A proposito di “Addio alle Armi” n.2: Christian Sinicco

 

di Christian Sinicco

Nel 1984 su Poesia della metamorfosi – Antologia e proposte critiche a cura di Fabio Doplicher (Stilb, Roma) viene pubblicato un saggio di Piero Bigongiari dal titolo “Poesia della metamorfosi o metamorfosi della poesia?”: a interessare è il metamorfismo dei poeti; raccolta dopo raccolta, periodo dopo periodo, questi mettono in discussione le funzioni che la propria poesia svolge; e provocano differenze tra quello che scrivono, consci della possibilità di operare da una grande variabilità di moduli letterari, di concetti o di ideologie, di possibilità per trasformarsi i processi di formazione dell’opera; consci della continua leggibilità dell’opera, non solo nel tempo e nello “spazio che l’ha vista nascere, ma nelle condizioni storiche continuamente diverse in cui si traspone, traspone il suo moto stellare di senso”.

Il tema del metamorfismo, come esposto da Bigongiari, amplia la sfera di intervento del concetto “poesia” nella realtà, coglie con lucidità il lavoro compiuto nei decenni precedenti, prende nota di come le formatività (o processi di formazione) siano mutate, propone un punto di vista diverso al fine di oltrepassare i sistemi di critica novecenteschi, condizionando la critica militante a rivedere l’ambito di applicazione storicista. L’apertura di Bigongiari può costituire per noi un serio punto d’appoggio, per produrre effetti, conseguenze, cambiamenti negli apparati che svolgono l’attività di critica.
La questione delle ideologie (se vogliamo delle poetiche) era stata già affrontata da Pasolini, rispondendo ad una lettera tra il 1960 e il 1965, raccolta in “Belle Bandiere” (uscito postumo nel 1977 con un commento di Angela Molteni):

“Il linguaggio della poesia è un linguaggio a parte. Sua caratteristica interna e permanente è la diacronicità […] Ma se la diacronicità caratterizza tutto il linguaggio della poesia, costituendo, del linguaggio della poesia, una storia particolare, in ogni letteratura, tale diacronicità è tipica anche di ogni poesia singola. Il tempo della poesia è il remoto, l’imperfetto o il futuro. Il passato prossimo è impossibile (così com’è tipico nell’uso odierno dell’italiano): il presente è possibile come drammatizzazione del passato, ossia come presente storico. Anche il presente del diario, non è che una finzione: in realtà già l’animo del poeta è rievocante. Si direbbe insomma che la poesia deve reggersi sul mito del tempo: stendere un velo di tempo sulle cose dette, o passato o futuro. In tale diacronicità si può concepire la sua tendenziale metastoricità, altrimenti di tipo ambiguamente spiritualistico. Si capisce che la sua irrazionalità (che si concreta nel mito del tempo) è tale solo apparentemente: non è che una rievocazione o una predizione logica elittica. L’intuizione non è che qualche salto di pensiero logico. Ecco perché ogni atto poetico o genericamente intuitivo è sempre riconducibile ad una ideologia razionale.” Pasolini da una lettera datata 18 marzo 1965.

A sostenere l’impianto di queste prime impostazioni critiche propongo la lettura di “Estetica. Teoria della formatività” di L. Pareyson (saggio del 1954, ristampato da Bompiani nel 1988), che snocciola in modo impeccabile l’interazione tra il poeta (colui che fa), il processo di formazione, l’opera formata (risultato di tutte le scelte del poeta e di tutti gli orientamenti formativi che dalla stessa si sono presentati, proposti, generati) e le molteplici possibilità interpretative-esecutive dell’opera, che hanno a che fare con un’altra interazione, quella che vede il fruitore non solo come destinatario del “messaggio”, ma come ulteriore interprete, avvicinandolo al poeta poiché del tutto capace di dare vita all’opera stessa, eseguendola nuovamente e in diversi modi, ristabilendone i nessi.

