TIGRE CONTRO GRAMMOFONO, SERIE 2: OZWITZ, 7.

icona TCG 2, 7

Bernard de Mandeville ha scritto che il fertile alveare era pieno di una moltitudine prodigiosa di abitanti, il cui grande numero contribuiva pure alla prosperità comune. Milioni di api erano occupate a soddisfare la vanità e le ambizioni di altre api, che erano impiegate unicamente a consumare i prodotti del lavoro delle prime. Malgrado una così grande quantità di operaie, i desideri di queste api non erano soddisfatti. Tante operaie e tanto lavoro potevano a mala pena mantenere il lusso della metà della popolazione. […] Essendo così ogni ceto pieno di vizi, tuttavia la nazione di per sé godeva di una felice prosperità. era adulata in pace, temuta in guerra. Stimata presso gli stranieri, essa aveva in mano l’equilibrio di tutti gli altri alveari. Tutti i suoi membri a gara prodigavano le loro vite e i loro beni per la sua conservazione. Tale era lo stato fiorente di questo popolo. I vizi dei privati contribuivano alla felicità pubblica. Da quando la virtù, istruita dalle malizie politiche, aveva appreso i mille felici raggiri dell’astuzia, e da quando si era legata di amicizia col vizio, anche i più scellerati facevano qualcosa per il bene comune1. L’opera prosegue con la presa di coscienza da parte dell’intera società del meccanismo ipocrita che la regolava e con il conseguente disfacimento progressivo di tutte le sue strutture, non essendoci più bisogni da soddisfare all’infuori di quelli primari. R. D. Laing ha scritto che è assai raro incontrare un uomo «senza maschera»: si può anche dubitare che un tale uomo possa esistere. Tutti portiamo, in qualche misura, una maschera; sono molte le situazioni nelle quali non vogliamo entrare completamente. Nella vita «comune» sembra quasi impossibile che succeda altrimenti. Ma il falso io dello schizoide differisce per molti versi dalla maschera indossata dalla persona «normale», e anche dalla falsa facciata caratteristica dell’isterico. Nella persona «normale» […] la questione, comunque, non si pone con tale penosa intensità da spingere l’individuo a combattere e distruggere questa realtà estranea, che esiste dentro di sé come se avesse un’esistenza separata e quasi personale2. Nel Codice di Diritto Canonico, Libro II, Parte I, Can. 222, si legge che 1. I fedeli sono tenuti all’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa, affinché essa possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l’onesto sostentamento dei ministri; 2. Sono anche tenuti all’obbligo di promuovere la giustizia sociale, come pure, memori del comandamento del Signore, di soccorrere i poveri coi propri redditi. Nel Can. 223 si legge che 1. Nell’esercizio dei propri diritti i fedeli, sia come singoli sia riuniti in associazioni, devono tener conto del bene comune della Chiesa, dei diritti altrui e dei propri doveri nei confronti degli altri; 2. Spetta all’autorità ecclesiastica , in vista del bene comune, regolare l’esercizio dei diritti che sono propri dei fedeli3. Michel Foucault ha scritto che una disciplina non è la somma di tutto ciò che può essere detto di vero a proposito di qualcosa; non è neppure l’insieme di tutto ciò che può essere, su di uno stesso dato, accettato in virtù di un principio di coerenza o di sistematicità. La medicina non è costituita dal totale di ciò che si può dire di vero sulla malattia; la botanica non può essere definita colla somma di tutte le verità che concernono le piante. Le ragioni di questo sono due: innanzitutto la botanica o la medicina, come ogni altra disciplina, sono fatte tanto di errori che di verità, errori che non sono residui o corpi estranei, ma che hanno funzioni positive, un’efficacia storica, un ruolo spesso indissociabile da quello della verità. Ma occorre, inoltre, perché una proposizione appartenga alla botanica o alla patologia, che risponda a condizioni in un certo senso più rigide e più complesse della verità pura e semplice: in ogni caso, a condizioni diverse. […] Insomma, una proposizione deve rispondere a complesse e pesanti esigenze per poter appartenere all’insieme di una disciplina; prima di poter dirsi vera o falsa, essa deve essere, come direbbe G. Canguilhelm, «nel vero»4.


1 Bernard de Mandeville, La favola delle api
2 R. D. Laing, L’io diviso, Einaudi, 1969, p. 109
3 Codice di Diritto Canonico, Unione Editori Cattolici Italiani, 1983
4 Michel Foucault, L’ordine del discorso e altri interventi, Einaudi, 2004, pp. 16-17

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Luca Rizzatello
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