Ecco – mi dicevo – qualcosa del genere può forse, a volte, fare la poesia, o almeno, questa è stata talora la mia esperienza di lettore, quando ho creduto di sentire, nei testi o nei libri che incontravo, l’eco di una voce lontana eppure vicinissima a me, che sapeva entrare nel mio buio e nella mia solitudine.— Fabio Pusterla

Lettera di Navio Celese a Giorgio Linguaglossa a proposito di un articolo di Asor Rosa

 

Caro Linguaglossa,

non credo ti sia sfuggito l’articolo di Asor Rosa su la Repubblica del 29 settembre titolato LICENZE POETICHE e “sottotitolato” Dai maestri alle voci nuove perché i versi sono più liberi rispetto alle “narrazioni”, cui è stata doverosamente apposta la premessa Nel nostro paese c’è una produzione sempre più vasta che rivela una capacità di invenzione profonda superiore alla prosa. Semmai prova a leggerlo anche tu. Per quale ragione  l’ha scritto?

Io l’ho scorso, pieno di aspettative. Vi ho trovato – secondo l’ordine di scorrimento – i nomi di Valerio Magrelli, Patrizia Valduga, Patrizia Cavalli, Gianni d’Elia, Milo De Angelis (!), Cesare Viviani, Paolo Ruffilli, Franco Marcoaldi, Franco Loi, Fiammetta Cirilli, Carlo Masini, Filippo Strumia, i dodici poeti donna della “collana bianca” Einaudi, a cura di Giovanna Rosadini, e poi in inciso Rosselli, Merini, Cavalli e Valduga. Le case Editrici di riferimento citate nell’articolo sono: Einaudi (7 volte); Aragno, Interlinea,La Camera Verde, Passigli (1 volta ciascuna).

Che dire: tu godi di una fortuna sfacciata! Il fatto che gli editori non ti pressino e non ti paghino per i tuoi appassionati interventi ti consente di avere tempo a disposizione, quanto uno stilita, per sfruculiare l’editoria “minore” e di comportarti come un cercatore di tartufi nelle plaghe meno illuminate della scrittura poetica; mentre intanto i critici aurati seguono con la coda dell’occhio, dalla finestra del loro studio, la grassa selvaggina che attraversa l’ampio e rado orizzonte.

Quando mai i critici aurati, intenti a scrivere articoli su articoli, compensati  un tanto al rigo, hanno occasione per leggere centinaia di libri ogni anno o addirittura trovano modo di accanirvisi rigorosamente, come te, sciagurato!? Mi hanno raccontato il caso, non isolato peraltro, di un critico importante che, impegnato in un altrettanto importante consiglio di amministrazione, leggeva indispettito e in tutta fretta, sempre che gli riuscisse,  i libri che doveva presentare al pubblico e lusingare, mentre attraversava in sobbalzo la città, trasportato dal suo autista. Nelle giurie, talvolta i giurati si fanno leggere i libri in concorso dai collaboratori, per poi magari  decidere indipendentemente, secondo criteri quanto meno discutibili.

Dunque, se ti capitasse di incontrare qualcuno di questi critici aurati - magari in pausa a spasso con il cane per le vie del quartiere – presentati, e mostragli la lista dei libri che hai compulsato e chiedi di confrontarli con la lista dei suoi (quanti?) . . . La poesia, e la letteratura – è un tormento ripeterlo – sono diventati il campo precipuo e preliminare dei giudizi etici piuttosto che estetici: come d’altronde questa nostra disastrata, irrecuperabile società civile.

I critici aurati, caro mio, vanno di fretta e possono solo cibarsi dei cibi predigeriti dal board amministrativo delle case editrici di rango. Scrivono e scrivono. E’ forse per questo non trovano tempo per leggere!

