Alessandro Ricci: ‘Le segnalazioni mediante i fuochi’ – nota di Luigi Amendola

di Luigi Amendola

le segnalazioni mediante i fuochi alessandro ricciDue libri in uno, apparentemente, questa raccolta di poesie di Alessandro Ricci, divisi da Le segnalazioni mediante i fuochi, poesia emblematica (che dà il titolo al libro) di un segnale trasmesso di torre in torre, di vedetta in vedetta fino all’ultimo / uomo / che non rispose; in realtà il testo ha una ripartizione sotterranea che lo scompone in tre parti. La prima è quella del mito classico, il mondo ideale, cristallizzato e kavafisiano, dove i vari culti, dell’amicizia, del dovere e dei comportamenti non scritti, regolano la vita oltre il ritmo dei voli e dei presagi. Una seconda parte in cui scorrono, come fotogrammi rappresi, le persone care, le età finite, i rimpianti (volevo la stazza e la barba / bianca di Hemingway), ed è il mondo attuale; una terza, la «Confessione», che potremmo definire del « mondo interiore». In quest’ultima parte, notevole per intreccio stilistico ed immediatezza d’immagini, c’è soprattutto una poesia di frammenti, essenziali ed efficaci come fendenti di spada: O avrò molte cose da dire, / da dirmi bene, o dopo l’ultimo / verso non ci sarà scampo.

Questa gradualità dei testi è anche, credo, una progressione temporale nella produzione di Alessandro Ricci che ha mutato l’oggetto pur mantenendo una qualità lirica che lo differenzia da molta poesia contemporanea.

Non si può non amare la poesia di Ricci che è, per chi lo conosce, come lui, discreta, perennemente in bilico fra il «non concedersi ed il negarsi», per uno scarto di sensibilità a suo favore, indecisa fra «vivere e guarire dalla morte»: … Forse anche pensavo, / nella luce odorosa in / cui è avvolta l’infanzia, / che una musica, un frullo, un / pulviscolo nella stanza sempre / m’avrebbe guarito dalla morte… E non solo la parola serve a spezzare l’incantesimo, ma anche la struttura del verso; osservate quella sorta di emistichio che tronca versi come nella luce odorosa in, oppure che una musica, un frullo, un, senza nessuna apparente motivazione razionale.

«Raffinatissimo poeta» viene definito Ricci dal prefatore Pazzi con un giudizio sintetico, ma vero, che serve a dare l’idea del paesaggio che si attraversa nel leggere questo libro. Di sé l’autore dice: Questa vecchia macchina / è nata rotta, ma ha quarant’anni di garanzia… E sembra convalidare la tesi di quanti, come noi, hanno paura dell’efficienza, della perfezione (orribile, la definiva Baudelaire) e si lasciano trasportare da vecchie auto, libri logori, oggetti d’affezione quotidiana, come feticisti inguaribili. La bellezza, l’integrità, non sono che convenzioni sociali, categorie etiche a cui l’abitudine, e non l’istinto, ci hanno assuefatto, difficile è avere ognuno di noi un metro individuale di giudizio con le immagini patinate della pubblicità  negli occhi e l’Urlo di Munch nel cuore.

A questo libro si può forse rimproverare la non omogeneità della materia ed il trasparire dei diversi tempi di scrittura, ma leggerlo è un piacere raro a cui non bisogna sottrarsi. Questa vecchia macchina nata rotta, arriva a destinazione nell’hangar del lettore molto più di tante limousine.

Galleria”, Anno XXXVI, Numero 1-2, Gennaio-Aprile 1986

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