PoetiCut n.3: Primi passi nelle terre di PoetiCut con Mariangela Guàtteri

 

Ecco Mariangela. Ha avuto qualche contrattempo, cose che capitano. Chiudo il file dedicato a Cappello, la finestra video aperta su uno sketch di Buster Keaton e pago il caffè. Facciamo due passi per il Gräfekiez, il quartiere, la zona, il Kiez appunto, che si snoda lungo la Gräfestraβe. Magari si va verso il piccolo zoo pubblico del parco sull’Hasenheide dove Enrico Carovani ha filmato cammelli, oche e caprette e alpaca per il suo Herbst. Comincio a farle qualche domanda legata ai temi del nostro viaggio per le lande di Poeticut. Gennaio, eppure di neve qui non se n’è ancora vista. Fa un freddo uguale al freddo di Torino, con i medesimi colori e un cielo più ampio.

 

Mariangela, quando è nato il primo video tratto da un tuo testo?  

Alla fine degli anni Settanta andavo in giro con una 8mm ereditata da mio nonno. Il sonoro non c’era. Il testo non c’era perché non ce n’era bisogno. Il montaggio non-lineare non c’era (c’era lo scotch ma io non lo usavo). Operavo con il minimo delle cose e realizzavo dei filmini che mi restituivano uno sguardo estraneo e la cosa mi piaceva.
Dopo molti filmini, molti video su nastro, esperimenti, eccetera, nel 1996 ho fatto un ibrido: “Real Name”, realizzato con materiali analogici, sequenze digitali in 3D e voci di sintesi che leggono dei testi in inglese, una sorta di sought poem. Questo video è poi diventato uno degli elementi de “La scatola con gli insetti”, performance multimediale di Enrico Ghedi.

 

Cosa aggiunge un video alla tua ricerca lirica?

Da adolescente sono stata a bottega da uno scultore, Galileo Scorticati. Mi ha insegnato a levare. Un video non aggiunge, è (dovrebbe essere) una cosa anche autonoma, altrimenti è un trailer. E parlerei di ricerca in senso più ampio.

 

Secondo te esiste la video poesia o soltanto poesie in video (lasciando da parte le riprese di letture-reading poetici-slam)?

Esiste il video come tecnologia che può essere gestita in modo da proporre oggetti enigmatici o deviati o devianti, anche molto crudeli (è anche già successo alla fotografia). Non so più come chiamarle certe cose; preferisco allora sconfinare dalle definizioni (che riservo ai tag, alle classificazioni: affascinanti e irritanti quando mostrano tutta l’inadeguatezza e l’imprecisione dello strumento che tende, vorrebbe organizzare la conoscenza).
Ad ogni modo esistono anche cose come queste (l’elenco vero è poi più lungo):

 

i swarm di Nico Vassilakis

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action writing di Marco Giovenale

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eVid di Miron Tee

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Quando le chiedo se conosce videopoeti in senso stretto mi fulmina con una battuta: Conosco dei poeti in senso largo.

E quando provo a uscirne domandandole se esiste un pubblico di videopoesia propriamente detto, se chi legge poesia oggi è interessato anche a forme di lettura mediate dal video, mi fulmina ancora, bonariamente: Bisognerebbe fare un sondaggio.

A dar retta al numero di visualizzazioni ottenute ad esempio da questi lavori citati da Mariangela l’interesse sembrerebbe modesto, per non dire nullo. Ma qui non si sta ad inseguire una imprecisata forma di successo, di seguito popolare, ampio e generoso: si fanno ricerche, esperimenti, prove di laboratorio, e ognuno coltiva la propria arte. Così come la poesia scritta e la poesia letta, oggi secondo me la poesia video nel suo piccolo soffre di stilemi e retoriche tali da renderla impenetrabile e quasi ostile, lontana, oltre che “automatica”: la parodia di se stessa …  D’altra parte, se un videopoeta, come già accaduto, decide di intitolare un proprio lavoro “reggicalze!! PROF di lettere recita poesia – –DA PAURAA!!!…” con un fotogramma ambiguo, niente di ché, come icona video, ecco la pioggia di contatti. Provare per credere. Stamattina comunque a Berlino il cielo ha deciso di abbaiare, ma non scroscia. E noi proseguiamo oltre la Urbanstraβe.

 

Hai mai pensato a pubblicazioni di poesia con relativo dvd di illustrazioni visive? Sarebbe una possibilità a tuo avviso?

Farei attenzione ai rapporti di sussidiarietà e sarei cauta, molto cauta nell’addizione.

 

Quale cinema definiresti “di poesia”?

Con tutti i dubbi che ho già espresso, e tanto per capirci un minimo, ho recentemente molto apprezzato il film “Fusione di terza fase” di Giulio Marzaioli.

 

Vedi il cinema con la lente dei tuoi componimenti?

No.

 

Vedi cinema?

Sempre meno.

 

Senti, per pura associazione mentale … ne “L´assedio” di Bertolucci hai trovato qualcosa di quel che intendi per “Stati d´assedio”?

No, non ricordo questo film.

 

La tua risposta al senso di scrivere dopo Auschwitz: nei tuoi video ho visto scheletri, lastre di gambe e braccia …

Non ho alcuna risposta al senso di scrivere dopo Auschwitz, non mi sono mai posta questa domanda. Gli scheletri a cui ti riferisci, non so, forse quelli in un mio video girato a Chott El Jerid?

