“l’opera è incompleta” – è disfatta— Marco Giovenale

Luigi Trucillo “Le amorose” – una nota di Rosa Pierno

 

Un gusto per la descrizione pittorica, accentuatissimo rispetto alle prove precedenti, in cui si rendeva pulviscolare qualsiasi ricezione o riflessione – vere e proprie punture di spillo i suoi  acri haiku niente affatto estranei a questioni ostiche e  brucianti – perché qui per l’appunto al centro dell’arena è la questione del conoscere che si avvale di percezioni e di riflessioni e che pesa sulle nostre scelte esistenziali, e pertanto è questione di capitale importanza. Sulla pagina si assiepano tutte le componenti e a tutte viene risicato il ruolo e vengono reimpostate le reciproche relazioni. Ecco, Le Amorose sono per noi questi nuovamente modellati strumenti del conoscere: “Alcuni lo trovano illogico / (ma la logica non è / la mancanza di voglia di alcuni), / sostengono che la parola / non è un frutto / e quindi non ha bucce, / ma se la polpa fosse nuda / chi ascolterebbe? ”. In un gioco al massacro che, investe qualsiasi assunzione, usando solo apparentemente un andamento sillogistico, mentre in realtà ne slabbra forma e uso,  Le Amorose sono un gioco crudelissimo condotto fino in fondo per amore. L’apertura, l’accoglienza massima verso ogni più piccolo elemento, pregante o insignificante esso sia.

Nel paniere di tale giardiniere, verranno raccolte anche le mele bacate, o i colori  più intensi utili per i sordi, gli acini rinsecchiti e le foglie tarlate, poiché solo quello che non capiamo “a volte ci cambia / fino in fondo”. L’intuizione può essere un viatico per accogliere ciò che difficilmente entrerebbe fra le maglie di un filtro  razionale. Tant’è che per le fessure, le crepe, i crepacci dei sistemi si infiltra l’immaginazione. Ma qui è più acconcio parlare di visionarietà, se da tali poveri scranni si lanciano strali che desiderano arpionare l’infinito. O se si dipartono storie impreviste, al limite del non-sense: “e mentre spazzolavi / i nodi dal groviglio / ci scappava accanto / come una lepre /che sbuchi / sanguinando / da un arazzo”.

Se immagini si susseguono furiose (e certo Trucillo è poeta d’immagini), egli non mai rasenta il bordo del gesto casuale che fu dei surrealisti. Si tiene per salda corda sul bordo del burrone e da lì perlustra i margini, quel che ancora se ne può trarre senza perdere la bussola. Sarà per questo che la sua poesia è di salda costituzione, di costrutto controllato, di perfetta calibratura nella messa a fuoco del regime del senso: “tra lezione e sgraffio; / l’impacco perverso, / denso di passeri, di albume / e di pullover / con cui ti slavi, / tossisci le pretese”.

Ammantate di nostalgia, di desiderio già in scacco, alcune poesie possiedono una virulenza melanconica, ma più in generale, anche l’amore non è mai assoluto, è sempre impiastrato da concrezioni, da ricordi che s’intrecciano alle visioni del presente e rendono le cose tanto più relative quanto più sono complesse. Non si ama soltanto con il corpo. E quando la mente è temperata dall’esperienza, quanto più succulento e parziale ne è il frutto! Tanto meno assoluto e tanto più esteso. Tanto più variegato e meno monolitico. E Le Amorose, prima ancora che versi che nascono dall’incontro con le donne amate, sono versi che  si fanno amanti.

Le donne, pertanto, non certo una, solo in fascio fanno pane in una collazione di grani di cui vengono snocciolate le imprese quotidiane al limite del percettibile, le domestiche azioni rituali, il loro semplice esistere, non esclusa, di fatto, nemmeno quella ideale: “e la tua ombra subito / cerca una fedeltà alla vita, /proprio come è straziante / perdere / ciò che non si è mai / trovato”.

Sapienza stilla e non se ne può disconoscere la causa nella maturità, in una raggiunta capacità di guardare alla preziosità dei più repentini lasciti, dei meno attinenti particolari. Sono essi che disegnano la camera delle meraviglie, lo stato poetico per antonomasia, il carattere narrativo dell’impresa costituito dai singoli atti irripetibili, quali sono quelli dell’unione fisica, i quali spalancano le caverne dei tesori, costellanti la notte, altrimenti insipida della vita.  La saldatura si attua tra incompossibili: “dove il tuo stesso pronome personale / viene dettato dai movimenti / d’acqua: / blu quando diventa / più profondo, / azzurro fin dove è possibile / toccare”. Se donna è colei che si ricombina “in nuove figure”, e se colui che scrive e colui che legge sono assediati da un medesimo incombente timore: l’oblio, Le Amorose, sono poesie che hanno raggiunto l’obiettivo di rendere memorabile l’insensato dell’amore.

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Rosa Pierno

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Rosa Pierno è nata a Napoli nel 1959 e ivi laureata in Architettura, vive a Roma. Dal 1993 collabora come redattrice alla rivista di ricerca letteraria "Anterem" diretta da Flavio Ermini. Ha pubblicato i libri: "Corpi"1991; "Buio e Blu"; "Didascalie su Baruchello" 1994; "Interni d'autore" 1995; "Musicale" 1999; "Arte da camera" 2004; "Trasversale" 2006; "Coppie improbabili" 2007. Svolge intensa attività critica. E' presente in numerose riviste, antologie e cataloghi d'arte.
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