L’irrazionale reale in “Lo stato della logica” di Domenico Cara

di Paolo Broussard

Stato della LogicaÈ un libro di poesia nonostante il titolo induca lì per lì a ritenerlo un trattato di storia della logica dagli Analitici primi e secondi all’apparente assenza del significare nei sistemi formali.
Si presenta distinto in una prima sezione con il titolo “Il culto del ritratto” (1973 –1978) ed in una seconda sezione con il titolo “ La passione corrente” (1975 – 1978).
Poesia che risponde alla violenza come successo socioeconomico, come peculiarità comunicativa di un pensiero atomisticamente radicalizzato, come forma antiquata di comportamento privato e pubblico per quanto ricorrente e sempre abietta, repellente perché irriducibile:

“… le ideologie sono appese alle viltà, le amarezze / trafitte sulle commedie della giustizia, un lettering / colorato sulla porzione di consumo, risaputissima e residua. / nella corrente la violenza è una furia irascibile; di rado / l’orchestrina si addice al grido e allo sparo circostanziali;”

“l’autonomia / del verbo vibra, ricade esattamente sull’ordine delle historie…”

Risposta in nome della vita che

“non è remota per le sue amplificazioni, resta re/ ale per motivi di sentimento e l’autorità del problema.”(2)

e delle funzioni della ragione che, sebbene eclissate, costituiscono sempre l’ambito di cospicuità conoscitiva con le sue tecniche di gradualità, di falsificazione:

“ma la ragione elabora una sua storia senza densità, una duttile / cifra; tratta la pace con discrezione in  un regno rugoso, aliti acri / quasi tutti s’acquattano come uccelli stanchi e consensuali la sera”

“ e l’osceno/ è un sogno avaro e domestico con l’ambiguità isolata dai suoi musei / gli stereotipi peggiori, non coordinabili all’impeto del modificare. (3)

“il razionale è una questione di crisi, occulta l’altro mondo, non ha stelle!” (4).

Alla ragione Cara si appella sin dalla prima parte dell’opera perché vive tra quei

“ragazzi (che) raccolgono fiori/ nei loro  presentimenti, hanno pietà del passero/ smarrito che rintraccia sortilegi nelle lacrime / delle vecchie, con sapore di ciliegia e oscillanti/ nell’ebbrezza del loro sangue, e dentro l’innocenza;” (5).

Si stempera nella logica di rappresentazione dei ragazzi, della loro spazializzazione, della scoperta delle cose non rapprese nel cortocircuito del pesa ma bilanciate in fulgenze di “arcobaleno” di “felicità antiche” di “palloni” di “ avviluppamenti nel verde”(6). Ra le sue “segrete passioni” che “aspettano la primavera” ed un mondo avviluppato ed acclimatato nella rapacità come “complicità comune” (7) sparge “germogli” di disponibilità, di comprensione, di demistificazione non certo perché se ne senta colmo, ma perché egli stesso ha condiviso la complicità, perlomeno nel segno di una genesi di presenza, di un’amalgamante cronologia ombelicale:

“Bene, ognuno di noi ha le sue segrete passioni, ma tutti / aspettano la primavera per ascoltare le loro intimità: / mi pare giusto adesso che i germogli sono irti di / desiderio, e alla ringhiera si proiettano i gerani su un /  abisso della nostra memoria, una porzione di libertà,/ e sembra si diradino i  miasmi illimitabili, le metamorfosi,” (8).

La logica dei “segni familiari” (9) –atmosfera di docilità, di gergo, di attitudine, di cultura di Cara, gli consente di captare nel brulichio delle condotte di dilapidazione, di nutrimento frustraneo, l’accentuazione sottilissima del contrario.

Il contrario gli è familiare non perché contrasti ma perché recuperi ciò che è logico confermare come umano – in fatto di perfezione e di speranza- benché sia umano incantare con la violenza. Il sogno della logica del contrario nutrito di “alfabeto presociale” (10) sfoglia inoltre dal 1973 al 1975 – per consolidare il fecondo sillogismo del familiare- album di famiglia tagliuzzati dagli incerti e dalle tetre fandonie dell’emigrazione orizzontale (America del Nord), di quello verticale (Lombardia o Norditalia) ove

“le sonnolenze sono / più brutali intorno al problema del lavoro, gli insulti non / mancano parlando di cambiamento di posizione, la buona volontà / è passionaria e non s’addice ai tempi della speculazione.” (11)

scorre per le notti del gufo che “- come tutti i solitari- non conosce ipocrisia”(12), offre “la caravella dei suoi miraggi” (13), fa contare i “fiori di mosaico della sua pupilla, i giri miti tra le /volontà parziali, dentro la sofferenza d’un alveare” (14).

