Domenico Cara: “La materia del mondo”

di Francesco De Napoli

La materia del mondoLa materia del mondo di Domenico Cara effonde arguzia e passione, “ironia e strazio” – come riferisce Stefano Lanuzza -,spiazzando e disorientando continuamente il lettore. Intanto, dichiara di preferire “la radice / di sconosciuti maestri, quando tutti / hanno distrutto lo scrigno / delle consuetudini, in rapida / scheletricità”. Occorre sì – suggerisce il Poeta –“riaprire gli occhi alla tradizione”, senza tuttavia subire le usuali “attrazioni furiose” della terra d’origine, dove gli avi ammaestrarono all’uso delle “nidificazioni del sangue”. Il “sogno errante di un outsider” rifiuta di conoscersi nei “propri inizi che terminano / con uno zero verbale”. Il discorso si fa, dunque, molto sottile: nella materia del mondo c’è davvero tantissima carne messa sulla brace (sicuramente troppa) – né potrebbe essere diversamente -, ma proprio per questo al Poeta non va a genio l’idea di indossare l’habitus del “cicerone territoriale”.

Giudicare l’immediatezza come un semplice “confine di paese”, vuol dire prendere coscienza e scuotersi, interpretare utopie e contraddizioni, se necessario riordinare gli “steccati memoriali” andando oltre ciò che rientra nei “prestabiliti paesaggi della curiosità.

Domenico Cara intende dirci, in un flusso ininterrotto di sussulti visionari, che la “vita doc” non accetta d’essere ingabbiata in simulacri, in teche incorniciate di rimpianti e belle parole: tutto ciò sa di “palpiti confezionati,(…) di ideologia post- moderna, di dismisure epocali”. L’autore utilizza invece quella che definisce “la lingua del senso” nel suo procedere a tentoni tra forme imprecise e artificiose. Ne consegue un idioletto molto personale, carico di un’armonia imitativa (del caos) senza eufemismi, con una prolungata progressione ascendente sulle parole. E’ un “maledettismo drammatico” (espressione geniale), che assume forme grottescamente tragicomiche. Ricorda la “vendetta sulla seriosità” di Franco Fortini, la vertigine che “transvola il mare dell’essere”.

La sensorialità, ossia la conoscenza materiale e corporea, è l’unico stimolo non delirante fruibile –non solo da parte del Poeta- per afferrare “ i consecutivi disguidi / dell’essere”.

Quando sembra che Cara stia per smarrirsi, confondersi dietro le sue roteanti provocazioni concettuali, esplode improvvisa, saettante, la capacità di compendiare in rapidissime battute un fiume in piena di motivi estenuanti. L’impietosa mano di Domenico Cara indica lucidamente il punto d’arrivo –in questo preciso momento storico- d’un tipo d’impegno rivelatosi fallimentare e pertanto giunto al capolinea, reso impotente dai suoi stessi “tonfi carichi di artifici”, mentre le residue, timide rimostranze civili ricamano le loro infamie “in un’allegria sommaria”.

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