La pianta malata di Maria Pia Quintavalla

 

di Tiziano Salari

 

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Fin dall’inizio della scelta antologica della sua esperienza poetica, Maria Pia Quintavalla si rimette a se stessa  come presenza nuda a cui nessuna lingua umana  potrà mai dare ragione. Nessuna lingua umana mi darà ragione/sono come sono, senza sottane d’oro/né bianche  che solleva il vento/ ma appoggio il mento e gli occhi su un momento (da Cantare semplice, 1984). Che significa? Perché viene alla luce questo pensiero  per entrare in possesso di se stessa senza abito né ornamento di senso che gli verrebbe da altrove, ma così, appoggiandosi  sulla  propria nuda vita stessa? Sono come sono: in questa radicale affermazione di un a priori indiscutibile da ogni lingua umana viene  anche  preventivato l’a posteriori come tale: la donazione di senso rimane imprescindibile  dal sapere della libertà come sapere di se stessa.

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A fondamento  di tale esperienza, attraverso cui il soggetto si costituisce, viene posta la differenza. Differenza è il titolo della  seconda poesia dei selected poems. Differenza significa porre se stessa all’interno del pensiero della differenza nell’essere donna, cioè di un’ontologia che porta dritto a un ripensamento radicale della nozione di soggetto, di identità, di corpo. Ma non è data di per sé, è posta come idea, compito da perseguire, bellezza e piacere supremo di una finalità alla quale si appartiene, più che non ci appartenga. Dice la terza poesia selezionata: Un idealismo-pensiero che mi delizia/ha la mia donna ideale, sogna/su tutte le pene delle altre donne. Il senso è come una sfera in cui il soggetto poetico s’insedia  per interrogare se stesso  e il suo modo di essere al mondo, in cui il sesso “è al tempo stesso il luogo e la figura, la forma e la forza: la differenza che non è rapporto con un oggetto, ma tocco e tensione tra gli esseri” (Jean-Luc Nancy).

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Passando ai testi tratti da Lettere giovani, 1990, si sente vibrare questo”tocco e tensione tra gli esseri” nel movimento che nel Signore dei tratteggi, questo signore della casualità, delle cuciture e dei viaggi, potrebbe per un giorno distorcere, capovolgendo le linee  dell’accadere, e cioè dei circoli esistenziali in cui il soggetto si è mosso  e in cui l’attimo della decisione (sono come sono)  è stato risucchiato nelle spire del tempo fino a configurare un eterno ritorno dell’identico (Movimento dell’immobilità è il titolo della poesia conclusiva della sezione.) Lettere giovani  è un libro di passaggio, in cui Maria Pia Quintavalla trae a sé tutte le cose trascorse e tutte le cose avvenire, per riaffermare, davanti alla morte, la vita che si sorregge e si mantiene pura  nella differenza. E la morte rappresenta la scelta  di Nadia Campana che, come Antonia Pozzi e Amelia Rosselli, nel suo viaggio Verso la mente, ha  sperimentato  l’attimo abissale della caduta”nel pozzo dell’eternità” come altra via d’accesso al senso e alla verità. Nella poesia dedicata all’amica Nadia Campana, Con un’amica, Maria Pia Quintavalla vede dalla sua morte, che cancella le differenze (niente più bianco/ e nero, né morte)  riaffiorare di nuovo dio piccolo/ dio diffuso, un dio  che sembra strettamente affine a Hermes, il dio del caso e della leggerezza, ma diffuso su tutta la pluralità dei modi essere donna(tante piccole teste noi/e plurali sulla terra) per operare il riscatto di una chance che si opponga al nulla e al non consumabile silenzio.           .

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Lettere giovani sono un compendio d’interrogativi. Se il passaggio dall’ordine sensibile all’ordine intelligibile (Verso la mente!) fu in qualche modo fatale all’amica suicida, Maria Pia Quintavalla cerca una via di trasmissione e concatenazione tra i due ordini fondandoli sull’istanza che percorre la sua esperienza: la fedeltà a se stessa,  alla propria deviazione dalla lingua comune alla lingua poetica, e al corpo. Ma come avviene questa redenzione dall’eterno ritorno dell’identico (dal Movimento dell’immobilità), senza essere catturati dal torbido  vissuto  e dalla  ragnatela  degli incastri sentimentali?Direi che per Maria Pia Quintavalla mantenersi in equilibrio tra ordine sensibile e ordine intelligibile significa, come per il pastore di Nietzsche, mordere e sputare la testa del serpente che l’avvinghia, e amare la propria condizione di donna, ma amarla nella necessità dell’’eterno ritorno”, e conciliare tale necessità alla volontà di un sapere e di una lingua alternativa.

