo del Rosa, cit., pag. 127; citato in Massimo Gezzi, introduzione a Franco Buffoni, Poesie 1975-2012, cit., pag. XV.

[4] Franco Buffoni, Guerra, Mondadori, Milano 2005.

[5] Jules Verne, Viaggio al centro della terra, trad. it. di Maria Gallone, Rizzoli, prima ediz. 1960, cap. 38. Per “proto-Padre” vedi l’introduzione di Giovanni Cacciavillani.

[6] In Guerra, cit., per es., la natura è definita «Palus putredinis/ Madre terra» che «[…] in breve tempo ingoi[a]/ lance alabarde sangue carne ossa». E i versi seguenti, sempre rivolti alla natura, aggiungono: «Macini impasti rigurgiti/ Siepi con le bacche serpi e fidanzati/ Nel trionfo della vita» (in Rammendi in cotone arancione).

Mario Buonofiglio
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