Presa di coscienza di una scrittura – una nota di A. Cappi su “La Res/ponsabilità” di Gio Ferri

 

di Alberto Cappi

Certa nuova poesia è anzitutto da assumersi come scrittura, nel senso di una struttura formale che risponde, per propria natura, allo spazio che istituisce e abita. C’è allora non solo una violazione del codice usuale del linguaggio, ma anche, rispetto alla norma spaziale. Uno scarto il cui grado definisce – allusione o altrimenti – il rapporto del processo di autosignificazione con la sostanza ideologica e l’utopia. Esiste perciò non un livello, ma un campo della non pertinenza in cui gli elementi del linguaggio e dello spazio sono da ritenersi in costante relazione. Sulla posizione e sulla riduzione dello scarto nel campo non è qui opportuno indagare, piuttosto è bene soffermarci sulla funzione di orientamento che una simile parola poetica e dunque parola totale, promuove.

In recenti esperimenti (affidati in casi estremi al computer o all’ I-Ching) lo scopo perseguito tende ad un massimo di straniamento e alla volontà di rendere impraticabile il messaggio al fruitore borghese. La griglia adottata, cioè, elegge la disgregazione e la dispersione dei sintagmi, sino all’autonomia e alla stocasticità del morfema, a mezzi di eversione della Convenzione – e sulla linea dell’utopia – della prassi sociale. Lo spazio, ricreato come codice atipico, avoca a sé una pregna scelta rivoluzionaria. La scrittura, già visualmente, si manifesta come comunicazione contrastiva, come gesto immediato di opposizione.

Inizia in margine a quest’area il fatto poetico de La Res/ponsabilità. Diciamo subito che nel discorso di Ferri giocano solo alcune rifrazioni delle poetiche citate; la loro strumentalizzazione si amalgama ad ascendenze dell’avanguardia storica, e velate esigenze underground e a non rari epigoni della neoavanguardia, in un uso lucido e meditato che muove per lo piu verso un dettato referenziale dove il processo di fondo rende la chiave connotativa impegnando tutto l’apparato retorico. La Responsabilità e Attese (le due parti dell raccolta) vivono ancora della frase, del sintagma, del fonema come unità significative; qui il codice del disordine è accarezzato e abbandonato e lo spazio si evidenzia come una ‘lettura in disegno’ in cui la solidarietà semantica delle unità è assicurata dall’ordine della loro distanza. Nei riguardi di altri circuiti nati da analoga matrice, la poesia agisce scientemente in un campo di scarto di minor spessore: la scrittura, infatti, appunta i propri strumenti all’interno del sistema che chiede di distruggere. Non si palesa come forza istantanea di rifiuto, tuttavia accoglie la tensione espressiva (e quella utopica) entro lo schema che la alimenta, in una sorta di incessante contropersuasione.

Sul piano del senso globale è necessario a questo punto dichiarare l’omologo del gioco scritturale, che sottende l’animarsi di un oggetto, un Tema, un Motivo rispettivamente dedicati ad esporre il nastro della corruzione dell’ideologia borghese, le conseguenti determinazioni e adibizioni, la posizione autorale. Corrono nell’opera le immagini dello sfacelo di status e ruolo, di emarginazione e occulta costrizione, di violenza sottile e gratuita omogeneizzazione e ogni altro che il tempo e il modo del capitale politicamente stampano sulla pagina del continuo oggi, invischiando e dannando. Ora, se Oggetto e Terna sono tale ed efficiente macchina, l’intenzione del poeta (dunque il Motivo) si sdoppia e opera secondo le due convenienze che separano l’unità del testo.