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E per definire questa lingua, che coglie la vita nella profonda, essenziale apparenza di un corpo femminile ( Preparati, corpo mio oggi ti porto/ in viaggio[…] , in Napoletana ballata), la Quintavalla usa un’espressione che è una sorta di ostensione di nudità: la sua lingua godiva (in Lavoro).E se la bella Lady anglosassone  che cavalcò nuda per le vie di Coventry in un anno dell’Alto Medioevo  ha lasciato un segno con il suo nome latinizzato (Godgyfu, regalo di Dio, che divenne Godiva), il “sobbalzo erotico” di cui parla Zanzotto nella sua lettura della poesia Dichiarazione di  poetica della Quintavalla, più che alla suddetta lady, è legato a quella trasposizione vocalica, tra la i e la e che, come la a della differance di Derrida, rispetto alla e di difference,  “rimane silenziosa, segreta e discreta come una tomba”, una tomba, tuttavia, attraverso la quale risuona  il richiamo al piacere e al godimento, ma anche l’assoggettamento a quella economia della morte di una remota sorellanza con i morti, attraverso cui soltanto  le parole belle e/sole possono inverarsi.Non di corpo bramava la sua lingua/godiva, amorosa svernare il lutto e gli ori/ senza inverare le parole belle e/sole, nuovi moti celesti/ i morti- sua remota sorellanza/ silente sorellanza spinosa,seminare/apneica lingua, duri spazi-sogni/ come lupa allappare/senza più sognare- agguerrita presenza/le smaniate cose.

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Mondo nudo e lingua nuda stanno dunque l’uno di fronte all’altra e di fronte alla morte. E  il culmine dell’angoscia, che è la tragedia della ripetizione nel Movimento dell’immobilità (Cupo, senza scandagliare/cupo moto a restare), si trasfigura, sul punto di soccombere, in Apoteosi: accecata accecante/tu, piccolo angelo solo ne resti e muto , nell’accettazione dell’esistente, del limite e della finitudine, che acceca per la sua inesorabilità e necessità.  Quando si passa a Le Moradas, 1996, il sacrificio è stato consumato, e Maria Pia Quintavalla sembra essersi adagiata  in una più pacata  distensio animi, per cui il ritorno incessante delle stesse angosce e delle stesse imperfezioni” è precisamente ciò che mette a nudo, in una nudità anch’essa ripetuta, ma tale da essere ogni volta più nuda, ogni volta più aggravata, come siamo esposti all’impossibile, e come tutto ciò ci misuri: cioè ci dia la nostra misura di uomini, che non può essere propriamente compiuta, e che non può contenere alcun orizzonte rassicurante”(Jean-Luc Nancy). Esiste la deliziosa,/ prossimità, non il perfetto amore[…](Esiste la deliziosa), spesso ti dissolvevi andavi /via ed io imperfetta ne ordino l’ordito muto (Maternale), […]sottomarini a noi stessi (Liebe), E la storia ripete/solitaria importanza, date e/date, stupita picchietta a morte […] (E la storia ripete):il campo trascendentale della femminilità si è fatto più individuale e personale, ma è la stessa singolarità a definire più compiutamente il suo essere, nella ripetizione della storia, la propria concretezza di donna (ora imparo/dal buio/ il ri abbraccio)

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Ha scritto Deleuze, citando Ferlinghetti, che le singolarità sono i veri eventi trascendentali, “la quarta persona del singolare” In Estranea (canzone), 2000,Corpus solum, 2002, Album feriale, 2005.Maria Pia Quintavalla si singolarizza , penetrando in se stessa, nelle sue radici più intime e profonde.[…]E sola, (la vita sola) ricca di nuovo/solforata e stabile/ (stagione)di campi e piane, di/mercati e bestie, modi che/a dirsi nuovi, padanamente/assisi intorno a centro piazza/acuta di memoria e annuvolata[…](Canto X) La voce poetica si pone in ascolto di voci che salgono dalla pianura, dai mercati di bestiame, dai centro piazza padani, un brusio allo stesso tempo conviviale ed estraneo attraverso cui  il soggetto si sente vibrare, si riconosce in voci che rincorrono (un futuro passato)/nelle strade genealogie raccolte (Semplice suono),si identifica, riaffermando la propria estraneità: […] allora lei sentiva che poteva/e domenica rifarsi intatta/congiungere i due lembi/del passato, e due nel terso/occhio dimoravano (felici).(Allora grida e sortilegi) Tutti i testi sono citati da Estranea (canzone). In Corpus solum, 2002, lo stare sospesa su di sé trova una via d’accesso più radicata nella vita nella figura del padre, albero che parla (e che mi ama),(Ritratto in piedi), e nella propria  esposizione sentimentale (Tutti gli amori ti furono infelici perché ci credevi) vede riflettersi la luce dolce, mite e colma di desiderio inesprimibile della città natale.(Parmigiana)

