È forse in chiusura d’anno che ci si può rendere conto più facilmente che in poesia i passi si devono talvolta centellinare, se non proprio millimetrare, scegliendoli uno dopo l’altro, con estrema precisione e cura. Come spesso si sente dire, la passione deve poter sostenere il lavoro e il lavoro aumentare la passione: una banalità, ma talvolta, nella furia di pubblicare a ogni costo – letteralmente… – di essere presenti a ogni costo, di leggere la propria poesia a ogni costo, è un principio che facilmente si perde di vista.
Il postulato è sicuramente noto agli incerti editori catanesi, associazione culturale che tra il 2010 e il 2012 ha pubblicato sei libri – soltanto, e per fortuna, perché si tratta di libri assai preziosi, soltanto sei. Ortografia della neve di Francesco Balsamo, aestella, di Daniela Andreis e Quaderno millimetrato di Dorinda di Prossimo sono tre dei titoli in catalogo, prove di una qualità che nel 2013, per quanto si apprende dal sito web, non dà segni di essersi ulteriormente arricchita… Ciò può soltanto aiutare a coltivare la speranza che si tratti di un periodo di millimetri necessari, in vista dell’anno, e della poesia, che verranno, perché gli incerti editori, nei loro tre anni di vita, hanno già pubblicato libri di certissimo valore, consapevoli del gioco serissimo al quale partecipa ogni editore e ogni associazione culturale che si avventuri nel campo minato, e ciononostante floridissimo, della pubblicazione di poesia.
Quaderno millimetrato è, appunto, uno di questi libri. La terza prova dell’autrice teramana di stanza a Porto Recanati è una splendida raccolta dove si millimetra il tempo (“i millimetri dei calendari”) e la scrittura, facendo ricorso a un armamentario retorico-stilistico che è ampio e comunque semplice, mai sfacciatamente barocco, immancabilmente usato con cognizione di causa. Non è una prova d’autore scritta a tavolino, ci si intenda su questo, è un libro dove una soggettività tutto sommato forte tiene a bada le “mal educate cose” e le sistema in una poesia che spesso ha un solido andamento narrativo, solo apparentemente scomposto e sfilacciato (dall’uso reiterato, quasi ossessivo-compulsivo, dei punti fermi, per esempio) e in realtà compattissimo. Prova ne sia il fatto che talvolta la lunga versificazione si condensa in brevi testi epigrammatici, egualmente sintomatici della complessa poetica dell’autrice. Altre conferme provengono dai versi stessi della Di Prossimo, dove, tra l’altro, si può leggere questa dichiarazione di poetica in miniatura: “Mi faccio chiara, / senza il lusso della speranzella. Pitagorica, / direi”. E poco importa che in chiusura di questo testo, si ribadisca l’importanza della “poetica sgrammaticatura”; Di Prossimo scrive sapendo molto bene di affidarsi a un movimento preciso, altrimenti non sarebbero questi i versi finali, nello stesso testo: “m’affido, / alla colletta della nicotina: bionda, sulla ritmica unghia, andantina”. Consapevole della propria ritmica “andantina”, Di Prossimo la lega alla materialità, seppur volatile, della “colletta della nicotina”: è difficile, dunque, non concordare con Alida Airaghi, che, nella nota al testo, osserva come “in ogni verso di Dorinda di Prossimo, anche l’aria ha una sua fisicità”.
La solidità, a un certo punto, sembra essere finanche eccessiva, presupponendo forse un ritorno del soggetto, se non all’io lirico. Una certa figura femminile stereotipica, che mescola dolcezza e follia, sembra profilarsi in alcuni passaggi, dove, ad esempio, si legge di “una figlia dispara / d’occhi, nel fuori quadro, pungolante / e disarmonica”. Emerge anche un certo rapporto con l’antropologia profonda della propria terra, quando, fra i tanti esempi, si va “con i santi a dormire”. E, in fondo, un tale radicamento non può dispiacere a uno dei collaboratori degli incerti editori, Giampaolo de Pietro, già prolifico produttore di poesia vegetale e infinitamente fogliante ne La foglia è due metà (Buonesiepi, 2012). E se ora De Pietro è Abbonato al programma delle nuvole (L’Arcolaio, 2013), anche Dorinda di Prossimo sa, appunto, di potere e dovere millimetrare le proprie parole: così, a contraltare delle figure appena delineate si erge un espressionismo materico, nel quale “svillana la fretta” o fa capolino anche quella morte che “è morte, uno spiazzo di sale, cenere / sui capelli disossati”. E se qualche volta lo svolazzo è ludico, non richiesto e talora forse non giustificato, o non millimetrato, nei “d’assempre” o negli sprazzi a-semantici degli “.O.”, la lingua di Dorinda Di Prossimo, di certo consapevole dei molteplici registri ai quali può attingere, tiene.
