Annamaria Ferramosca presenta “Ciclica” – Roma 19 giugno

Ciclica loc legg

C’era bisogno di una lingua nuova, esposta alla babele dei ‘mille alfabeti’, predisposta alle ibridazioni, all’ospitalità senza preclusioni di sorta. Una lingua contaminata e meticcia, esposta ai venti di novità, al ‘soffio multilingue‘, tra geologia e biologia, tra techne e angelezza: c’era urgenza di una lingua che si facesse carico del vento di novità ipertecnologico e virtuale, scientifico e sensibile, fisico e corporeo, e che nondimeno registrasse sopravvivenza e insorgenza dei realia, di ‘tutto il rumore del mondo’.
Manuel Cohen (dalla 2^ di copertina)

Vi è tutta una circolarità in questa poesia, come in quella precedente di  Curve di livello e di Other Signs, Other Circles. È soprattutto una circolarità essenziale di uomini e donne raccolti intorno al fuoco, nella condivisione del pasto, del racconto, della poesia («un tempuscolo rovente che accenda/ la permanenza stabile del coro/ torremadre inattaccabile dove/ le lingue si traducono solo sfiorandosi»). Ferramosca sfida la curva del tempo, la piega fino a farci toccare la comunanza dell’essenziale, l’essenzialità del graffio, dell’incisione sulla pietra. La poetessa sembra qui soffermarsi e riflettere sul linguaggio come suono della bellezza, come luce del senso prima ancora che come logos capace di definire e razionalizzare.
Luca Benassi (Almanacco Punto, puntoacapo,2014)

In un gioco finissimo di accenni, di chiamate, di affacci, la ciclicità del modularsi del testo prende e lascia la circostanzialità puntuale dell’accadere, il venirci incontro dell’esperienza e il profilo del mondo che vorremmo abitare, il sogno di una cosa e l’orrore del presente con le sue pubbliche deputazioni, con il suo “gergo”. L’effetto è quello di una sequenza poematica di forte suggestione, che ci porta altrove, nello slargo del mito tra le radici e il cosmo, mentre è profondamente coinvolta in una autoanalisi della poesia e dolorosamente innestata nel tempo a cui apparteniamo.
Marcello Carlino ( corr.priv.2014)

La saggezza persuasa di Ferramosca salva le cose (e le parole-quasi organo del corpo) non dal loro mutare, ma dalla bestemmia di un tempo orientato e centrifugo. Così, in chiusura, il mutamento dice un pacificato dolore del ritorno con la pacatezza gentile di un ponte che congiunga gente, paesaggi, vite, età nello spazio tra due sponde. Attraversarlo è ritornare e il ponte si fa parola e, nel mondo, lo sfiorarsi della lingua è fenomenologia di un credo saldissimo: che il ponte sia anzitutto dimora.
Luca Pasetto (dalla motivazione del Premio Anna Osti,2013)

Lascia un commento