La metamorfosi della formatività in poesia è un valore per la critica, oggi?
La critica fa fatica a comprendere i poeti capaci di evolvere significativamente la funzionalità delle proprie opere, a partire da nuove teoresi, anche se il discorso del metamorfismo potrebbe calzare perfettamente con il lavoro di alcuni autori della Neoavanguardia, ad esempio Pagliarani – sappiamo benissimo quanto gli studi semiologici hanno contribuito all’affermarsi del movimento e quanto l’ottica di Pareyson sia stata importante per molti semiologi.
Tuttavia, per gli studi contemporanei, le basi di estetica a cui dovrebbe riferirsi la critica, appaiono poco chiare, inficiando il risultato delle selezioni e delle operazioni di comunicazione/marketing della poesia.
Implicitamente la questione delle poetiche (assumo il termine di molteplici formatività, che risponde meglio alla mia impostazione) e il metamorfismo, si sono strutturati nella nostra esperienza di poeti e nella realtà tout court. Lo scatto che chiediamo alla critica, risponde a questa domanda: perché il metamorfismo e tutte le questioni legate alla formatività, dovrebbero essere importanti oggi? Forse perché l’autore dimostra – in un panorama non di 20 poeti, ma di migliaia di persone che scrivono – di possedere numerose opzioni di formazione dell’opera; dall’altro lato un’esperienza del mondo così veloce, con il moltiplicarsi delle informazioni, costringe a un labor maggiore, per i continui ripensamenti a cui sarebbe soggetta l’opera, il concetto stesso di poesia, e il suo demiurgo: l’offrire più opzioni formative ai “fruitori (esecutori/interpreti)” è necessario, quanto “il moto stellare di senso” delle opere, che hanno l’urgenza di possedere qualità non solo in un dato momento storico. L’articolo di Bigongiari, mette in relazione non solo la parte sociologica dei cambiamenti teoretici che nei decenni precedenti avevano investito la poesia, ma pure gli strati dell’elaborazione formativa che tengono conto del tempo e che attribuiscono all’opera qualità in grado di resistere alla “storia”, anche a quella che non riflettiamo, che parrebbe mancare, non farsi, oggi, triturata dall’informazione incessante e dai processi socio-economici. L’epoca in cui viviamo pone alcune implicazioni anche alla critica: non è più possibile ridurre l’ambito del suo intervento all’ideologia o poetica dell’autore in un dato periodo; l’opera ha bisogno di essere valutata, testata, su un continuum spazio-temporale, che considera i modelli, gli orientamenti, le teoresi e gli spunti come molteplici, prefigurando molteplici risultati e scenari. Queste premesse non garantiscono più alla critica letteraria “orizzonti culturali” – per usare un termine di cui si abusa – di semplice individuazione, di modelli e di movimenti facilmente individuabili. Tuttavia la critica non ne è delegittimata, ha solo bisogno di riconfigurare il proprio lavoro in maniera organica; la critica non può segregarsi, cortocircuitando nelle proprie categorie, farsi timida osservatrice del poeta e dell’opera che esprimerebbe già tutto non si sa bene il perché, o con vaghe mistiche pagine idolatriche, spesso immotivate. Critica, da dove ricominciare?
Per quanto mi riguarda, considerarò gli sviluppi che le pagine di estetica di Bigongiari e Pareyson hanno per me sul piano di un’ipotetica selezione, e prima di questo metterò in rete l’informazione e lavorerò in gruppo, per postare i testi dei poeti, i video, gli audio.
A proposito, molta informazione è già presente in rete – purtroppo questo strumento è ancora impensabile per certa critica.

