Poesia 2.0

Ecco – mi dicevo – qualcosa del genere può forse, a volte, fare la poesia, o almeno, questa è stata talora la mia esperienza di lettore, quando ho creduto di sentire, nei testi o nei libri che incontravo, l’eco di una voce lontana eppure vicinissima a me, che sapeva entrare nel mio buio e nella mia solitudine. — Fabio Pusterla

Una residua fiducia (forse)

 

di Marco Furia

Fuori di sesto”, di Tiziano Salari, si presenta quale raccolta il cui “nucleo fondante”, come dice Mario Fresa nella sua articolata postfazione, “coincide con il persistere di una ininterrotta contemplazione del volto acuminato del dolore”.
Dolore sempre presente, diffuso, mai dimenticato.
Alla consapevolezza dell’ineluttabile fine fisica, si aggiunge il senso del mancato raggiungimento di salde certezze cui ancorare l’esistenza: da qui i numerosi riferimenti ai grandi pensatori e alle loro opere.
Salari, profondo conoscitore della filosofia occidentale, non omette precise citazioni, ma il suo menzionare non è mai mero sfoggio di erudizione, bensì vero e proprio gesto d’amore: la filosofia di cui egli parla è parte di lui, non è soltanto pensiero, è vita.
Una vita ai cui drammatici aspetti il mondo delle idee, purtroppo, non pare offrire consolazione.
Scaturisce, così, un desiderio di riscatto o, almeno, di tregua, che trova sbocco nell’esprimersi per via di versi.
Lo dimostra, ad esempio, la seguente pronuncia che, nel poco sereno contesto sopra descritto, propone un’immagine di alto valore, capace di arrestare, per qualche attimo, il continuo patimento:

“l’opera degli gnomi nei pori del silenzio”.

Qui autore e lettore sembrano davvero afferrarsi per mano e percorrere assieme un tratto la cui incalcolabile dimensione coinvolge, assieme al testo, l’intero universo del fecondo enigma.
Un tema dolorosamente ricorrente è quello dell’assiduo scorrere del tempo:

“sul letto dei tormenti la vertigine del tempo”.

Un tempo che provoca “vertigine” nella sua incessante corsa, ma che, nondimeno, può essere fonte di sollievo:

“Il pendolo col suo rintocco mi conforta mentre suona”.

C’è una differenza tra il tempo vissuto e un complesso congegno atto a misurarlo in termini certamente non esistenziali?
Sì, senza ombra di dubbio, ma tra le due entità sussiste una zona grigia di sovrapposizione che il poeta, con il verso citato, mostra di conoscere e frequentare.
C’è spazio per una residua fiducia?
Si narra che Pandora riuscì a trattenere, nel fondo del vaso, soltanto la speranza, sentimento in grado di aiutare gli uomini in tutte le loro traversie: forse il Nostro nega anche quest’ultima possibilità?
Non direi, perché a un certo punto scrive:

“ma l’apertura ad un diverso senso
ricercato nel briciolume delle cose”.

Non ha perduto del tutto la fiducia chi ammette “l’apertura ad un diverso senso” da ricercarsi nel “briciolume delle cose”.
Le “cose”, ormai non più definite (né definibili) una volta per sempre, continuano a sussistere in forme minime, in costellazioni per nulla statiche tra le quali è possibile percorrere un itinerario esposto alla contingenza, all’accidentalità, ma non per questo a priori tragico.
Forse, a ben vedere, con quei versi ordinati e pregnanti, con quel dire che sembra trovare la propria origine in profondi studi e, nello stesso tempo, nell’illuminazione subitanea dell’attimo, con quel suo insistere su cadenze provenienti da lontano eppure mai estranee, vicine, forse, dicevo, Tiziano intende indicare nell’”apertura ad un diverso senso” un molteplice emergere di realizzabili scelte, ossia una multiforme pluralità di condizioni tale da consentirci di ampliare i nostri orizzonti e di costruire, consapevolmente liberi, un’esistenza più degna.
A me, almeno, piace pensare così.

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