Nel sogno del contrario allevato tra “resurrexit mnemonici” (15) e “giardini stpiti, ondosi;” (16), tra “l’idea di cor/iandolo” (17) ed “il cielo con le sue ouvertures viventi, rispetto alla luna/ e alle Scritture, quasi difficile da raggiungere ormai/ nel referenziale realistico che recupera grammatiche tristi;” (18), tra “le scelte di circostanza”(19) ed i “sogni di una civiltà ancora benefica.” (20), si preparano i rigurgiti dello spasimo dal 1975 al 1978 perché il contrario, in quanto logica poetica che affronti, divelga e componga l’irrazionale del sistema è di là da venire. Si agita in pectore, quasi congelata categoria paolina delle doglie del parto (cfr. Romani, 8, 19 –24). Resta come sospeso anche per lo stesso Cara che tenta l’invenzione di abilità o che sottende per cruda perscrutazione i segni di leggibilità all’interno del vuoto:

“il vuoto fonda l’incertezza anche se non ha un nome,/ accoglie l’eco, cozza con i venti casuali, aiuta le tagliole/ all’improvvisa tragedia, e gioca con i risucchi di minimi / universi (clandestini) nella sua sterilità effettuale.”(21).

Questa logica del contrario se c’è ma c’è perché sospesa, perché anelante, perché bloccata, non può che redigere un dettato in tutto protetto dalla salda percezione di un vuoto che sia vuoto a se stesso, con un rifiuto che soltanto l’incontro della poesia –per approssimazione difettosa- arguirebbe come evento imprevedibile ma certamente come evento.

Non perciò crescendo dirompenti tra ogni e realtà. Non urto tra un genere di mondo previsto ed un altro di cifre che allettano la beffa, la violenza. Non dualità come pratica di opposizione tra materia poetica e corporeità umbratile, vessatoria. Compartecipazione invece al fulcro della violenza, perché la poesia spiega, nel senso cusaniano, in qual modo da un mondo refrattario discendano grammatiche non catastrofiche:” la gioia convulsa un duttile martirio dell’essere che/ aspira a indagare la vita,”(22).

Lo stato della logica –posto che la ragione contraddistingua gli uomini nell’universo visibile, tangibile, per l’apporto simbolico, per l’inesauribilità religiosa- istruisce certa logica per un tipo di mondo identificabile con il “corso della verità” (23) che è “ una sofferenza totale, non ha scettro” (24) oppure si manifesta “ramo malato” (25) della verità che è tuttunacosa con il “corso della verità”. Non a caso la seconda parte del libro in cui sfocia disfatta la figura già inquieta del familiare sempre “incanto per piccole cose che proviene ormai / sempre da duttili screpolature” (26), è introdotta dalla parafrasi alternativa, quasi capovolgimento chiasmatico dell’enunciato hegeliano “ciò che è razionale; e ciò che è reale è razionale”. In Cara diventa: ”Ciò che è reale è ir/razionale, e ciò che è razionale è ir/reale”; firmato: “Hegel (non) Hegel”.

Perché questo ricorso ad Hegel? Dovremmo intanto chiederci quanto di Hegel e quanto di Cara ferva nell’inversione equivocante della parafrasi per rispondere poi alla domanda. Di  Hegel il taglio assiomatico peraltro situato nello sviluppo della filosofia del diritto; non propriamente scritto per informare di tutto il sistema ma tipizzante la convergenza del diritto nel sistema panlogistico ordinato, dopo un breve riferimento a Platone, nel modo noto a studiosi ed a studenti: “Ciò che è razionale è reale; e ciò che è reale è razionale”. Proposizione che avrebbe permesso ad Hegel di sostenere –dopo appena centottanta parole- : “Ma i rapporti infinitamente vari, che si formano in questa esteriorità con l’apparire dell’essenza in essa, questo materiale infinito e la sua disciplina, non è oggetto della filosofia. Altrimenti, essa s’immischierebbe in cose che non la riguardano; essa può risparmiarsi di dare in proposito un buon consiglio” (27). Ora, tanto per attenermi all’esposizione della dottrina hegeliana quanto per evitare frammezzamenti di sorta, non potrò evitare di concedere a Cara che lo sconvolgimento emerge naturalmente dalla frase hegeliana. Per questo e perprimacosa assunta, viene assimilata ed inverata in versi, non avulsa da pregnanza riflessiva ma paradossalizzata in un involucro deformativo che, oltre a proporzionare la logica dello stesso paradossale, memorizza inquietudine per i profondo cui Hegel sembra estraneo. La proposizione inoltre non è rielaborata ma innescata secondo disarticolazione perscrutativa in quanto non invertita nel suo medesimo humus ma nel senso e nella segnicità della comprensione che è conflittuale; di limite che affonda nel gergo evocativo, minuzioso, umbratile della PASSIONE CORRENTE ( 1975 – 1978): Continuo con il leggere l’enunciato hegeliano anche nel seguente progetto interpretativo con :” Non tutto ciò che è razionale è reale e non tutto ciò che è reale è razionale”; oppure: “Di tutto ciò che è razionale qualcosa è reale e di tutto ciò che è reale qualcosa è razionale” non soltanto perché la limitazione contraddistingue la filosofia come è trattata da Hegel ma perché l’enunciato, pur nella sua temperie assiomatica, è strettamente relativistico. In questo contesto preparo la risposta a: “Perché questo ricorso ad Hegel?”. Dall’assolutizzazione del sistema l’origine di molti estremismi attuali. Dal sistema, assurto a funzione di messaggio; da una weltanschauung totalizzante, tutte le modalità di un panlogismo non più hegeliano che ha disatteso però molte pagine positive che corredano il sistema hegeliano.

