Il territorio del “tra”. Nota sulla poesia orale di Ida Travi

 

di Marco Furia

La vocalità è sonorità?
Anche, ma non soltanto.
La voce, tipica manifestazione dell’uomo, è qualcosa di più del semplice suono.
Qual è la differenza tra una parola pronunciata e, ad esempio, il rombo che segue il fulmine?
La risposta potrebbe essere: la presenza della volontà.
Nell’uso del linguaggio, mostrando capacità che lo distinguono da altre forme di vita in grado di emettere suoni articolati, gli uomini hanno raggiunto un alto livello di specializzazione comunicativa.
È da notare, nondimeno, che la voce può esprimersi in maniera del tutto estemporanea: si pensi all’urlo di terrore, all’improvviso scoppio di una risata, al pianto del neonato.
Il neonato che piange, si vorrebbe dire, piange e basta, il dolore per lui è concetto ancora sconosciuto.
È ora il momento di riflettere su un’oralità praticata quale forma artistica.
Ida Travi, che di quest’argomento si occupa da anni con ininterrotta e sempre rinnovata passione (ricordo, a questo proposito, il volume “L’aspetto orale della poesia”, pubblicato nel 2000 e nel 2007), compie con i suoi versi un percorso rivolto contemporaneamente in avanti e all’indietro.
All’indietro, perché la sua espressione vocale ricorda, per certe qualità del gesto, proprio il pianto del neonato, in avanti, perché tende ad aprire la versificazione su territori nuovi, inesplorati.
Non si tratta di un nostalgico ritorno al passato, né di velleitaria accelerazione verso il futuro.
Ida sta proprio , in un tra che, lungi dal coincidere con una sottile linea di confine, si rivela spazio immenso, mondo.
L’ascoltatore resta sorpreso nello scoprire la possibilità di un’apertura di cui non immaginava l’esistenza.
Potere della poesia?
Direi, meglio, essere della poesia, suono che si manifesta e dice, disponibile, privo d’intenti di dominio.
La poetessa si offre assieme alle sue pronunce e nulla aggiunge a simile evento: la sua voce più che bastare a se stessa, è se stessa.
La carenza espressiva dell’idioma di tipo logico o protocollare viene, in questo caso, superata per via della frequentazione di un’ampia zona franca resa palese da affascinanti sequenze orali.
Non siamo in presenza di un atteggiamento a priori contrario alla parola scritta, siamo invece al cospetto di una consapevole, libera scelta.
Ritornare alla natura può sembrare a prima vista impresa facile, poco, o per nulla, ardua, ma, se non consiste in una superficiale fuga, non lo è.
Occorre sviluppare un profondo senso di fiducia, occorre trovare il coraggio di far emergere taluni aspetti e di renderli pienamente espressivi, occorre, insomma, non esitare nel riconoscere e sviluppare importanti lineamenti della propria persona.
Lungo siffatta strada, l’originalità non è sterile esito predeterminato, bensì naturale effetto di un intenso modo d’essere, di un vero e proprio tratto dell’esistere.
Dell’esistere, certo, perché in quel tra è depositato davvero molto di quello che siamo.
Il suono vocale, la pronuncia umana, è colore, emozione, desiderio di rapporto con l’altro.
Il respiro che riesce a farsi parola in grado di penetrare profondamente tra le pieghe dell’esistenza, interagendo con quell’intimo nucleo di energia emotiva da cui scaturisce il linguaggio, promuove un accrescimento, una maggiore consapevolezza.
I tratti orali della poesia, perciò, sono senza dubbio molto fecondi.

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