 

Sì, ossa di animali, deserto …

Guarda, la prima cosa che mi viene in mente, parlando di Auschwitz, sono i numeri. Questo per dire che ognuno ha comunque i propri “puntatori”, riferimenti e riflessi o abbagli.

 

Cosa ti ha insegnato, cos’hai preso dalla poesia del Novecento (mi è rimasto appiccicato Bertolucci …)? Cos´è la poesia dopo il Novecento?

Tralasciamo queste due domande? Presuppongono degli argini molto alti e certi.

 

Allora facciamo un nome del Novecento che continua a finire: ti sentivi legata a Zanzotto nello scrivere?

No. Ma in seguito ho trovato qualche segno e segnale d’incrocio.

 

Il versante astratto delle cose tue che ho letto mi fa pensare che avresti potuto scrivere allo stesso modo, le stesse poesie, in un´Italia/mondo completamente diversa/o.

Prima devo capire questo “versante astratto”… 

 

In breve: nei tuoi testi non ci sono riferimenti all’attualità, o meglio, non ho trovato abbondanza di nomi, citazioni immediate di luoghi o personaggi di un più o meno specifico contesto culturale …  

Veramente non direi. Solo due esempi immediati: NUOVO SOGGETTARIO e soggiorno moderno in sequenza borderline. Ritiri la domanda? 

 

No, ma non mi voglio intestardire su questo … forse ha più senso chiederti: tu come definisci il termine “attualità”?

Come ti ho detto prima, preferisco sconfinare dalle definizioni… preferisco ricercare relazioni tra le cose.

 

Uhm … provo a metterla così: che cosa, del mondo, ti porta a scrivere ciò che scrivi?

Quello che percepisco.

 

E a tradurre quello che scrivi in forme visive?

Non ho mai pensato di cimentarmi in tali opere di “traduzione”. Sarebbe forse come scrivere una poesia a tema.

 

Ora insisto, ma non te la prendere, è importante (sorriso): il video ha una sua natura e riconoscibilità contemporanea netta. Facendo video, ecco, ti senti “attuale”?

No. E probabilmente non lo ero nemmeno nei primi anni Ottanta quando riprendevo con la videocamera l’immagine trasmessa dal televisore collegato alla videocamera stessa.

 

A volte non si è preparati a cogliere il discorso visivo di un poeta di cui già è difficile cogliere il discorso testuale… Il video non dovrebbe forse riguardare l’atto performativo, seguendo la lettura a voce dal vivo?

Sì, se si intende documentare un evento.

 

No, volevo dire: il video che si crea è un video che basta a se stesso, che si alimenta da sé, oppure è un elemento da inserire nella performance, perché altrimenti viaggia a vuoto?

Alcuni dei video che ho fatto sono stati inglobati in performance/opere teatrali (di altri), li ho ricollocati in installazioni, li ho riprogrammati in modalità interattiva per il Web… una sorta di auto-postproduzione , comunque un gesto ecologico. Altri miei video sono rimasti “solo” video, alcuni reggono, altri forse meno.

 

Hai già letto e proiettato insieme?

Una volta ma non era un mio lavoro, né video né testo. È stato un prestito di presenza parlante a Enzo Campi.

 

Realizzando un video, sei meno sola nel processo creativo o cerchi di mantenere modalità di scrittura e modalità di ripresa-montaggio allo stesso livello, e cioè come composizione “in solitaria”?

Non capisco “sei meno sola”; non capisco “il livello delle modalità”. Comunque, ho realizzato nel tempo diversi video, lavorando quasi sempre da sola (non: sempre). Ho le conoscenze tecniche per utilizzare gli strumenti software che mi servono ma tendo a sottrarmi alla specializzazione, abbasso i livelli di risoluzione e scendo sul gradino di un toolbox basico; (anche, non desidero confrontarmi con Hollywood).
Tornando però alla domanda su cosa aggiunge il video alla poesia scritta o letta, voglio dire ancora una cosa. Ho rilevato un possibile rischio di sovraesposizione quando ho realizzato video (con testi precedentemente scritti) dove la scrittura, in forma di voce “che dice”, è anche visibile in sovrimpressione (utile comunque per i non udenti) sulle immagini che scorrono o stanno.
E anche: quando la parola ha preso forma, prima nella scrittura che nel video, era già probabilmente una “multiforma” (con tutta l’approssimazione e la sfocatura che questo termine porta).

 

Ci fermiamo a una panchina davanti ad un mitologico esemplare di yak che sembra uscito dal Paese dei mostri selvaggi di Maurice Sendak (per chi vuole restare fedele alle alchimie fra scrittura e video c’è anche la versione filmica di Spike Jonze …). Chiedo ancora a Mariangela, che ora non ha più molto tempo da dedicare a questo viaggio, di lasciarmi un disegno per fermare le parole, i tratti, le impressioni sulla carta, così posso portarmi dietro, nel viaggio, un ricordo vivo del nostro incontro. La penna comincia a turbinare sul foglio, l’idea era di disegnare una specie di albero genealogico, un diagramma di flusso, uno schema della scrittura di Mariangela secondo le proprie parentele artistiche. Addirittura. La penna si ferma. Prendo il foglio.

La ringrazio, ci salutiamo affettuosamente. Mariangela Guàtteri esce zigzagando tra i passeggini che affollano l’ingresso del parco. Io resto seduto a fissare un po’ gli arabeschi di Mariangela e un po’ l’arancione profondo della pelliccia di questo yak berlinese.

Gabriele Nugara
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