Amore. Matematica e fantasmagoria nella scrittura di Rosa Pierno

 

di Gio Ferri

Questa nuova raccolta di Rosa Pierno (prosa? poesia? filosofia del paradosso amoroso? secondo una interrogazione già proposta altrove per interpretare sinteticamente una scrittura della contraddizione) si articola in due parti. Che sono anche in qualche modo due maniere diverse, seppur intimamente coerenti, di recepire la realtà non tanto come constatazione seppure poetica, quanto come rivelazione di un universo (il)logico rispetto al senso comune: Artificio, che dà il titolo al volume, Amore fossile che afferma l’esigenza progettuale di coordinare con rigore le ragioni del sentimento amorevole nato dalla artificiosa (teatrale) fantasmagoria dell’(in)immaginabile cosmologia della coscienza.

Questi prefissi (il) e (in), negativi solamente con riferimento alla banalità del senso comune che tuttavia sempre incombe, forse servono qui a dichiarare ancora una volta l’essenziale caratteristica di questa scrittura che è cognitiva di una affermazione autorale, già sottolineata appunto in altra occasione, secondo la quale

«La permutazione della sequenza non arricchisce il contenuto…».

In parole povere vale ancora il luogo comune aritmetico secondo il quale permutando l’ordine dei fattori il risultato non cambia! Come dire che il contenuto contraddicendosi tende ad uno zero,  attraversato dalla infinità dei numeri positivi e negativi dell’esistere. Mi si permetta di rimandare in proposito alla mia nota per Rosa Pierno in “Testuale” n.49, pagg. 73-75 (rivista rintracciabile anche in web al sito www.testualecritica.it).

Comunque sia le allegorie fantasmatiche si susseguono in Artificio secondo un canone enigmatico (puntuale espressione dell’autrice) che in tutto il percorso immaginativo dell’avventuroso testo non può che rifarsi, non senza ironismo, ai canoni teatrali – apparentemente assurdi – dell’Opera (“Gran Teatro del Mondo?”): «Contemplazione idillica e lirica meditazione, pagine ferventi, tormentate e strappate, luoghi di consulti sentimentali, di confessioni sensuali: imitazioni fugate, moti contrari, canoni, palpiti e languori, egloghe e tragedie colme di vari suoni: virtuosismi retorici e scritti segreti, getti coerenti e serrati in svariate associazioni con cornetti, trombe e tromboni, violini, viole e violoni; stanze di canzoni, sestine e sonetti; frottole e ballate, strambotti e pendii cadenzati, canti fermi e toni movimentati; parole e musica, nella loro insopprimibile autonomia e irriducibile diversità compongono il testo della insensata storia d’amore».

Il testo dell’opera, il testo della poesia, della narrazione (e, perché no, anche della filosofia! e della scienza!), il testo dell’insensata storia d’amore, che vuol dire dell’insensata storia della… vita? Di una vita sempre metamorfica e sempre una? Per quanto attiene la scrittura poetica (lirica o no) non si potrebbe, comunque dir meglio.
Ma non si creda (il poemetto dell’Artificio va letto fra le sue sommosse pieghe con estrema attenzione) che possa trattarsi di un qualunquistico relativismo, o nullismo, di pensiero, o di senso, o di materialistica sensualità. Ci viene in aiuto a chiarirci (o con-con-fonderci produttivamente…) le idee l’autrice quando, pur poeticamente, ci racconta a proposito dell’armonia generale testimoniata dalla musica:

«Armonia musicale non è che geometria sonora. Analogia tra armonia e proporzioni architettoniche… Verità necessaria si lega a verità contingente attraverso matematica, dea dell’intelletto. L’arte è perciò sapienza e, dunque, scienza. Architettura è matematica applicata: musica coincide con matematica. È il cerchio che quadra: idea universale che solo l’amore non ingloba!».

C’è quindi l’amore che minaccia la quadratura? L’amore (ancorché fossile: ne parleremo…) sfugge alla debita proporzione (titolo del paragrafo)? La contraddizione resuscita, secondo la sua natura, sproporzionata? Propriamente la sproporzione perciò ci salva? In Canone enigmatico si dice:

«Enigmatico è quel canone nel quale i conseguenti non sono dedotti dagli antecedenti. Se amor non ti guida, via non trovi…».

E conclude:

«Tocca riscrivere tutto il testo… Sarà necessario ricominciare daccapo. Dal primo appuntamento. Magari con altro non bacato amante».

Comunque, il lettore va avvertito, si svolge sul palcoscenico una vicenda operistica, secondo la definizione che l’autrice ha voluto fornirci. Protagoniste, la povera eppur attenta e sapiente immaginifica Reginella, e l’innocente Donzella: attraversano avventurosamente lo

«spazio d’illusione, spazio di rievocazione, spazio naturale, spazio artificiale… Dalla piazza si passa al palazzo: teatro è in pubblico e in privato spazio».

Nelll’incipit (La mappa del testo) ci avverte la stessa autrice:

«lo spettacolo è una cartografia d’amore… un mosaico… di fonti… in cui ciò che è antico è riportato alla luce e ciò che è attuale proviene da atavica memoria…».

