Un’istantanea continuità

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In genere poco propenso a recensire testi di carattere critico, scrivo questa nota sorpreso dall’intima tendenza narrativa di “Come da un’altra riva –Un’interpretazione del Don Juan aux Enfers di Baudelaire”, articolato ed elegante volumetto dato alle stampe da Mario Fresa.

Non siamo, ovviamente, al cospetto di un vero e proprio racconto, tuttavia l’attitudine a narrare non manca di far sentire la sua presenza.

Lo dimostra, ad esempio, il passaggio di seguito citato:

“Il riso di Sganarello è un orgoglioso tentativo di riacquistare un certo grado di potere sul padrone: tanto più che vi è un debito tra loro. Il servitore, nondimeno, è pateticamente isolato, e il suo risolino – si badi bene – non rende ridicolo Don Giovanni […]. Don Juan non diventa né comico, né risibile, nemmeno per un istante solo: e il rire di Sganarello appare come una goffa stonatura, una sventata asineria che solo al comico è concessa e che di certo non tocca in alcun modo, mai, l’imperturbabile héros”.

Come si vede, Fresa commenta e anche riscrive, ossia si cala nella vicenda traendone le dovute conseguenze.

A chi dirà che proprio in ciò consiste la non facile arte dell’interpretazione sarà difficile, in effetti, dare torto, nondimeno, a mio avviso, il Nostro riesce ad aggiungere qualcosa in più.

È da notare, poi, come l’autore riporti spesso esempi (non sempre apprezzati) di traduzioni scritte da altri: in simile richiamarsi al lavoro altrui egli mostra una sensibilità linguistica concentrata sul singolo passo o sul singolo vocabolo, senza dubbio poco incline alle generalizzazioni.

La figura del protagonista è ben delineata:

“I filistei, nemici del poeta-eroe, intendono l’esistenza come riproposizione di un eterno ritorno di ciò che è stato […]. Così, Don Giovanni è imperturbabile (calme) perché non è spinto oltre l’immediato; non è attratto, cioè, dalle illusioni, dalle “grandi speranze”, ma solo dall’atto, dall’istante, dal mutevole e risplendente esserci-adesso”.

Come non riconoscere in tale personaggio tratti di quello stesso Baudelaire che, nel disegno di Edouard Manet riprodotto in copertina, appare enigmaticamente quieto e perplesso?

E che dire dell’amore nonostante tutto di Elvira?

“Eppure l’infelicissima (promessa) sposa, con la sua straziata sensibilità, con la sua eterna aspettazione ansiosa, con la sua propensione a credere nell’idea che Omnia vincit amor, non fa che continuare a perseguire, fin oltre la morte, un’illusione perenne, tanto assurda , quanto fermissimamente rincorsa”.

Quanto, poi, al convitato di pietra:

“dà l’immagine di una quadrata, ferma, austera, marziale e morale visione del mondo che ne alimenta la solida e monumentale fissità”.

Don Giovanni è, dunque, un individuo al quale sono estranei i princìpi etici o forse, viene da pensare, è una sorta di moralista deluso che, con i suoi atteggiamenti, richiama siffatti princìpi in contrasto con il conformismo filisteo?

È del tutto giustificato il suo sprofondare nelle fiamme infernali?

Questo è il pregnante quesito che emerge dal racconto critico di Mario Fresa senza poter trovare univoca risposta, perché la vita è lì per quello che è e soltanto dal suo sussistere acquista significato.

Il significato dell’ineffabile, imperituro istante che fa dell’uomo un essere esposto e nello stesso tempo radicato, aperto, ma non privo di propria individualità.

“Come un’altra riva” rimanda, dunque, a noi stessi, al nostro stare al mondo in maniera continua eppure intensamente momentanea: davvero, nel testo di un celeberrimo poeta del XIX secolo commentato da un altro raffinato compositore di versi del XXI, ognuno di noi può ritrovare traccia della sua sempre attuale origine.

“Un’altra riva”, insomma, è anche questa riva.

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Marco Furia
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