Matteo Bianchi: un poeta equilibrista, ovvero su La metà del letto

.Quando cammini, tendi
a guardare il selciato:
porti il peso del cielo 

ma la fiducia si basa su niente,
 è leggerezza.

M. B.

 

Cover_Bianchi“Peso” e “leggerezza”: due parole in conflitto affiorano fin da subito, orlano il bianco di una dedica, nel nuovo libro di Matteo Bianchi, La metà del letto, fresco di stampa per i tipi di Barbera Editore. Ma il peso qui, singolarmente, è una peculiarità del cielo, emblema della leggerezza. Il volume, accompagnato dalle note di Anna Maria Carpi e Roberto Pazzi, è in primo luogo un ‘ring’, teatro di una lotta tra opposti che si sferrano violenti colpi ma resistono, combattono. Coesistono, sono le facce della stessa medaglia. Bene e male. Gesù e Giuda. Maschile e femminile. Gli uomini sono «angeli / degenerati»: creature disilluse, solitarie. Esseri randagi, evocati da animali alati, fieri e maestosi, che vivono in solitudine, come il falco, con le ali aperte, «in picchiata» (p. 101). Oppure come i merli, che «Quando sentono la morte […] si spostano sui rami più bassi / per essere vicini alla terra» (p. 88). Eppure anche la solitudine scelta come condizione sente infine il bisogno di un contatto: «– cercandoti la pelle, / una carezza sotto la manica –» (p. 55), «ci stringevamo infreddoliti, ricordi?» (p. 74), «mi vorrei semplicemente fidare» (p. 110); essa cerca uno sguardo che non giudichi, che non chieda promesse.

L’Io poetico si interroga, incessantemente: «Qui c’è Bianchi totale – si legge nel risvolto di copertina – Il poeta che fissa gli scorci, annota i discorsi, rapina le occhiate. Il suo è un andare sicuro nell’incerto dell’amore, dei cimiteri, delle sigarette mezze fumate, della neve, del piacere corrisposto e insoddisfatto con il clamore dei suoi anni e di questo tempo». Difatti «Più cerco una destinazione / razionale, un cassetto, / più mi sento annegare» (p. 86). Non c’è quiete, se non davanti a una lapide rosa, davanti ai dettagli del quotidiano che cercano respiro altrove: ecco allora la seduzione di una croce (pp. 100-101), o  una ragazza di spalle nelle quali scorgere le sembianze de «Il mio angelo mancato». Sono i “cari morti” (come li chiamava Pascoli) ad affacciarsi nei giorni: «Spengo sigarette a metà / nel posacenere sul terrazzo: / che siano i miei defunti / a riaccenderle» (p. 105). Così l’autore si sposta, cercando di osservare se stesso nei luoghi, nelle città. «Sono solo, Venezia / e sono complice della tua bellezza» (p. 87); Venezia è donna facile, non appartiene a nessuno, si nega anche all’occhio innamorato («A Venezia di nessuno / dove, tra vento e mare, / non rimane tanto spazio / per sperare», pp. 90-91). Di Ferrara restano, invece, sensazioni a pelle, il torpore del «letargo estense» (p. 25), di un campanile dimenticato nel silenzio: «il campanile, / non aveva più rintocchi, / rimossi, li avevano spostati in paese» (p. 116). Ma la città natale è anche uno «spazio / intatto […] stavo bene coperto. / Mi sentivo protetto». La pianura che effonde un caro, indelebile «profumo delle mele».

Un corpus di cento poesie, orchestrate in otto sezioni e introdotte da intense “parentesi”. Sono trascorsi circa tre anni dai primi componimenti del 2012, anno in cui a Ferrara ha tremato la terra e ogni certezza; anno in cui il destino ha rapito anche uno dei migliori amici di Matteo, Iacopo (Distacco, pp. 80-81). Ma a parte il nome di Iacopo presente e pochi altri, sono anni di storie, amori e parole che già appartengono ai ricordi, che riaffiorano a distanza, grazie alla pubblicazione della raccolta. I versi e le metafore in questo tempo lungo si sono emancipati, allontanati da chi li ha raccolti sulla pagina. È come se l’autore facesse fatica a riconoscersi nelle poesie: «Mi era già successo nelle precedenti sillogi, è una sensazione strana. È come se qualcun altro avesse scritto le mie parole». Forse è proprio questo il potere della poesia pura: staccarsi dalla persona che ha intuito la metafora per diventare universale, lo specchio per altre identità. Come accade in questo verso, luminosissimo: «ti ringrazio / del seguito, della ferita: noi siamo nel dolore / liberi davvero» (p. 26). Oppure «Abbiamo ucciso Gesù / perché era felice» (p. 98). Magari perché lo scrittore, come un ragno “artista”, a pagina 51:

…ignora
l’inquieta bellezza che ha creato

sul filo è necessaria la postura

ma tu non dimenarti
ascolta il tuo respiro
dosalo
non soffiare sulla tua sofferenza
abbine cura

la tela, una volta tessuta e tesa
già non è più tua. 

