Cesare Viviani: ‘Credere all’invisibile’ – una nota di Silvia De March

 

di Silvia De March

Arriva un tempo in cui finisce il tempo / e sempre più si assottiglia e aderisce / alle rughe della terra e dei sassi. Il limpido concettualismo di Cesare Viviani si modula in una fine figuratività analogica. La memoria è il velo sottile di muschio / che c’è e non c’è. La trasparenza di immagini guadagna dalla semplicità di un discorso sempre più disponibile al pubblico e dalla sobrietà dei contenuti. Un’aura di pacatezza, a tratti estatica, si distende sull’ultima raccolta, composta nell’estate 2007 in vacanza sul monte Amiata. Di quell’ambientazione felice, essa risente registrando lo stupore di scoprire che il mondo ci ama con immenso amore. Motivi non inediti per il poeta sono ripresi e sgravati di valenze negative: l’invisibile non suscita più lo sconforto dell’indecifrabilità del mondo; anzi, nei suoi confronti scatta un cieco, fiducioso affidamento. Sul raziocinio prendono il sopravvento le cose, forti di una muta eloquenza: La luce del giorno supera la vita / mostra dov’è, l’abbaglia, / l’avvolge per quel poco che la vita compare. La materia, i corpi, la natura ostentano la loro dignitosa compostezza esistenziale; il paesaggio è intriso di un’energia vitalistica che palesa una presenza immanente ed il soggetto panicamente si confonde irriconoscibile. I referenti specifici (alberi, argini, piante e fiori) vengono sottoposti a stilizzazione poiché non la dimensione creaturale in sè è oggetto di celebrazione, bensì l’essenza ontologica che la pervade. Si professa una religione laica, materialistica, eludendo quelle cose stesse su cui fa perno ed esprimendosi per via di astrazioni generalizzanti e di considerazioni contemplative. Segreto è l’accesso al divino ma Ci salva la materia / dal vortice incessante dei pensieri. / Così il colore del cielo o quello / della terra ci salverà, sarà / una salvezza impercepibile.

Fantasia e immaginazione hanno buon gioco nell’immaginare l’invisibile, declinato in svariate formule privative (inavvertibile, incomprensibile, irragionevole, irriconoscibile). Il tramite per eccellenza è la vista sensibile, che schiude speculazioni non ordinarie: a scoprire / tutto quello che accade nel silenzio, nell’ombra, / e vedere, ma cose incomprensibili. Per pervenire ad una comprensione autentica, occorrerebbe andare contro il buon senso comune / che costringe all’imitazione, / alla ripetizione, che opprime.

Invece: Mentre procede cieco il vivente, / non vede, tocca solamente: l’essere finito ha impressioni e opinioni fragili, per natura è privato della luce e relegato ad una condizione di minorità ed esclusione esistenziali. La sua razza aggressiva si raduna in branchi di animali / ben addomesticati, ben custoditi che brancolano come pedine nello spazio e si scontrano per futili motivi. La concentrazione mistica si dichiara quindi distrazione dalla storia e soprattutto dalla puntualità del presente, che ci assedia mentre viviamo la scissione tra la vita perduta ed un’affermazione velleitaria del futuro.

L’inquietudine dell’orrido, della distruzione, della ferocia, e lo spettro della polvere, della decomposizione, sfiorano l’estasi panica dell’io, ma in ultima analisi sono agilmente e immunemente glissati da un ipostatizzato monismo: l’ira come la tenerezza e l’amore sono frutti celesti di una vegetazione dell’aria che offre nutrimento e impone gratitudine.

Sono proprio certe posture sapienziali a detrarre merito all’autore. Nondimeno, la capacità di coinvolgimento, non solo comunicativa, risulta indiscutibilmente originale, avvalorata nella condivisione della conquistata riconciliazione con l’esistente e l’esistenza. Esibiti nelle dediche sono i legami con Mario Luzi e Roberto Carifi ma non c’è mira di ricercatezza formale. Il lessico nobile elude la letterarietà (tranne in punte isolate come orante e lucore) e tesse una melodia allineata su toni medi, con allitterazioni calibrate e rare rime; anche la struttura metrica delle brevi strofe si allontana da regole tradizionali e soggiace alla compattezza sintattica e a continue sospensioni in enjambement. Come nei contenuti, pure nella struttura domina una confortante pacatezza. Tuttavia, la chiusura in certo minimalismo rischia a tratti l’appiattimento senza possibilità di sviluppo. Forse un simile rischio si corre inevitabilmente affrontando un motivo fondante dell’esserci: non è niente / di eccezionale: è la vita.

1 Comment

  • “stupore di scoprire che il mondo ci ama con immenso amore”

    Beh, forse bisognerebbe che tutti i precari passassero le vacanze sotto il Monte Amiata per arrivare a fare tale scoperta stupefacente

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