La Res/ponsabilità è così un amaro discorso d’evidenza in cui il registro linguistico e quello spaziale sorreggono una presa di posizione chiara, ‘pragmatica’, rivolta ad una rappresentazione foto/grafica del veleno borghese, inesauribile nel suo surrettizio porgersi. Qui l’armatura che pregia il linguaggio è di norma la funzione referenziale che ossifica (sul versante del significato) una testimonianza in attesa di deflagrare, dall’interno del proprio universo, le ragioni di possibilità d’eversione. La silloge respira nel ciclo del lavoro di denuncia che la prassi poetica apre secondo numerosi mezzi:

– Le ampie tassonomie, tese a esaurire il quadro dei referenti.
– Le reiterazioni, con valore rafforzativo della pregnanza semantica.
– L’apoditticità, per un fissaggio non valutativo ma credibile della situazione.
– Le anafore, come elementi coesi delle espansioni e dello spazio che originano il diverso caricarsi delle valenze.
– L’uso dissacrante dei monemi imprenditorial-borsistico-mercantilistici-poltico-demagogico-pubblicitari.

Ma il testo dimostra altresì il tentativo di rivoluzione che scatta nel precedente modulo semantico-ideologico:

– La distassia, quale rottura dell’ordine.
– L’ anagrammaticalismo, con funzione parentale.
– Lo spaccato conativo, per lo più intercalato, che personalizza ed empatizza positivamente i contesti.
– Lo spazio, come assorbente e staccante gli opposti archisemi per direzionare la lettura al proposito di liberazione.
– Il tono burocratico, per una autodemistificazione.
– La sintagmatica nominale che, assieme alla stressante ridondanza dell’epiteto, oscura spregiativamente le frazioni da avversare.

Altro è il momento, ma coerente al background totale dell’autore, inerente alle Attese. Qui il motivo delinea un ripercorrere la medesima tematica attraverso il dialogo contorto con la falsa coscienza piccolo-integrata. Cio che il senso contestuale informa è il tradimento della parola omologa al prospetto della prassi e l’utopia della facoltà di risignificazione del discorso, che, portato a saturazione, avvicina instancabile la morte del proprio paradigma borghese. Diversi sono allora i procedimenti figurativi, quelli stilistici e quelli spaziali, equipollenti di per sé alla differente angolazione intenzionale del poeta. Se rintracciarne alcuni è avvicinarsi all’unità dell’opera, vogliamo individuarli in:

– Lo stile colloquiale, per una pietas ironica che invade i significati.
– L’horror vacui, per una accumulazione materico-allusiva denegante la propria origine.
– L’inserto, che ha virtù di ribaltamento del senso.
– Il ritmo associativo, che innesta i tratti ‘drammatici’ e avverte della possibile anfibologia.
– Il recupero culto e il calco, che saldano la finzione alla funzione.
– La ridondanza avverbiale, generalmente in clima di sarcasmo.
– La sequenza grottesca quale operatore connotativo.
– L’agglutinamento spaziale, come emblema condizionante la struttura e i livelli di fruizione.
– L’incrociarsi delle funzioni, per una capacità umorale della comunicazione.

Dunque abbiamo, sia pure brevemente e con la naturale approssimazione delle prefazioni, rilevato nel percorso della scrittura di Gio Ferri le forme che la alimentano. Rimane però un ulteriore ‘distinguo’: le due raccolte sono tributarie della loro poeticità a due diverse dominanti. La responsabilità matura poeticamente su una tastiera di scarti e di non pertinenze che insorgono di volta in volta secondo la posizione delle figure e dello spazio; nelle Attese la poesia nasce a partire dalla cornice, quando cioè l’ironia sale a variegare senza pausa la serie delle violazioni e attraverso un ‘effetto alone’ la soprende e ‘colora’, sconnettendo e connotando. Del resto (i due titoli suggeriscano) ciò rispecchia il rapporto di colui che scrive con i personali miti esistenziali, ideologici, e la maturità di coscienza esposta e di coinvolgimento nella prassi di liberazione.

(Prefazione a La Res/ponsabilità, ‘La curva catenaria’, Laboratorio delle Arti, Milano 1974)

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