La metà del letto: cento poesie nell’abbraccio un titolo potente. Al pari della metafora del letto: luogo dell’eros («Morire così, incollati e nudi», p. 89)  e nel contempo metafora della Fine («La vita è un lenzuolo sopra la morte», p. 104). Spazio topico, dove gli opposti si riconciliano: «Il rapporto amoroso con la morte, / la mia resa al lieto fine» (p. 47). Il letto, ha osservato Roberto Pazzi nell’introduzione, è  «un luogo dove l’assenza evoca la pienezza di una compagnia, nella nostra avventura di essere incarnati a metà, cercando la metà originaria mancante». Così il poeta si muove passo passo sulla mezzeria («la mia mente ormai è giunta / al bagnasciuga tra due mondi, / balugina la sponda / tra realtà e sogno», p.103) alla ricerca di un abito di significati, ma ben presto sopraffatto dal bisogno di spogliarsene (p. 72). La “verità” galleggia sopra il paradosso: «Noi siamo / solo se accettiamo di non essere (p. 119)». Un Io poetico caparbio e insicuro insieme, onesto nella sua contraddizione: «Lasciami al gioco di disfare / la mia più grande aspirazione, perché la possa coltivare / con tutte le mie forze» (p. 37). Coinvolge il lettore questa fiera onestà, che è caratteristica degli arditi: «la poesia mi tiene in sé / e resto intero. Della vanità / non voglio fare a meno» (p. 38). E alla ricerca della femminilità, o dell’altra parte di sé – una sorta di “doppio”, speculare e simmetrico –, non solo c’è una “metà del letto”, ora vuota, ora affollata di presenze: c’è un poeta a metà, tra il significato (p. 72) e il vuoto. Tra l’ansia dell’eterno e il disincanto di un «per sempre» che «non lo sappiamo dire / – non perché non l’abbiamo imparato – / proprio perché non lo si impara» (p. 33). C’è un poeta equilibrista, a pagina 102, in bilico sull’esistenza alla maniera di Marías e del suo Riccardo III ordinario, Domani nella battaglia pensa a me:

                                                 Contemnere et contemni

Sul campo di battaglia, faccia a faccia,
tutti sono spronati a esporsi,
ma nella tregua,
empatia della distanza
dove la calma devasta i nervi,
più dura è la prontezza dei riflessi,
l’onestà dei gesti.


Matteo Bianchi è nato a Ferrara nel 1987. Si è laureato in Lettere Moderne e si occupa di comunicazione. Ha pubblicato le raccolte Fischi di merlo (Edizioni del Leone 2011, Premio Rabelais ’11, Premio Turoldo ’11), L’amore è qualcos’altro (con Alessio Casalicchio, Empirìa, 2013), La metà del letto (Barbera, 2015), e le sillogi L’alba di Ladyhawke (Fara, 2012) e Un’ombra in due (L’Arca Felice, 2014), in parte interpretata dal cantautore Germano Bonaveri. Suoi versi sono apparsi anche su varie antologie e riviste, tra cui “Poesia”, “Soglie”, “L’immaginazione”, “Capoverso”, “Il Filorosso”, “Tratti”, sull’italo-svizzera “Bloc notes” e, in francese, sulla “Revue Verso” (Lucenay). Suoi contributi critici, invece, su “Il Ponte”, “Semicerchio”, “Letteraria” e “Atelier”, di cui ha curato il numero monografico sulla poetica di Anna Maria Carpi (n. 73, marzo 2014). Di recente è stato selezionato da Alberto Bertoni tra le voci per l’atlante online di poesia contemporanea dell’Università di Bologna, Ossigeno Nascente.

Suo il blog d’autore “inedito zero” su Repubblica.it, collabora a Punto. Almanacco della Poesia Italiana (puntoacapo Editrice). Numerosi sono i suoi articoli apparsi sul portale Rai Letteratura, mentre suoi reportage e interviste sono usciti su RaiNews.it, Unità.it, “La Stampa” e “Il Centro”. Ha fondato il Collettivo “Corrente Improvvisa”, di cui ha curato l’antologia Poeti di Corrente (Le Voci della Luna, 2013), e ha composto il primo excursus sulla poesia contemporanea a Ferrara, I poeti del Duca (Edizioni Kolibris, 2013).

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Eleonora Rossi
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