China, romanzo in versi: opera d’arte aperta al pubblico?

 

di Stefania Provinciali

Le parole che raccontano una vita si compongono di memoria, sogno e realtà; sono fatte di pensieri e di sensi, sono composte secondo i sentimenti, gli umori, i colori, i profumi, la tattile sensazione di toccare l’animo. Così CHINA, Effigie 2010  poema di Maria Pia Quintavalla, una narrazione in versi, dedicata alla memoria della madre, dal titolo <ambiguo> nel senso che tanto raccoglie e dice, si compone dei sensi. C’è in primo luogo un sentimento tutto teso a muovere le corde del colore, della pittura e dunque della sensibilità critica di chi come me alla critica delle arti figurative ha dedicato un grande spazio nella propria vita. Sono tuttavia diverse le considerazioni necessarie nell’approccio a questo libro veramente bello anche se, con la terminologia propria del critico d’arte, l’aggettivo bello ha poco da spartire. Bello significa che piace, ma non basta.
Innanzitutto va ricordato che dentro queste pagine c’è qualcosa di personale, c’è l’aspetto di una adolescenza rimossa perchè non sempre capace di dar sfogo ai desideri. Con Maria Pia andavamo a scuola all’ombra della stanza di San Paolo, dove il Correggio ha dipinto per la badessa Giovanna da Piacenza, donna illuminata che ha pagato di persona per la sua sete di cultura.
Lì c’era la nostra scuola che doveva formarci per il futuro. Non so quanto sia stata capace di fare, so comunque che in China c’è anche un po’ di me e di tutta quella <folla> di donne che hanno vissuto forte i conflitti fra generazioni del secolo appena trascorso.
E’ forse così, seguendo il filo dei conflitti e delle contraddizioni della vita, che si giunge a comporre un  saggio, una poesia che diventa espressione di continuità fra generazioni diverse, storia del trascorso e del presente che è andato formandosi e, dunque, opera d’arte aperta: al pubblico, al lettore, allo studio.
China è senz’altro un’opera matura, di quelle che aprono la strada, o meglio, una strada nuova in cui addentrasi, che è strada della memoria ma soprattutto della appropriazione del trascorso, quel <gesto> che rende liberi nei confronti del futuro.
Ma China è anche un romanzo, ogni capitolo induce a voler scoprire cosa offre il capitolo successivo, dalla nascita alla morte dei personaggi o meglio, dagli ultimi giorni agli inizi di China là dove la vita della madre si mescola inesorabilmente con quella della figlia, nel viaggio di ogni giorno in cui la Cina appare lontana, irraggiungibile, in cui la <china> che tinge di rosso o di nero il pennino, è il mezzo della scrittura, in cui la <china> della vita si fa  tensione di non aver vissuto i propri bisogni e quindi di non averli saputi trasmettere; in sintesi di non aver lasciato testimonianza di sé, e in cui Gina è protagonista di questa breve storia fra città e pianura, fatta di illusioni e di realtà.
Il ritmo della narrazione segue il ritmo del verso che altri non è se non ritmo musicale e visivo: una sorta di compendio fra le arti destinato a sfociare in un moderno positivismo. Un’idea questa immediata, forse da proporre con un punto interrogativo anche se, tra le righe, nel tentativo di leggere oltre il pensiero espresso, emergono i limiti del sapere umano. Potrebbe essere una lettura eccessiva per un romanzo in poesia ma per chi, come me, l’approccio è in primo luogo figurativo, un pensiero si fa inevitabilmente strada, quello del rapporto tra verità e bugia, tra luce ed ombra, fino a perdersi nello sfumato leonardesco che non è in questo caso armonia di effetti visivi bensì di  cadenze musicali fatte di parole, di voci; il termine voce ricorre assiduamente nella prima parte del poema dedicato all’incontro purificatore dei sentimenti, quando nulla ormai può interferire: <…Ti carezzava con la voce e persuadeva,…> <…alzavi gli occhi scuri, con la voce ferma…> . alla voce segue la luce <..La luce fu. Siano acqua e nubi,…> in una cadenza volta al chiudersi della vita <…senza lumi senza luna, senza.> dove lo <sfumato> ancora appare lontano agli esiti della poesia, quando le pagine assumono il valore di memoria consapevole. Affiancati suoni e profumi, il verbo vivere, declinato in sfumature diverse, ad aprire quei nuovi capitoli che attraversano il rapporto con la madre.
Il lettore potrebbe pensare ad un eccesso di adesione a questo romanzo in versi che già ho definito maturo, aperto ad un futuro certo. In realtà, al di là della sensazione dei ricordi, contiene temi e dubbi della vita che appartengono a più di una generazione. Chi è l’una e l’altra delle protagoniste del libro, narratore o narrato, madre o figlia, non sempre è lecito sapere, anzi, meglio è perdersi nel dubbio, in quello sfumato in cui Leonardo fa vivere la capacità dell’uomo di creare straordinaria pittura. I versi del poeta servono anche a questo, a dar voce al pensiero, che accompagna le pagine e che può risolversi in un verso iniziale con cui si apre il rapporto, tra madre e figlia, tra arte e vita?. Lascerei il dubbio. <…l’arte per me era un lusso…>, cita l’autrice a decodificare un pensiero; un lusso, aggiungerei necessario.

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