Poesia 2.0

La mano ozia nel nido delle tue cosce,
è sera, e la sera rinnova la pioggia,
mai cessata di fremere.
— Alessandro Ricci

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Lesa maestà – viedopoema di Gabriele Via

Lesa maestà – videopoema

di Gabriele Via

 

 

Lesa maestà

Nel nome del padre…
Nel nome del popolo…
Lo spettacolo deve continuare.

Non so se sia il caso di piangere,
ma – mi è parso – Berlusconi è morto.
Infatti non ha una casa:
e chi non ha casa muore.
La sua casa pare accesa di riflettori
ed egli parla come un venditore di aspirapolvere.

Sì, Berlusconi è morto –si osa credere -
non ha occhi, infatti
per carezzare con lo sguardo
un colle ameno, un tramonto
un prato che dorme i nomi dei fiori
senza l’angoscia di un affare imminente…

Povera creatura.

Dietro un affare c’è sempre uno che soffre.
E lo chiamiamo affare proprio perché
moralmente non c’è altro nome.
Cos’è? È un affare. Così nei secoli
con fatica e lotte –sempre senza
interessi personali: prima da parte
di mistici e filosofi, poi da parte di
lotte di popoli- lo abbiamo finalmente
e sempre più normato
questo spregiudicato affare: questo
mostro che lievita e sfianca il mondo.

Fino a quando il Quarto Potere non ha deciso
di mangiarsi giocatori, carte e tutto il banco.

E il nostro piccolo grande uomo qualunque
eccolo entrare nel tunnel misterioso
delle acquisizioni esoteriche.
Sì, perché lui è un adepto ormai maturo
e divenuto sacerdote del culto metallico del sangue.
Scopre che il denaro è un potere all’opera
nel respiro mentale creativo della sfera umana
ed essendo senza Dio, né sana educazione,
eccolo lanciarsi senz’anima
nella vendita della più grande lottizzazione
mai inventata: il futuro e la verità elettrica
dell’officina di immagini emotive.
Ha iniziato a voler diventare
e non è più riuscito a fermarsi.
Ora crede davvero alle sagome
che riempiono il respiro delle sue più nascoste paure:
ogni volta che fa Buh! Ecco che si materializza
un Buh! Un vero Buh! Un Buh! Come nessuno ha mai veduto.
È caduto vittima del suo stesso potere.
Ormai il gioco è così ingarbugliato
che anche Mago Merlino, con la sua bacchetta
lo incenerirebbe per ricominciare tutto dal brodo primordiale.
Letteralmente: sciamani, esorcisti, meccanici,
falegnami idraulici e psichiatri concordano:
non è curabile, non è recuperabile.
Finché va tenetevelo così.

Non prega: non sa né può pregare.
Davanti a sé, ormai, le ruspe aprono la strada
ammassando miserabili ai bordi del corteo del suo cammino.
E prega loro, costui, e veramente. Prega i miserabili,
con cuore sincero: “ho bisogno di voi,
non crediate che io sia un super eroe.
Sono umano, di carne e sentimento:
fragile nelle emozioni vive.
E la mia forza siete voi:
perché io, solo possa ancora stare qui
su questo piccolo trono che galleggia
sulla merda e il malaffare.
Io ho veramente bisogno di voi
di tutti voi: pezzenti, analfabeti,
piccoli luridi traffichini, caporali,
ladri, avanzi di galera, portaborse falliti
e burocrati di ogni stampo. Voi rincorosi
frsutrati, incompresi, umiliati. Venite a me.
Voi mi occorrete perché io possa raccontare,
a tutti, a tutti voi, la favola che volete volere.

Non lasciatemi solo contro il Discorso sul metodo,
non lasciatemi solo con Galileo, Spinoza, Gandhi o Gesù…
Odio quelo spocchioso di Kant! Uno che non ha mai messo
il naso fuori dal paesello, o sotto una gonna!
La loro invidia di poveracci mi farebbe male.
Aiutatemi. State vicino a me; siate i pezzenti di cui ho bisogno:
vi darò pane, salame, vaselina in abbondanza
e grandi spettacoli per la vostra esultanza.
Sapete che lo farò ancora e meglio!
Così potrò raccontarvi che io posso difendervi
dal lupo cattivo, non crediate a quel ragazzaccio di Francesco,
o quell’invasato di Bruno Bettelheim, non credete
a Einstein o Nelson Mandela… io solo potrò proteggervi
dai visigoti, dai tartari e da mammaliturchi…

Vedete, ora come un Alessandro VI sarei pronto
a vestire il saio e andare tra i poveri della stazione
a dar loro del pane, per redimermi davanti allo Stato,
io che sono innocente come il bimbo Gesù neonato.
E che vengo invidiato per le mie ricchezze e dissolutezze;
e per l’allegra, disinvolta indifferenza a regole e protocolli.
Non si vuol capire che in me c’è una verità fanciulla
quando corrompo, fotto, frodo, inganno, tradisco
o se magari induco alla perdizione o alla rovina.
Non so come spiegare questa cosa. Ma vi prego di fare
un sincero sforzo di comprensione. Non potete capire
quanto ciò mi faccia soffrire. Vi prego: sforzatevi, me lo merito.