Ciao, Navìo Celese


Caro Navìo Celese,

non mi meraviglia affatto l’elenco stilato da Asor Rosa nel suo articolo pubblicato su “Repubblica” del 29 settembre. Il noto critico si basa, ovviamente, su libri e autori pubblicati dalla grande editoria, quindi su libri, come tu dici, «predigeriti», già confezionati dagli uffici stampa della grande editoria, e quindi al riparo di una solida rete di protezione già predisposta… io invece mi muovo come un acrobata senza rete di protezione, vado alla ricerca degli autori di valore anche se pubblicati da editori piccoli privi del supporto della rete di interrelazioni che ha la grande editoria. Questo mi consente sì una grande libertà di movimento ma mi confina in una sorta di limbo, diciamo così, minore; ma è proprio questo il punto a mio (modesto) vantaggio, che la mia attenzione può spaziare in lungo e in largo attraverso tutta l’editoria di poesia notoriamente sommersa. Questo è però anche il punto della mia debolezza: l’isolamento che mi deriva da questa mia, diciamo così, appassionata libertà di movimento. Inoltre, Asor Rosa è un critico accademico (con tutto il rispetto per questo titolo) mentre io sono un «contemporaneista», un «eclettico», se vuoi, che non risponde a nessuna scuola (di critica e di pensiero) e non deve rispondere a nessun apparato cultural editoriale. L’isolamento è il prezzo, dunque, della mia libertà di azione. E lo dico senza nessuna forma di vittimismo o di personalismo. Di questo ne sono consapevole e ne accetto le conseguenze, anche di quelle che si riflettono sul piano della mia persona: dico delle resistenze e della ostilità con cui viene accolta ogni mia manifestazione di pensiero critico quando non risulta in linea con gli interessi o le aspettative degli uffici stampa delle Istituzioni di poesia.

Del resto, però, mi conforta il pensiero che la mia attività di critico non può non trovarsi in consonanza con le migliori intelligenze in circolazione, perché c’è una comunità di intenti e di ricerca di fondo: la selezione delle migliori opere di poesia, che è in consonanza con la selezione delle specie di darwiniana memoria: si tratta del principio di sopravvivenza delle specie animali. Ottundere questo principio, diciamo così, regolatore, che risponde alle esigenze della natura, significa andare contro corrente rispetto alla direzione che segue la natura. Per farla breve, ritengo che tra natura e società umane ci sia un filo rosso di continuità che non può essere impunemente e per lungo tempo interrotto e/o ignorato.

Che il nostro paese stia sprofondando in una CRISI DI RECESSIONE CHE NON È SOLO ECONOMICA MA È ANCHE SPIRITUALE, ETICA, ESTETICA, E QUINDI POLITICA, è un triste dato di fatto che è sotto i nostri occhi: sarò anche un illuso, un utopista, un ingenuo ma ritengo che ci sia, oggi in Italia, un disperato bisogno di spiriti liberi, di intelligenze che si assumano l’onere di andare contro corrente; e questo vale anche per quel piccolo comparto che si chiama editoria di poesia. Piccolo e trascurabilissimo comparto, dove però gli interessi in gioco personalistici e di supremazia editorial-mondana sono alti e inquinanti.

un caro saluto

Giorgio Linguaglossa

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1 comment on this postSubmit yours
  1. io penso che il critico buono (Asor Rosa) alla fin fine fa la piaga purulenta. Penso che il critico sia simile al medico, non deve essere buono ma spietato: per salvare vite umane il medico non esita a sottoporre il paziente a cure drastiche… perché non avviene qualcosa di simile nella critica di poesia? Perché Asor Rosa mette insieme, un po’ alla rinfusa e come viene viene, tanti nomi di autori di poesia? Probabilmente vuole rendere un omaggio alla “Poesia”, ed è senz’altro un gesto encomiabile… ma io penso inutile, anzi, alla fine dannoso. Non serve parlare in modo generico bene del comparto poesia affastellando insieme una quindicina di nomi (dai più giovani ai meno giovani), quello che una persona seria si aspetta da un critico come lui è che faccia un discorso un po’ più approfondito sulla poesia contemporanea e che incida un po’ più a fondo il bisturi della critica nella piaga purulenta… altrimenti, insieme alla piaga bisognerà trinciare anche la gamba del malato, mentre nel frattempo la malattia si aggrava e diventa mortale…

    Laura Canciani

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