La formatività come performance (che) continua

Pasolini nel parlare di “atto poetico” usa il termine “riconducibile” a una “ideologia razionale”: siamo in presenza di un processo formativo dove la “formatività logica” o le teoresi generano via via l’opera; va da sé che la critica possa supporre la presenza di questi orientamenti e cercare questi elementi attraverso le opere (al termine “ideologia razionale” preferisco i termini teoresi o “formatività logica”, poiché se devo descrivere il labor poetico mi troverò in presenza di una sfera di cristallo visionaria che monta e rimonta la storia, l’opera, i suoi elementi di finzione, e ne scopre i nessi, oppure li istruisce nuovamente; immagino questo, cercando di comprendere il processo di formazione e tutti i suoi passaggi, per giungere alle teoresi presenti; inoltre posso non introdurre la dicotomia razionale/irrazionale, poiché la logica può essere simmetrica (a=b, c=d, e questo varrà per un periodo prestabilito o per tutte le epoche e i tempi della nostra interpretazione) e può essere asimettrica, come nei sogni, ovvero attribuire a particolari simboli valori differenti in tempi e situazioni diverse, anche all’interno dell’opera formata; ma tutti gli aspetti di logica simmetrica e asimettrica sono riscontrabili nell’opera formata e il poeta ne è a suo modo attore, poiché il processo di formazione che utilizza considera il tempo, ed esso è il principale attore del cambiamento; processi di logica simmetrica e assimetrica sono riscontrabili nei sogni; Pasolini evoca la logica (simettrica/asimmetrica) nel suo articolo, riferendola al termine “ideologia razionale” che potrebbe essere fuorviante).
La ricerca delle procedure di formazione esplicita le opzioni e gli orientamenti, coordinati nell’atto dell’artista.
Durante la formazione dell’opera le scelte del poeta si coordinano con una materia/lingua in fase di modellazione, materia/lingua che comincia a essere rilevante via via per l’opera formata – questa altresì non è detto risponda perfettamente all’ideologia di partenza, per questo lo studio della formatività esplicita e descrive meglio le teoresi presenti.
La stessa formazione può risultare un processo fortemente performativo, dove la ripetizione/rifunzionalizzazione dei materiali esplicita numerose possibilità istantanee, percorribili dal poeta-performer, e quindi “riconducibili” dal critico a un processo formato da elementi che strutturano teoresi. Il fare del poeta ha poi le sue dovute ripercussioni in fase di “esecuzione/interpretazione” dell’opera formata, durante uno spettacolo, in una lettura pubblica, per mezzo di una lettura privata.
Il poeta nel processo di formazione può essere conscio di questo “atto” performativo, la cui durata non è limitata alla formazione? Il poeta agisce sull’opera, la modifica più volte in corso di formazione, ne è orientato: si potrebbe pensare che l’azione del poeta, tutto il suo labor formativo, sia anche un test. Ogni volta che ci lavora, o che riprende il lavoro, è una performance, e allo stesso tempo un test: la modifica in base all’ideologia di partenza, perché é stato travolto da nuovi orientamenti; può operare delle variazioni alla sua stessa ideologia, considerando i nuovi elementi; può cambiare il processo formativo scelto, rimescolare le carte, la sua casa può diventare a un tratto il caos, libri aperti ovunque, fogli sparsi, i vicini potrebbero udire delle grida, pianti, canti.
Durante il processo di formazione, il materiale prodotto e gli spunti non sono mai accessori, ma fortemente orientativi, e il processo di formazione (la stessa formatività dell’artista) accade, l’azione genera l’opera; il poeta è condizionato dal suo abituale modo di approcciare la formazione, ma non teme l’azione che genera l’opera, nemmeno quando dis-orienta la stessa ideologia/spunto di partenza – preciso questo perché poeti interessanti cadono vittime di impostazioni (teoretiche, ritmiche, metriche, etc.) che assumono nella formatività, le quali danno sicurezze e forniscono riconoscibilità, ma “ipostatizzando” l’opera formata: il rischio è di far leggere gli strumenti come sussistenti per se stessi.
La formatività è un territorio minato per il poeta: la sua performance, il cui risultato è l’opera formata, si spiega infine sul terreno dell’interpretazione/esecuzione.