Ma sarò generoso, potete credere: edificherò un ospedale,
una scuola, un teatro, farò una chiesetta per un buon parroco
che salva i bimbi dalle brutte compagnie. E darò di mio pugno
-vedrete che belle foto!-  darò un tallero d’argento ad ogni pezzente
cui scodellerò la zuppa di lenticchie, la domenica, dopo la messa,
alla stazione centrale. Altro che Giorgio La Pira. Le telecamere
mi riprenderanno. E anche Madre Teresa di Calcutta da lassù,
sarà invidiosa del mio santo cammino verso la gloria celeste.
Perché sono umile di cuore. Umile al punto di essermi circondato
di sciacalli, assassini, corruttori, spie, serpi e avvelenatori di parole
quando si è trattato di combattere per la verità. Perché io sono giusto
e voi lo sapete. Mi avete votato, cioè mi avete acclamato e voluto Re.
Mi volete governatore, legislatore e giudice sulla natura e sugli uomini.
Perché avete capito che sono il giusto scelto per voi da…
Vabbè, diciamo pure da Dio, il Grande A.D.
Ma non crediate che me ne faccia vanto.
È una croce. Sì, amici miei:
siete testimoni della croce che porto.
Ma, portate pazienza. Non fate saltare il tavolo!
Quel che mi han fatto i signori dello Stato
È ingiusto e vile. Ma io vi dico: non gridate.
Non gridate alla rivoluzione. Siate seri, lavoratori.
Onesti e operosi. Come lo fu il mio povero papà.
Altrimenti tutto cadrà, ed anche io (ma lo dico per voi)
alla fine dovrei rinunciare a quel piccolo privilegio
di vivere sul vostro pus, sulle vostre frustrazioni,
sui vostri sogni infranti, sui vostri
delusi volti che non sognano neanche più.
E sui vostri diritti erosi, venduti, liquefatti
e poi rifusi dentro clausole di contratti capestro
che sapete però firmare se ve li faccio proporre
da telefoniste suadenti e scolasticamente cordiali.

Il nostro destino è legato, amici miei:
professionisti del rancore e dell’indifferenza.
Utilizzatori finali del trito salmo del mors tua vita mea;
della banalità e della selvaggia semplificazione
di tutto e di ciascuna cosa e persona
alla crudele riduzione a BUONO- CATTIVO.
Fameliche canaglie assetate di linciaggi domenicali.
Per partite di calcio, parcheggi o solo per alienata noia.

Io sono poi, dopo tutto, soltanto un mediocre
umile servitore nella vigna del Paese dei  Veri Balocchi.
Io sono un Marchese del Grillo e voi, miei cari,
voi, semplicemente, non siete un cazzo.
Perdonate, ma è la verità.
Comprate dunque i miei ninnoli inutili,
i giornali falsi, il nulla pneumatico
che ogni giorno sforno nuovo per voi tutti…

Presto questo caldo passerà… Sopportate.
I miei sono al lavoro. E dopo questa onta
-che però mi avrà santamente avvicinato ad ognuno di voi-
tornerò a regnare, finché Dio vorrà. (pausa e risata).
E sarò ancora più giusto,
ancora più devoto al mio popolo.
Per il vostro bene proporrò,
al mio fido parlamento, una riforma.
Una monarchia repubblicana consensuale,
con diritto di sondaggio mensile. Che ne dite?
Telefonate a questo numero per esprimere
Il vostro gradimento. Ed ora. La pubblicità.

Lo spettacolo deve continuare.

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Fondata e diretta da Luigi Bosco - e grazie al contributo di una lunga lista di persone – Poesia 2.0 nasce nel maggio del 2010 come risposta ad una lunga discussione su Poesia e Web che ebbe luogo sul blog di Stefano Guglielmin Blanc de ta nuque. Il progetto, in continua evoluzione, ha subito numerose trasformazioni e continuerà a trasformarsi fino a che non avrà esaurito tutte le sue possibilità.

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