«Luca Ariano è nato nel 1979 a Mortara (PV)», «nel 1986 si è trasferito con la famiglia a Vigevano». No, nessuna traduzione genealogica, ora: la «linea lombarda», la fedeltà alle cose, il linguaggio severo di Sereni, la praticità lombarda, e tutte le altre ovvietà.
In primo luogo: Bitume d’intorno è costellato di citazioni, varie come il mondo (da Pavese a Corto Maltese – con la normalità che è propria dei giovani più giovani di me: per i quali, giustamente, TUTTO E’ PASSATO. Perciò: tutto è storia e cultura; e, se serve, è valido: ogni testo avrà il suo esergo magistrale, che può essere tanto De Gregori quanto Rutilio Namaziano. Né il primo è troppo basso né il secondo è troppo alto; e se Teresio Olivelli dice meglio di Platone, sarà citato Teresio, non Platone). Solo vent’anni fa il citazionismo sarebbe stato un espediente estetico, in nome del post-modern e dell’antilirismo: ci fu Voce e ci fu Baino (e c’è Biagio Cepollaro: che poi fu ferito dalla realtà, nel suo stesso corpo; e mutò la maniera). Oggi Luca Ariano cammina sulla via di una conoscenza naturale, senza enfasi da sudate carte e maledizioni febbrili alla Natura: come un bravo studente che ha le sue auctoritates e le divora, e come il lettore dei libri allegati ai quotidiani. Così esiste un percorso scritto e vario, che traduce una formazione onnivora – e non dogmatica. Dunque non posso aggredire con i miei dogmi ciò che vedo, ora: questo libro è un ragazzo. Non è il libro DI un ragazzo: QUESTO LIBRO E’ – ripeto – UN RAGAZZO.
In secondo luogo: compaiono molti personaggi. «Duroy questa mattina / davanti alla sua macchina per scrivere / batte moduli di vite, di vanità / al nero profumo del caffè»; «Caro padre / vi scrivo – forse per l’ultima volta – / da questa trincea e da questo fronte / dove l’orizzonte è un deposito di cenere»; «Ted gioca coi suoi versi di lego / componendo castelli / sotto un cielo di vescica di seppia»; «Nosferatu posa i suoi canini su aliquote / mentre Sallustio – nella Trinacria – dopo essersi rimpinzato di sesterzi / si dedica all’Otium». E tra i personaggi: il soldato Ariano (nomen omen) – che scrive fingendosi il Caronte di un Lager e data «27 gennaio 1945» – o lo studente Ariano che l’appello nomina dopo Albini e Alessandrini e un giorno si laurea, malinconicamente.
E in terzo luogo: che cosa bisogna capire? Ariano – che la sua poesia piaccia o no – è quasi maturo (dovrà solo, con il tempo, ridurre all’osso metafore e immagini: «notte di carne», «le foschie di un’antica palude», «sotto un cielo di vescica di seppia»). Ma per molti lettori sarà facile farne un altro «lombardo», mentre è evidente che tra Ariano e Sereni c’è l’abisso (perché Ariano è – tra l’altro – «nella corte del precariato»: di cui Sereni non immaginò neanche l’odore, né avrebbe potuto). Dunque: nessuna tradizione, ma la somma delle tradizioni. Tutte recenti o recentissime, ma contemplate dal libro-ragazzo come una casa/cosa compatta (che ha molte porte – e da cui si esce per molte finestre). Così il lettore meno giovane (o più dogmatico) che arriva ad Ariano dalla sola tradizione lombarda resta deluso; il lettore che ci arriva da esperienze ‘sperimentali’ vedrà uno stile incomprensibile e per lui nauseante: né la solita prosa né i vecchi versi, né un discorso metrico né non metrico, materiale ma non materialista, e quindi non pubblicato – né pubblicabile – nel giro materialista e goliardico (come se non bastasse: il libro ha una prefazione di Gian Ruggero Manzoni: il grande dáimon urticante, come può esserlo chi legge, veramente, destini veri «oltre il tempo» del cielo e della terra che passeranno).
In ultimo, il bitume non è poesia-poesia. E’ il teatro di un io che non si accontenta di poco, e che non ha il solito concetto limitatissimo di realtà: se ce l’avesse, parlerebbe della piccola famiglia e della piccola vita, e della piccola Vigevano e di quanta nebbia quanto umido e come mormora la gente e quanto mi piaci ragazza – non guarderebbe le trincee e gli «ariani» che Hitler macella. Non parlerebbe per bocca di altri, non si invischierebbe nel Bitume, e non si libererebbe così SERENAMENTE da stile scuola canoni maestri. Il ragazzo ha un cuore generoso di cane, come nella canzone di De Gregori.
(già su La poesia e lo spirito )
Massimo Sannelli
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