Federico Federici: “Quattro Quarti” di Antonio Diavoli

 

di Fabio Orrico

Libro misterico e aggrovigliato, Quattro quarti è la seconda opera pubblicata a nome di Antonio Diavoli. Chi è Antonio Diavoli? La nota biografica del precedente Versi clandestini ci informa che Diavoli è nato nel 1910 e morto nel 1974 e informazioni raccolte dalla rete ascrivono a Diavoli una biografia esemplare, da poeta inserito nel suo tempo capace però di sguardi trasversali e sorprendenti, saggio nano sulle spalle di qualche gigante tutto teso a esplorare limiti e confini della maniera. Figlio di una ballerina di varietà e di un commerciante ligure in vini e olio, Diavoli ci appare come un Tozzi solo un po’ più inconsapevolmente provinciale, nodo e cardine di una poesia pericolosa e polimorfa.

Quattro quarti, nuovo libro postumo, sopravvissuto all’autore, eccedente rispetto all’autore, è il poema umano e ultrapsichico, eliotianamente scandito in quattro (ovviamente) parti rispettivamente dette: dei luoghi, dei monologhi, dei dialoghi muti, cesura. Come un imbuto Quattro quarti è un testo che corre a chiudere il senso fino all’ultima pagina, dove, in un gioco specularmene semantico, realtà vissuta e realtà sognata si danno il cambio mostrando in dissolvenza tagli metrici che hanno il sapore della sentenza (“questo è un risveglio / che ci è toccato”). D’altra parte questo è un movimento che percorre l’intero libro, molto spesso saldato a un uso della similitudine giustamente orfico e allucinato (“l’aria che già si arroventa / nel basso respiro / – mantice / il labbro socchiuso”), ma anche spregiudicatamente libero nel suo ignorare le congiunzioni come le più normali ossature del discorso.

Quella di Quattro quarti è una poesia chiusa, rocciosa, ma anche polisemica e disinvolta, ostinata e coraggiosa nel suo conciliare le contraddizioni, nell’unire segni e funzioni opposte, come quell’albero descritto nella prima sezione, sospeso tra cielo e terra in una ridefinizione quasi tautologica di sé stesso.

Nel proporre all’attenzione del lettore mete e luoghi differenti quali scenari in cui svolgere i suoi testi, Diavoli vuole ricordarci che i luoghi, i monologhi, i dialoghi muti e l’implacabile cesura sono scenografie della lingua, svincoli e strade di un parlato, di un linguaggio scelto come altare del senso più lontano. La definizione di Valerio Magrelli della poesia come macchina per caricare senso è qui colta pienamente dal testo e insieme resa più trasparente, più accessibile dalla compattezza, condizione irrinunciabile di tutte le liriche contenute nel libro. Per esempio: “le auto hanno i fari / spenti chiuso nei vetri / la luce / (portati al macero / i detriti) /a marcia indietro / accanto ai muri /defilate a forza / d’esser nulla / fanno come i gatti / ombre nel cortile”. Luogo e senso, significato e significante centrifugati nello stesso blocco linguistico, forma e plot contenuti l’uno nell’altra. I versi che io riporto indicando gli a capo non danno l’idea della distribuzione fisica della poesia sul foglio, ulteriore testa d’ariete del lavoro di Diavoli, intenzionato a istituire un dialogo assai proficuo tra la parola e la porzione bianca della pagina. È l’ennesima dimostrazione della compattezza e dell’intima coerenza di uno dei libri di poesia più “postumi” ed estremi degli ultimi anni.

Redazione
Written By
More from Redazione

Premio Internazionale di Poesia «Roberto Farina» 11ª edizione

  FONDAZIONE «ROBERTO FARINA» Contrada Foretano – 87070  MONTEGIORDANO MARINA Premio Internazionale...
Read More

Lascia un commento