Cara ricava da Hegel riflessione che sin dalla sua epoca si sarebbero prestate (come, del resto, si sono prestate) ad essere perspicacemente ribaltate secondo sollecitazioni sillogistiche evidenziate precedentemente, per esempio secondo la seguente che ripropongo perché scaturita da oltraggio all’intelletto ed alla ragione: “Di tutto ciò che è razionale qualcosa è reale e di tutto ciò che è reale qualcosa è razionale”, non perché, sia chiaro ciò, condivida l’enunciato integrale hegeliano. Per condizione di cultura generale, per ambientazione storica, per la dimensione del suo stesso pensiero Hegel giunge alla concezione panlogistica ma, appunto per queste ragioni si pone in un’esigenza di implicazioni e di definizioni che lo avrebbero allontanato dal chiedere alla poesia il nitido stravolgimento di sequenze, la torsione meridiana, che per natura abbondantemente concede. Cara si è servito tanto dell’originaria frattura panlogistica quanto delle lacerazioni susseguenti avvenute non soltanto dal sistema hegeliano per rispondere con la poesia –arma più umana che ci sia per la disallucinazione dal sortilegio- ai neopanlogismi che riescono ad impostare ed a produrre la separazione fondata tra uomo e uomo, tra emisfero boreale ed emisfero australe.

Un’operazione filologica permette di stabilire atmosfere consone tra “LO STATO DELLA LOGICA” con LOGOSFERA e con LOGOTICA (28) mentre, per estensione sia pur motivata da quella filologica, un’operazione antroposociologica tende un elemento apparentemente stratificato in magma da sottofondo quanto mai amalgamato alla condizione di uomo del Sud patita da Cara: l’elemento CITTA’ che “deflagra sul tuo nulla animale e vegetale”(29). Le opere di Cara –in questo eccesso di senso- sono nate, con progressivo e denso innesto terminologico, da un primitivo stato di dissesto intimo  – ecologico che via via (basti considerare i titoli) si è maturato in soffocante prigionia:

“il prigioniero riassume in borborigmi la sua in // felicità, fra strisce di seta e smagliate fantasie/ grafiche; i suoi fogli piegati raccontano un folclore/ sussurrabile, la nudità della rosa; i narcisismi impuri/ circoscrivono persino i sentimenti nel minimo/ paesaggio di cianfrusaglie, arabeschi, iniziali incise.”

“nelle rovine del nulla l’esistenza corrente è ferma, / neanche un processo sfida le zone di delirio: stiamo/ come oggetti del caos in un vuoto inganno, per greti/ aiuteremo il riprodursi della bellezza; non velluto,/ né forma di vita adattabili al linguaggio (storico)/ dei mutamenti, compromessi testimoni d’una fatica/ elegante, e (sullo sfondo) di un qualche modo del caos.”(30).

Prigioniero non è soltanto Cara e lo scontro –momentaneamente senza speranza- non sprizza tra la livida metafora della CITTA’ ed un bucolico angolo di CAMPAGNA. Si tratta di brucianti sorprese che gli itinerari del sangue scavano tra schemi e schermi di presunte e stereotipe idealità. In “TERRIRORIO DI FATTI” (1969)

“la città ha dentro le proprie vene il caos, / ti inserisce nelle public relations proletari,/ in un’anodina pace d’indifferenza e nell’urlo dei problemi./ Ti mostra la ondulata treccina dei capelluti:/ mandarini scattati dal teppismo démodé su una piazza./ La città senza volto ha i suoi schemi definitivi” (31).