L’autrice non rivela esplicitamente le fonti, astutamente occultate, e quindi il lettore può percorrere felicemente il testo in libertà analogica di interpretazione. Solo per osare qualche esempio, ma non possiamo sapere quanto ciò sia plausibile, sovviene l’Orlando furioso nella fantasmatica antica lettura teatrale, fra piazza e palazzo, di Sanguineti e Ronconi. Oppure non si può non rammentare un’opera tanto famosa quale Hypnerotomachia Poliphili (1499, ed. Aldo Manuzio) attribuita al neoplatonico Francescon Colonna, in cui il protagonista Polifilo viaggia sulla via dell’immaginario onirico alla ricerca del purus amor: dal groviglio della libidine, alla interiore (ir)ragione della comunione amorosa. L’amore quale misura di conoscenza.

Ma lasciamo a chi legge, come s’è detto, di avventurarsi nella poetica avventura.

*   *   *

Tuttavia, ancorché la domanda di Rosa prenda innanzitutto coscienza di un Amore fossile, vale per contrasto la premessa al secondo capitolo:

«Lo stato del non amore differisce da quello in cui amore regna, per totale mancanza di colore: la realtà non ha luce né suono, né gusto, né alterazione, non arpiona l’animo, né lo trascina; non ci sono picchi da registrare o epiche imprese da compiere o viale fiorito da percorrere e nemmeno pietraia da superare. Stato del non amore è vuoto teatro, polveroso palco».

Ed ecco allora le meditazioni sui prìncipi di unione e separazione: secondo la legge della varietà nell’unità. E il sospetto che l’equilibrio stabile, sia sempre temporaneo.
E il timore che ciò avvenga tuttavia a danno della varietà. Perché è la varietà che vieta la fossilizzazione. A questo punto l’autrice sviluppa con leggerezza concezioni matematiche, fisiche alle quali per concreta analogia si attesta l’amore stabile, ma variabile, secondo ormai la consueta contraddizione che caratterizza la grande efficacia autocoscienziale, e totalizzante, la raffinata dialettica di Rosa Pierno. Una realtà biologica e metamorfica creativamente analizzata con insistenza quasi ossessiva al microscopio dei sentimenti.

Così si vuol distinguere il continuo, anziché insistere, in amore, sulle opposizioni qualitative: anche se la comunione può rallentare (ad evitare la fossilizzazione), almeno per un bel po’ di tempo i protagonisti d’amore non tagliano sconsideratamente il filo che ancora li unisce: estremi distinti ma non distanti. Infine:

«Tutti i corpi dell’universo… vengono a sfiorarsi, e dato che la materia è infinitamente divisa, reagiscono in termini infinitamente sottili alle più piccole variazioni… resta di ficcarci dentro a forza di spinte e controspinte anche lo strano miraggio, pura appercezione, dell’apparente fenomeno dell’unione… [Ma] niente può essere valutato in assoluto, ma sempre in rapporto con un altro oggetto…».

L’analisi è variabile, variegata, secondo i principi della molteplicità e varietà, dell’assoluto in cui l’amore, in quanto assoluto, è già stato consumato. E fuor dell’assoluto, non può appartenerci. Tuttavia insistiamo su di una via d’uscita, speranza, illusione dell’essere:

«Se l’amore fosse tutto ciò di cui il mio essere non dubita, allora fondamento dell’amore sarebbe la libertà d’amare…».

In realtà in amore sei fossile e carne insieme. E la domanda ancora una volta non ha risposta:

«Ciò che pareva sopito e seppellito, stratificato da nuovi baci e amplessi, ingrigito e privo di volume, ora è ingombrante peso e inesausto desiderio che inonda l’interno…
Seppellirlo si dovrà di nuovo, con rinnovata fatica, con immane spreco di energia per ripristinare chiara e lucida visione».

Perché questa ricerca di Rosa Pierno è poetica e non prosastica e logica, bensì, perciò (il)logica? Perché solo la poesia può permetterci di cogliere la verità senza l’aiuto di elucubrate giustificazioni: la poesia non sopporta alcuna spiegazione (tanto meno scientifica) se non quella creativamente contraddittoria della nostra coscienza.

In Un universo di coscienza (tr.it.Einaudi, 2000), Gerarld M.Edelman e Giulio Tononi, dopo una articolata pregevole ricerca sul rapporto tra scienza, universo e coscienza, per proporre l’ipotesi secondo la quale la materia diventa immaginazione, comcludono: «Se consideriamo che la maggior parte delle nostre vite assume un senso nel ricco calderone di questi scambi, non dobbiamo temere l’esaurimento da parte della riduzione scientifica. Ma nemmeno dobbiamo fare ricorso a spiegazioni misteriose per spiegare tale ricchezza. Basterà riconoscere che alcuni oggetti scientificamente fondati non sono appropriati soggetti scientifici. Rallegriamocene. Mentre noi rimaniamo prigionieri della descrizione, la nostra libertà è nella grammatica».

La poesia (l’arte) è libertà della materia del linguaggio immaginifico. E straordinarie risposte (o piuttosto suggestive domande) ci vengono dalle scritture coscienziali, articolate e uniche per qualità, nel panorama della letteratura contemporanea, di Rosa Pierno, che ancora una volta con quest’opera segna felicemente una presenza imprescindibile per chi aspiri alla conoscenza nel piacere di un linguaggio  assai ‘sottile’ e coinvolgente.

Aprile 2012

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