Traduzioni, tradimenti, ricreazioni – una nota di R. Sanesi su “Pâle embryon” di Gio Ferri

 

di Roberto Sanesi

Fra i vari piani di lettura che si offrono alla scelta per esporre questa operazione di Gio Ferri, di ri/creazione, che apre subito alla molteplicità della traduzione come atto critico prima che ricostruttivo (ricreativo), interessa a me soprattutto quello che si colloca in, ovvero come, una sorta di ‘confine mobile’. Quello tipico, formale, sostanziale, di riverberi e, nel tradurre riflessioni, che è della poesia comunque. Penso a proposito a Rilke: “essendo nella sua natura [della poesia] di tracciare in ognuno che la comprenda un altro contorno della sua precisione”.

Saltando di peso tutti gli equivoci a proposito del tradurre (del condurre oltre, inevitabile, o del traghettare su altra sponda linguistica, ovvero trapiantare, come il traduttore/autore preferisce) Ferri agisce su quel confine mobile, su quel contorno altro di una precisione che, essendo stata interrogata e intesa, di nuovo può mostrarsi come autonoma e nuova senza tradimenti. Senza tradimenti del suo nucleo originario che sarebbe altrimenti intraducibile, malgrado lo spostamento: dove infatti si ri/crea. Se considero con Wittgenstein, che davvero può essere che il senso non è la stessa cosa dell’enunciato (non sempre, ma certo in poesia per il peso dei ‘riverberi’ che si produce per serie analogiche di suoni, per esempio), si potrebbe non troppo assurdamente decidere di leggere i testi di Ferri/Verlaine, Ferri/Marlowe, Ferri/Eluard, ecc.. come originali la cui traduzione è l’originale. Tanto da potersi azzardare, proseguendo, che potrebbe essere proprio la somma di tutte le traduzioni e ri/creazioni possibili, in quanto varianti interpretative (critiche), a ricomporre e rappresentare la trama composita del testo nella sua autentica peculiarità. In quanto esso, l’originale, è lo spartito eseguito, implicandosi in questa esecuzione una lettura secondo non solo il corretto intendimento del testo, ma anche e soprattutto secondo l’intuizione che nel rapporto stabilito ‘l’enunciato’, cioè il testo, ‘può fungere da ombra’, ovvero traduzione.

Oggetto, soggetto, materia della poesia essendo il suo linguaggio, Ferri ne prende atto nel tradurre ovvero ri/creare con la lucida consapevolezza che una ‘immagine’ può essere, o è, corretta, pur non essendovi rassomiglianza diretta con il proprio oggetto (ancora Wittgenstein). E quindi agisce in modo deciso, interpretando creativamente, sulla lingua d’arrivo, proprio trovando lì la sola correttezza possibile. Avendo prima, com’è indispensabile compiuto un severo atto critico. Tanto che infatti anche ogni grado di rifrazione torna ad essere corretto nella nuova trama linguistica pur nelle inevitabili varianti,  non escludendosi (per la natura stessa della poesia, non per ripiego dello spostamento) che mille altre metamorfosi potrebbero darsi senza per questo correggere o mutare lo spartito.

( Roberto Sanesi, Postfazione a “Pàle embryon”.  * “Pâle embryon“, che prende il titoio da una poesia della Sauvage, è stato edito da Anterem Ed. nel 1994, e comprende ri/creazioni (con testi originali in appendice) da Paul Verlaine, Cécile Sauvage, Antipatro di Sidone, Ovidio, Orazio, Christopher Marlow, John Keats, Frangois, Coppèe, Paul Eluard. Samuel Becken, Arnold Schoenberg, Gottfried Benn)

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