In “LO STATO DELLA LOGICA” (1980), l’uomo – schermo “esposto tutto in questo ambiente, la scatola, il gene,/ diventano inutili perché restano con poche fantasie” (32).

La trama scritturale di “ LO STATO DELLA LOGICA” permette di risalire agli inizi della nostra più che trentennale riflessione sugli atti –fatti dell’interiorità poetica e sulla concomitante spazializzazione concretiva. L’ampiezza stesurale o la redazione tipotopografica della parola diventa nota dopo “MITOLOGIA FAMILIARE” (1961) ma in “PREGHIERA”(1948) (33) si profila per esigenza di un Interlocutore garante in assoluto dopo l’orgia di sangue, di fuoco, di infamia che, durante il secondo conflitto mondiale ci aveva colto inermi e veramente piccoli. “PREGHIERA” vivificava il sintomo di rinnovamento collegabile con la fondazione de “IL CONCISTORO”, un’associazione dalle varie ma concordi posizioni culturali promossa da Cara non soltanto per raccogliere o per analizzare le mutile fisionomie del quotidiano ma per progettare risposte adeguate con il saggio, con la poesia, con l’azione (34), benché saggio e poesia esaltino l’azione come luogo di scommessa, di scelta, di rischio. La fondazione de “IL CONCISTORO” avrebbe raccolto, sia pur con intermittenza, contatti con l’ambigua referenzialità del neorealismo. La costante consultazione tra noi due, specie per via epistolare, sul costituente trascendentale del linguaggio che potesse protopredicare l’instabilità come approssimazione del fatto con possibile trasferimento sulle varianti; come specificità di una relazione esclusivamente aspecifica per via lessicale ma non per comune infermità genetica, avrebbe caratterizzato la morfogenesi del nostro lavoro poetico. E’ anche vero che Cara avesse letto Pavese o di lì a poco (dopo la fondazione de “IL CONCISTORO”) Withman, Valéry, Alvaro come io  stesso avevo conosciuto i Salmi di Davide, Ezechiele, Lucrezio, Eliot,  Cardarelli (in ispecie il poeta dalle diffuse stesure).

NOTE

1)D. Cara, “Coerente, isterica Europa”, in “Lo stato della logica”, Foggia, Bastogi, 1980,pp.104.
2) Ib.,”La passione corrente”, p.133.
3) Ib., “Una forma della storia”, p.134.
4) Ib., “Tempi di registrazione”, p. 83.-
5) ib., “Principi di rappresentazione”, p. 17.
6) Ib., pp. 17 –18.
7) Ib., “Cosmologia (e conflitto) di primavera, p.19.
8) Ib., pp.19 –20.
9) Ib., “Principi di rappre sentazione”, p.17.
10) Ib., “In una notte senza ritmo” p. 41.
11) Ib., “Il Nord: una risposta sbagliata” pp. 33 –34.
12) Ib., “ In una notte senza ritmo” p.40.
13 e 14 ) Ib.
15) Ib., “Codice elementare” ,p.45.
16) Ib., “Crescita della neve”, p.46.
17) Ib.
18) Ib., “Cosmogonia (e pratiche) per l’azzurro, p. 51.
19) Ib., “La speranza borghese”, p. 55.
20) Ib., “Ammonimento III°”, p. 65.
21) Ib., “I segni del traffico”, p. 63.
22) Ib., “Lettura (tentativo didascalico), p.64.
23) Ib., “Arterie, esecuzioni, transiti”, p. 77
25) I., p.76.
26) Ib., “Tutte le screpolature”, p. 24.
27) Hegel, ”Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di F:Massineo, Bari, Laterza 1965.
28) S: Lanuzza, “Logosfera”, Milano, Laboratorio delle Arti, 1975.
29) D: Cara, “Territorio di fatti”, Parma, Guanda 1969, p. 43.
30) D. Cara, “In una scatola, in “Lo stato della logica “ Ib. p.113.
31) D. Cara, “Codice della città”, in “Territorio di fatti”, ib. pp. 43 –44.
32) D. Cara, “In una scatola”, ib.
33)D.  Cara, “Preghiera”, in “Sinfonie” a cura di G. B. Lacquaniti, Reggio Calabria, Ed: Il Canacolo 1948, p.113.
34) “Il Concistoro” favorì la collana “Lavacri” con scritti di P. Broussard, G. Cimino, V. De Simone.

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