L’artista, può intervenire numerose volte sull’opera, per salvaguardare le proprie teoresi di partenza, variando il processo, e può anche scegliere di variare in corsa la propria – direbbe Pasolini – “ideologia razionale” per salvaguardare aspetti della formazione emersi successivamente; attraversando tutta questa variabilità di orientamenti, l’artista “stratifica” i suoi atti nel corso del tempo e arriva all’opera formata.
Se il critico non può prescindere dalla ricerca di un’ideologia, dovrà ammettere che l’ideologia può mutarsi nel corso della formazione, e se è vero che la poesia risponde a diverse mitologie del tempo e dell’azione, è pure vero che il poeta e l’esecutore/interprete dell’opera (in ogni tempo e periodo storico) agiscono su questi cronometri.
Tutti questi atti del continuum spazio-temporale, reinterpretando Bigongiari che nella sua analisi si spinge oltre Pasolini (che ha rubato qualche termine a De Saussure), sono sia diacronici che sincronici.
Lo osserviamo durante la formazione/performance, lo osserviamo durante l’esecuzione (qualsiasi essa sia, anche una lettura privata) nelle relazioni che l’opera nuovamente tesse grazie a noi, da soli, o in scena, e lo osserveranno altri uomini e donne con nuovi occhi in altre epoche.
Sono determinato a eliminare definitivamente la possibilità di categorizzazioni come “poesia performativa”, “poesia che funziona in lettura”, “poesia di ricerca”, etc., su cui sono emerse negli ultimi anni delle polemiche sterili, non considerando la formatività del poeta e, almeno, un’estetica di riferimento.
La poesia, e tutto il suo fare, la sua formatività, nella mia accezione, sono tutti atti performativi dal primo verso consegnato all’opera, agli “stress-test” del poeta durante la formazione, all’ultima rilettura, anche quella “dantesca” di un liceale.

Istruzioni in corso d’operatività

Il caso italiano è certamente non privo di difficoltà. Viviamo in un paese che raggiungerà il traguardo dei 60 milioni di abitanti, la cui scolarizzazione ha fatto passi da gigante. I nuovi strumenti di comunicazione hanno già prodotto la proliferazione di contenuti, la moltiplicazione delle informazioni (per una riflessione ulteriore, “Cantie Balli” su fucine.com). La novità è che la ricerca è più semplice, grazie agli archivi prodotti (AbsolutePoetry, Poesia2punto0, Liberinversi,…); pare difficile la comprensione di ciò che è accaduto alla poesia dopo appena dieci anni di internet (si legga l’articolo di Valerio Cuccaroni “La poesia in rete 2.0, pubblicato dalla rivista Poesia e postato anche su Absolute Poetry), ma è solo un problema di organizzazione: non si sa a cosa serve ciò che è stato comunicato, non si comprende come possa farsi nuovamente produttivo.
Prendendo spunto da un articolo proprio su Anterem “Qual è il centro?”, che riguardava la poesia in relazione a internet, e da “Opzioni utopiche” su Absolute Poetry, metterei l’accento sulla possibilità di sviluppare “progetti” di ricerca sulla poesia, affrontando il territorio italiano, attraverso selezioni regionali, includendo anche i poeti italiani di Svizzera, di Istria e Dalmazia, ovunque siano presenti comunità di parlanti all’estero. Già questo lavoro viene anticipato da quello sulla poesia in lingue minoritarie (di ceppo latino, lingue/dialetti) del territorio italiano, promosso dalla rivista “Argo”; mancherebbe una sistemazione antologica per chi opera nella lingua italiana. La maggior parte delle selezioni antologiche degli ultimi 15 anni sono fallite per la mancanza di selezione a partire dal territorio, che farebbe emergere le distribuzioni di autori tra le varie regioni. Altra problematicità è certo l’antologizzazione sulla base di generazioni, che riterrei utile in fase di catalogazione e come “search” interno; se un critico dovesse giungere ad un risultato, dovrebbe far emergere la propria visione critica nella selezione finale – siamo stati abituati a prefazioni meravigliose, seguite da proposte antologiche che non riflettevano per nulla le impostazioni critiche, proprio per la mancanza di “archivio” -, non dimenticando però autori, le cui storie sono dignitose; e non si dovrebbero dimenticare le nuovissime generazioni, i cui risultati emergeranno in futuro. Un progetto antologico, in rete e in squadra, dotato di un’ottica di ricerca generazionale, tripartito tra 1. poeti rilevanti dal punto di vista di una critica individuale che superi le categorie novecentesche, 2. poeti rilevanti sul territorio, le cui storie siano di interesse, e poeti nelle cui opere siano presenti novità nei processi di formazione; 3. autori “promesse”.
Non siamo più in presenza di un contesto fatto da movimenti letterari, nutrito da autori la cui linea formativa è categorizzabile storicamente, ma in presenza di una esplosione di ideologie, poetiche, opzioni formative. Tutti questi elementi sono di interesse, anche se non incontreranno sempre i nostri gusti critici. La critica a cui piace il discorso monotono delle sue scelte primigenie, fin dal primo vagito poetico, rimarrà sbigottita dalla bestia della poesia metamorfica? La monotonia funzionale, la ripresentazione di modi di fare, la riconoscibilità con qualche variazione sul tema di una serie di poeti, ha ragione di valere anche per le nuove generazioni? Ciò che qualcuno chiama “cifra”, cosa significa oggi? Cari amici, non ridete; ho scritto troppo, e complicato molto. Ovviamente affrontare il discorso sul metamorfismo e la poesia, che ho a cuore, equivale a spronare i critici a un lavoro durissimo di motivazione, e i poeti a tenersi informati. Equivale forse a porre l’assedio a quella critica preparatissima, i cui risultati sono insoddisfacenti. Gli interrogativi rimangono aperti, e la strutturazione di un convegno potrebbe affrontarli seriamente, poiché non possiamo parlare di poetiche, senza l’introduzione di elementi estetici a supporto della critica, senza la mediazione di un nuovo (in verità mediato da qualche vecchio) modo di vedere la critica e il nostro impegno.

