Che fine ha fatto TQ? – Due parole sull’ultimo intervento di Ostuni su Alfabeta 2

tqSono tutti brutti e cattivi. Questo, in sintesi, sembra essere il giudizio di Vincenzo Ostuni sul fallimento (« meno fallito » di altri fallimenti) di TQ, pubblicato sul numero di Giugno di Alfabeta 2.

Sempre secondo Ostuni, hanno pesato sulla cattiva riuscita del progetto (in ordine di apparizione):

  1. « le caldane della stampa, sempre più disattenta, spettacolare, conservatrice » rea di aver « passato sotto silenzio » le mosse di TQ, ad eccezione di Alfabeta2 (ovviamente, dico io, visto che parte della redazione di questa rivista È praticamente TQ);
  2. « le parti con cui TQ avrebbe potuto dialogare [che] le hanno opposto un muro di disinteresse »;
  3. il « disamore » delle « forze vitali di TQ », di « tutti i suoi membri più influenti »;
  4. « l’indifferenza delle controparti: stampa, politica, industria culturale »;
  5. « l’antintellettualismo, tabe della nostra generazione ».

Ora, non ci sono dubbi sul fatto che tutti gli elementi additati da Ostuni come principali responsabili della cattiva riuscita di TQ siano in qualche misura tali. Però, da ex membro TQ, mi chiedo: davvero Ostuni & C. – « i membi più influenti » per intenderci – pensano che si tratti solo di questo e non ci sia dell’altro, oppure semplicemente per le altre ragioni che hanno contribuito al fallimento di TQ non c’era sufficiente spazio nella rivista e bisognerà aspettare l’uscita del prossimo numero?

Che il comportamento della stampa sia generalmente penoso e deplorevole è cosa nota a tutti, addirittura hanno imparato a capirlo pure i lettori. Continuare ad infierire sulla sua cronica incapacità di andare oltre la cronaca sarebbe come sparare sulla croce rossa o dare l’impressione di venire da Marte. La domanda, allora, diventa: perché, nonostante tutto, si è continuato a fare affidamento ai tradizionali mezzi stampa di cui tutti conosciamo vizi e virtù? Per la visibilità, direbbe qualcuno – e magari avrebbe pure ragione. Ma se così fosse, la domanda diventerebbe: era la visibilità un obiettivo ed una priorità di TQ, oppure TQ avrebbe dovuto rendersi responsabile di azioni così evidenti (seppur non necessariamente eclatanti) da non poter non essere viste e dibattute? E poi: credeva TQ che ciò di cui non si parla non esiste e non è importante, oppure TQ era convinta che la bontà di una azione si misura con i suoi risultati al di là di una eventuale cornice di visibilità?

Lo stesso discorso vale per l’atteggiamento di indifferenza difensiva e lobbistica di « stampa, politica e industria culturale », quelle parti, cioè, « con cui TQ avrebbe potuto dialogare » e che,invece, « le hanno opposto un muro di disinteresse » . E cosa si aspettavano TQ Ostuni & C.? Di diventare, improvvisamente, l’argomento principale delle pagine del Corriere e del Sole 24 Ore che hanno i loro uffici pieni di pubblicisti tirocinanti sottopagati ed appartengono allo stesso polo industriale che TQ ha sin dall’inizio attaccato?

Del « disamore » delle « forze vitali » di TQ, dei suoi « membri più influenti », non posso parlare (anche se posso intuire) poiché non ne faccio parte. Potrei però dire qualcosa sul disamore del resto dei membri, quelli meno « vitali » e meno « influenti », invitati come soldati-spettatori con il privilegio di poter assistere da vicino alle pseudoguerre dei loro generalissimi, a cui ad un certo punto è stato dato in uso un forum con il quale intrattenersi nei momenti di stanca o di tregua delle truppe – così, giusto per sentirsi utili ed importanti anche loro.

Per fortuna, nella foga della critica e pur sorvolando sui particolari, Ostuni non dimentica di accennare un tentativo di autocritica davvero mal riuscito, attribuendo la meritata « irrilevanza sociale, cognitiva e spesso, in fondo, estetica » ad un non meglio specificato « antintellettualismo, tabe della nostra generazione ».

Dico “un non meglio specificato antintellettualismo” perché né Ostuni né TQ si sono mai preoccupati di definire fino in fondo e con precisione cosa sia antintellettuale e, di contro, cosa sia intellettuale. Così come né Ostuni né TQ (ma soprattutto TQ) si sono mai preoccupati di definire fino in fondo e con precisione cosa fosse TQ: troppo occupati a cercare di imporre un nuovo ordine fuori che ci si è dimenticati del tutto dell’ordine interno.

Se non ricordo male, nella mia prima mail a TQ – quella delle adesioni – motivavo la mia richiesta di aggregazione con il personale bisogno di far parte di qualcosa che mi trascendesse come singolo. Ma già nella mia seconda mail a TQ, dopo qualche settimana, dichiaravo di avere l’impressione che TQ si fosse trasformata in una lobby sindacale di lavoratori culturali in lotta per l’aumento dello stipendio e un po’ di visibilità per qualche buon posto di lavoro. Cosa che, di per sé, non è male; solo, non è né di interesse pubblico né di interesse generale – motivo per il quale personalmente non mi ha sorpreso il disinteresse della stampa e della società civile, rinchiusa in un call center per 3 euro l’ora mentre nel nord-est imprenditori salivano sui tetti, ma non per protestare.

Detto ciò, la mia opinione è che il fallimento di TQ sia in gran parte attribuibile al fatto che, ad un certo punto, la voglia di brillare ha superato prima e sostituito poi l’istinto di vederci chiaro – un po’ come sta accadendo ai grillini. (La parafrasi di una citazione da L’uomo senza qualità non è a caso).

Ostuni si chiede se sia il caso di « ricominciare, novecentescamente da soli o in gruppi sparuti, a lanciare ormai flebili urletti d’allarme » – dunque una nuova TQ? – oppure se « è ancora possibile e utile una voce radicale collettiva e qualificata, più omogenea e agguerrita di TQ »

Sinceramente, tra le due opzioni non saprei dire quale sia la meno peggio. Se c’è, però, una cosa di cui sono convinto è che, indipendentemente dalla struttura organizzativa che ci si vuole dare, è imprescindibile evitare di trasformarsi nella riproduzione fedele della società che si vuole cambiare. Perché sostituire un gruppo di potere con un altro non è combattere il potere: è prenderlo. E TQ, per fortuna o purtroppo, non ci è riuscita.

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Luigi Bosco
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