Eccome se tiene.
*
Vince l’occhio dei lampioni. Nebbia viene
dal mare. Ci tenevo a dirtelo, madre.
Sta’ tranquilla. Quindi. Il vicolo ha sempre
una vernice chiara. I vicini, gentili, mani strette,
corto sorriso, sì. Ma’ è che io, io trillo d’un’aria
frettolosa, trasparenti passi. E dicono i vicini
(gli uomini, le nonne di vetro e di rosari, le dame
coi tacchi per serate) – quella donna è troppo
spettinata. Disordina i saluti, inversi orecchini
porta, tosse, acquatiche respirazioni. Legge
copioni in macchina, dimentica la spesa per le
scale. E ha figli grandi come amanti – .O. amanti
rumorosi come figli. Rema d’amore. Eppure
ancora vedo col tuo occhio, madre. A pugno
stringo grano di preghiera. Sale butto, palma
benedetta. Così e Quando. Di croci un
temporale. Il collo, liquidi piaceri, giostre
per bambini. Fuggevoli. Millimetrati.
*
Mi fa bene il bene universale che non viene
il piccolo piazzale mi conviene
le cicche per contare
le grucce che lascio nel viale
*
Ti dico madre che nell’infermità del ricordo,
a volte, perdo il debito dei tuoi occhi. Mi fido
della brusca prontezza dei miei. Stiro riscaldo
le ciglia, faccio nottate d’espressioni, finché
riappari. Quadro pensiero. Quasi del tutto viva.
Gelosa nei capelli, la bocca che pinza smorfie.
Ma non mi arriva in pancia la tua voce.
Le sillabe dei sillabari dolorosi. La tua punta
eterna di rondine che non vola. Mi pronunciavi
tintinnosa, m’accentavi d’ago fino. E mi voltavo
indietro, ogni volta ripassavo la giaculatoria che
ti perdonava. Non m’ero vestita che di nastri e
sangue per pulirti la bocca, le gambe di fontana
senza fiotti. Sapevo, riconoscevo tutte le ostie
che t’ingoiavi dentro quel segno che mi
comprava, ginocchia, spalle, caviglie. Così
t’ancoravi a una postura illuminata. Così so
perché nel mio paese di pelle e corda
improvvisate, tu mi t’inchiodi nei vasi, a notte.
Nel cranio dei limoni, nella plastica sopra i
divani.
Lorenzo Mari
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giampaolo de pietro
December 28, 2013
Ed il testo, la lettura di Lorenzo Mari tengono benissimo – è davvero notevole il suo esserci come lettore dentro la ricchezza e la molteplicità di registri di Dorinda Di Prossimo. Il libro ha una sua “quadernità”, e Mari la ha colta e accolta davvero tanto. Ne siamo molto contenti. Perché si tratta di un “libretto importante” – come lo sono tutti quei piccoli libell(ul)i in cui si riconosce un canto a voce “sola” con piccola orchestra di un autore che “sollevi” qualcosa, appartenendo al proprio linguaggio come al mondo che lo circonda e libra dentro. Fino al libro, sino al lettore attento.
Saluti e ringraziamenti ancora,
Giampaolo Dippì
rmorresi
January 16, 2014
lingua dall’alto gradiente ricettivo, una lingua che è l’antenna radio di una memoria intrattenuta e re-inventariata in punta di matita, e senza ansia da vita liquida (anzi, con un certo piacere amniotico) – libro bellissimo
Lorenzo Mari
January 16, 2014
“senza ansia da vita liquida, ma con un certo piacere amniotico”, definizione che vale una recensione intera. Grazie a entrambi, Lorenzo