(Articolo realizzato per l’incontro organizzato da Poesia2punto0 del 21 gennaio 2012 a Verona)

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4 Comments

  • E’ inutile ragionare ancora in termini di “novità”. Tutto è già stato detto. Tutto è già stato tentato. Non siamo e non possiamo essere altro che epigoni. Epigoni più o meno validi, più o meno abili, più o meno astuti. Non c’è mai stato un artista o un pensatore senza maestri. Ma visto che oramai, in quest’età sovraccarica, i maestri sono infiniti. il margine di possibile innovazione si è ridotto al minimo: ad un clinamen quasi impercettibile. La “performance” io la lascerei fare ai pornoattori o ai motori diesel. In poesia, essa è solo voce che passa e che non dura, e che quasi nessuno ascolta (quand’anche in molti la sentano). Il testo scritto (su carta o in rete) cade nell’indifferenza e nel silenzio sul momento, ma potrà un giorno trovare il suo lettore. Nessuno ha mai scritto per i contemporanei, o principalmente per loro. Men che mai oggi.

  • Nell’articolo “La nuova poesia in Italia?” http://www.absolutepoetry.org/La-nuova-poesia-in-Italia scrivevo questo Luigi: “La scelta del termine topologia, utilizzato per la breve carrellata di autori, intende sottolineare le proprietà salienti tra alcuni luoghi del fare/produrre di questi poeti, come se essi si siano effettivamente fermati a riflettere criticamente e analiticamente sulla propria produzione, ed alcuni posizionamenti siano intenzionalmente voluti (ovviamente questa è una finzione a cui si può credere, ma non priva di dubbi e solo il tempo potrà servire a delimitarne la bontà, ma soprattutto gli stessi autori e la critica interessata a fomentare il dibattito)”. Risalivo quindi dall’analisi dei processi formativi, quindi da una fase se vuoi di ricerca, a indicare la possibilità si aprisse un dibattito incrociando i dati – soprattutto a partire da altre posizioni. A parte il fatto che quell’articolo, un po’ grezzo, rimane tra i più letti, devi considerare che nel 2006 lo presero in discussione poche persone: Luigi Nacci nell’editoriale di Fucine Mute 87 e Italo Testa che poi ha ripreso il termine metamorfismo per il suo lavoro sull’Ulisse, dove però non viene sviluppata una nuova critica, anzi i termini sono molto novecenteschi, che un po’ stona invece con le ottime analisi estetiche di Italo, su alcuni processi che ho pubblicato su http://www.metabolgia.wordpress.com. Cercavo anch’io di sfuggire a una pratica di selezione “stretta”, piuttosto cercando di notare alcuni tratti comuni o novità, ma non puoi come critica sfuggire alla domanda “cosa, e perché, è bello?” perché si tratta di comunicare un risultato frutto di due componenti (per me), la propria oggettività e la propria soggettività . Se grazie ad un sistema, grazie all’etica, all’epistemologia e all’estetica di cui ci dotiamo, possiamo dire di essere il più possibile oggettivi nella ricerca, non è corretto trascurare la propria soggettività e tra gli elementi della ricerca individuare ciò che è bello, motivandolo. Altrimenti la critica sarebbe solo un esercizio di stile senza alcun rischio.
