Poesia 2.0

Del resto chi sceglie di fare il poeta (o il filosofo) sceglie la solitudine, altrimenti non potrebbe sentire le parole “vere” e distinguerle da quelle false di cui è pieno il mondo. Solitudine e silenzio sono gli elementi del poeta. — Roberto Carifi

Mappatura – Riviste: L’arrivista n.4

 

L’arrivista – Quaderni democratici

Rivista Quadrimestrale di cultura

Curatore
Ivan Pozzoni

Redazione
Aperta ai contributi di numerosi intellettuali sparsi sul territorio nazionale

Casa Editrice
Limina Mentis Editore(Collana: Princesse)

Contatti
email - [email protected]
cell. – 333/6303996
tel – 039/8943702
fax – 039/8942700

Formato
15×21
160 pagine

ISBN978-88-95881-37-9

Prezzo €10.00


 

EDITORIALE

La sconfitta di ogni silenzio definitivo come forma di resistenza all’inesistenza

(Ivan Pozzoni)

 

 

 

Già difficile da motivare escatologicamente, la morte non deve mai assumere i tratti di una condanna definitiva al silenzio.

Dove il rumore di fondo si scontri con un silenzio definitivo, uscendone amplificato, il brusio del vuoto chiacchiericcio heideggeriano domina la scena dei teatri della società, trasformando i vari attori, noi tutti, in burattini muti e senza radici, distanti da ogni nostalgia di boschi d’alberi e mossi, unicamente, dai fili tirati da autorità, non autorevoli, disimpegnate e senza scrupoli. Come non deve fare a meno dell’idea stessa di comunità interindividuale, in un post-moderno orientato a diluire la nozione di comunione nell’alveo di strutture fluide come «sciami» o «comunità guardaroba» ciascun individuo ha il dovere di combattere, in vista della realizzazione di una sincera «comunione coi morti», liberando i morti dal silenzio definitivo e svincolando se stesso dalle catene dello sradicamento; ciascun individuo ha il dovere di concretarsi ricettore, neuro-trasmettitore, attore di memoria, registrando e veicolando «voci» di morti, sconfiggendo morte fisica dei morti e morte civile dei vivi.

La sconfitta di ogni silenzio definitivo, di vivi o morti, avanza il cammino dell’umanità sulla strada dell’immortalità, rendendoci liberi dalla morte e nella vita; ogni «comunione coi morti» è forma di resistenza:

 

BALLATA DEGLI INESISTENTI

Potrei tentare di narrarvi
al suono della mia tastiera
come Baasima morì di lebbra
senza mai raggiunger la frontiera,
o come l’armeno Méroujan
sotto uno sventolio di mezzelune
sentì svanire l’aria dai suoi occhi
buttati via in una fossa comune;
Charlee, che travasata a Brisbane
in cerca di un mondo migliore,
concluse il viaggio
dentro le fauci di un alligatore,
o Aurélio, chiamato Bruna
che dopo otto mesi d’ospedale
morì di aidiesse contratto
a battere su una tangenziale.
Nessuno si ricorderà di Yehoudith,
delle sue labbra rosse carminio,
finite a bere veleni tossici
in un campo di sterminio,
o di Eerikki, dalla barba rossa, che,
sconfitto dalla smania di navigare,
dorme, raschiato dalle orche,
sui fondi d’un qualche mare;
la testa di Sandrine, duchessa
di Borgogna, udì rumor di festa
cadendo dalla lama d’una ghigliottina
in una cesta,
e Daisuke, moderno samurai,
del motore d’un aereo contava i giri
trasumanando un gesto da kamikaze
in harakiri.
Potrei starvi a raccontare
nell’afa d’una notte d’estate
come Iris ed Anthia, bimbe spartane
dacché deformi furono abbandonate,
o come Deendayal schiattò di stenti
imputabile dell’unico reato
di vivere una vita da intoccabile
senza mai essersi ribellato;
Ituha, ragazza indiana,
che, minacciata da un coltello,
finì a danzare con Manitou
nelle anticamere di un bordello,
e Luther, nato nel Lancashire,
che, liberato dal mestiere d’accattone,
fu messo a morire da sua maestà britannica
nelle miniere di carbone.
Chi si ricorderà di Itzayana,
e della sua famiglia massacrata
in un villaggio ai margini del Messico
dall’esercito di Carranza in ritirata,
e chi di Idris, africano ribelle,
tramortito dallo shock e dalle ustioni
mentre, indomito al dominio coloniale,
cercava di rubare un camion di munizioni;
Shahdi, volò alta nel cielo
sulle aste della verde rivoluzione,
atterrando a Teheran, le ali dilaniate
da un colpo di cannone,
e Tikhomir, muratore ceceno,
che rovinò tra i volti indifferenti
a terra dal tetto del Mausoleo
di Lenin, senza commenti.
Questi miei oggetti di racconto
fratti a frammenti di inesistenza
trasmettano suoni distanti
di resistenza.

 

 

Ivan Pozzoni

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