Gilberto Isella: “Variabili spessori” – una nota di Rosa Pierno

 

Un inno alla variazione perpetua, al divenire colto nel suo fluente svolgersi. Soltanto analogie da cogliere in relazione a una forma successiva, non certo a un’idea fissa e immutabile: “una corda, un nodo, una simulazione, è tutto”. Così in ogni cosa si può vedere un’altra cosa e cogliere quelle relazioni che sono l’altro modo di costruire il proprio sapere, appartenenti cioè a una logica non conseguente, prima che contraddittoria, non classica: “Solo nel gigantesco basso / una radice / conserva acceso / l’arcobaleno”. Tale “ambizione indistruttibile all’intrigo”, che costruisce appunto questa ininterrotta rete di relazioni, è ciò che definisce l’attività di Gilberto Isella, poeta. In una profusione di labili e favolosi legami, il verosimile diviene il collante che fa aderire materie incongrue e dà forma all’universo-mondo.

Se palpi
le terre di nessuno
incontri
faglie con vibresse
capogiri di gatti

O reclini su smalti
con bocche maculate
le bontà del sole

Ove però non si recide mai la speculare astratta proiezione che vede costruire col senso, coi rudimenti, con le idee, con le astrazioni tale mai dismessa frequentazione.  Solo attuata con contatti laterali, casuali, indiretti, miscidati.

Silenzio, incompiuto formano l’altra metà del cielo, non l’ossatura delle apparenze – le quali sembrano più fatte di materia morbida, flessuosa, elastica che rigida – in un dialogo gentile e mai tracotante, anzi flebile, delicatissimo. E’ un lieve coabitare di differenti pensieri, accavallantesi come per onda che continuamente travolga e faccia riemergere. Non solo relazioni, anche trasformazioni, non ricongiungibili punto per punto, ma come in una dissolvenza o per intermittenze di incoscienza, per lacune di continuità, per pura creatività, la quale sovrappone immagini, anziché distogliersene, come vorrebbe platonico dettato.

La trasformazione è, in realtà, lessicale. A un vocabolo viene associato un sintagma, composto di elementi appartenenti a  diverse categorie, a diversi nodi semantici. Ma anche interposizione di altre  parole che aumentano ulteriormente la distanza semantica. Spesso retti da una connessione di senso, ma non necessariamente: “Se i fiori / con gesti claustrali / allineano vene di luna / sotto le zolle”. Le relazioni non sono più immediatamente comprensibili, forse lo è soltanto il contesto, eppure, non si perde il filo, ci si rende conto che si sta camminando nel labirinto della lingua. Ciascuna di queste forme crea e fa emergere da se stessa un suo proprio mondo di plurimi significati, non emergenti che nella scrittura.

Importante resta il dialogo incessante con la natura formalizzato non solo attraverso la scienza da cui si risale all’individuazione di leggi universali, ma soprattutto recuperato dai segni riscontrabili in essa, tramite cui pare addirittura che si possa toccare vividamente il reale. Vi si esperisce il rapporto tra l’elemento concreto e l’idea e si scopre il concetto che sembra annidato nei sensi:

Lì, solo lì,
in quel ventaglio di cifre
scolorite
sta il solco maestoso
dove sconfina
ogni medesimezza, ogni rotondità

E’ presente in Isella una propositività che delinea un diverso percorso, che non va dal concreto all’astratto, ma tutto trattiene senza scarti, poiché innervato nella propria sensibilità e nella propria mente insieme alla materia percepita: “Sii come colui che con un morso / fortifica il vuoto / dentro la polpa generante”.  E’ questo che gli consente di  spingere “nel canneto / astri e frantumi”.

O anche ciò che consente di rinvenire il macrocosmo nel microcosmo, come se la dimensione dell’astronomia fosse contenuta nell’insieme delle cose microscopiche: “in variabili spessori seguendo l’andirivieni degli astri / dentro il cerchio minaccioso  di una macchia”.  Che cosa non sia possibile fare o pensare quando si sia volontariamente rinunciato a seguire la via maestra della tradizione occidentale, quella delineata da Platone che ha continuato ad agire in tutto il pensiero filosofico seguente?!

Gilberto Isella  fa saltare i consueti schemi, rende ebbre le geometrie, non con l’introduzione di nuovi assiomi  (geometria euclidea e non-euclidea), ma sabotandole dall’interno. Al  fine, certo, la logica è quella della lingua, non quella dei linguaggi matematici ed è dalla lingua che il poeta sa trarre corde inusitate, modalità d’interpretare il dato in forma non canonica. La logica della lingua non è astratta né astraibile. Ciò che appunto rende preziosa la poesia, rarissima gemma, che quella mostra nel suo più complesso grado.

Rosa Pierno
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