    Non è detto che la selezione non possa essere frutto di una ricerca redazionale o in rete, con un buon dibattito interno e probabilmente anche con molte eccezioni individuali, ma senza risultati non ci possono essere dibattiti e comunicazione e senza dibattiti non si possono mettere in crisi i risultati, far in modo che gli stessi poeti siano consci di processi in atto, e procedere oltre.
    Per quanto mi riguarda, dopo aver osservato l’esistenza di processi metamorfici in atto, mi interessava superare il termine categoria, poiché sarebbe andato in crisi subito. Da un altro lato ribadivo che per gli autori, essere arrivati a simili topologie, non corrispondeva all’aver utilizzato gli stessi processi formativi – che ribadisco poiché gli aspetti formativi riscontrati che ne so nella Stanchina, con una serie di teoresi complesse, non sono paragonabili a elementi emersi nelle opere di Tuzet, il cui labor sul linguaggio è maggiore.
    La domanda che oggi mi si potrebbe porre è come stanno andando le cose, chi sale e chi scende, poiché non è facile dopo un’opera buona produrne un altra di livello simile. Diciamo che è un po’ come il caricamento di un film in qualche torrent, ce ne hai in download un centinaio, vediamo quanti giga e quanto bene si carica! Probabilmente tra cinque – dieci anni potremo avere più certezze (nello stesso momento sto rispondendo al questionario di poesia 2.0, dove faccio anche qualche nome).

  • L’intervento di Christian è complesso ed affronta le numerose facce ed i molti risvolti di uno stesso tema: la critica.
    Bisogna che lo rilegga ancora una volta (oltre alle due letture già affrontate) per avere più chiaro i punti sottolineati e cercare di trovare un modo per unirli nella testa.
    Una sola cosa, però, mi preme sottolineare (perché mi pongo la domanda lubranamente spontanea): se è vera l’ipotesti di partenza di una poesia in stretta relazione con la metamorfosi; se è in atto il metamorfismo della poesia etc., ha ancora senso un approccio critico “classificatorio” e “selettivo” oppure non è anche questa particolare forma di critica ad essere novecentesca, anacronistica?
    di che tipo di critica c’è bisogno nel mondo della “bestia della poesia metamorfica”?
    è realista proporre una critica non delle classificazioni e delle antologie secondo giudizi e principi estetici, ma una critica delle relazioni, delle interrelazioni, delle cause e delle conseguenze?
    L.

  • E’ una fase di grande confusione, ma anche di grande elaborazione. Tuttavia stiamo ragionando secondo i canoni dell’umanesimo classico, ma siamo sicuri che siano ancora una valida chiave di lettura? Stiamo assistendo a cambiamenti che possiamo definire di portata antropologica e non è ancora chiaro che cosa potrà succedere con l’utilizzo delle biotecnologie. Per non parlare di forme di manipolazione cerebrale di cui non si parla ufficialmente, ma che ufficiosamente possiamo già immaginare…

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