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Ma è in Album feriale che si esprime a fondo la padanità ritrovata  della Quintavalla, a partire dall’ode iniziale Al grande fiume (qui non antologizzata), ma anche nella sua trasfigurazione in quella che è forse la poesia più bella scritta dalla poetessa di Parma: La piantina. Sono in pericolo, da anni invece della cerca della luce,/ clorofilla e verdi sali vedo una pianticella da curare/il cui veleno proviene dal suo centro, dalla terra/un buco invalicabile e profondo- che/non dà spazio ad altro.Lo stesso buco alimenta/come acqua un pozzo- e spinge/ radici povere che reggono la pianta[…]Infatti, attraverso questo mutato sguardo, il soggetto si rinvia a se stesso come oggetto (una pianta), per raggiungere la verità di essere al mondo. Fa parte dell’essenza di tale rinvio che questo, nel suo compimento e dispiegamento, debba tornare a porsi in ciò che esso stesso ha aperto, e cioè all’origine, per potersi comprendere in base alla verità della propria chance, che rimane, nello stesso tempo, velata. Sono in pericolo. La poesia inizia con una constatazione. Di quale pericolo di tratta?Per cogliere la verità di questo pericolo  non c’è che da trasporlo nell’identificazione con la pianta. Questa verità è nella pianta, attraverso la quale avviene un’apertura di senso su di sé. da anni invece della cerca della luce,/clorofilla e verdi sali vedo una pianticella da curare/il cui veleno proviene dal suo centro, dalla terra/un buco invalicabile e profondo- che/non dà spazio ad altro. Il soggetto poetico ha cercato e non trovato la luce, quella luce di cui ha bisogno la pianta malata, che essa stessa ha in cura.ma il cui male affonda nel cuore stesso della terra, come il male della poetessa, che rimane imperscrutabile, è sepolto nell’intimità, ma che in questa reciprocità si rivela come bisogno di luce, di senso, di verità. Lo stesso buco alimenta/come acqua un pozzo- e spinge/radici povere che reggono la pianta,/ io mi chino e ne bevo, la curo genufletto e/inculco i suoi rituali – soli che si addicono alla pianta. Essa prende me, lei non va via. In questo gioco di passaggio tra  donna e pianta si compie la meditazione, ed essa è necessariamente meditazione di sé e del male oscuro                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    che ha ghermito  le radici povere  di donna e pianta nella loro unità, in cui l’una e l’altra affondano nella prossimità di un allontanamento infinito dalla luce che porterebbe guarigione e salvezza. Lei è sepolta, ma con me alla luce rivivrà sicura!/E lei beve, beve non è stanca mai. È più ammalata la pianta o la poetessa? Identico il male nella sua impenenetrabilità e che tuttavia rinvia il soggetto poetico alla funzione di curare il male, pur ignorandone le cause, forse racchiuse in quelle stesse povere radici dell’origine. Ignara,/ignoro non vi sia più vita e mi procura un crampo/stanco e duro, dolore al polso e poi silenzio, ma/le voci che invento, le canzoni o i bassi/assicurano parole e un bel giardino.Curare significa essere tesi verso un senso possibile, anche se non immediatamente accessibile.[…] il mio viso già assopito/sogna di accendere una per una la fiamma/con cui bruciate dita riscaldano-/ed illuminano.”Nessuna tenebra, per quanto fitta, fa disperare che una qualche luce, o qualcosa della luce, possa penetrare in essa” (Maria Zambrano).

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In un’esperienza poetica che rimane tuttora aperta, come testimoniano  i testi inediti che concludono i selected poems,la domanda fondamentale che apriva tale itinerario: in che modo essenzialmente si pone la differenza dell’essere femminile, dell’essere donna, si è progressivamente ritagliato lo spazio della singolarità , andando alla ricerca delle proprie radici e di un nuovo inizio. L’opera poetica della Quintavalla è costruita così su un sorprendente parallelismo col movimento femminista, passato dal clamore degli anni Settanta all’intensità di un silenzio che non è crisi né ripiegamento ma ricerca  di una verità riposta nell’essenziale permanenza dell’essere, di un pensiero che indaga il male di vivere, attraverso un comune non sapere di uomini e donne usciti dall’imbuto della storia e gettati in questo estremo  angolo d’Occidente a ripensare il luogo e il senso della loro identità.

Domenica 22 giugno 2008

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1 Comment

  • Un’Artista che vive *scortecciata*. La linea sottile che spicca in due – non sinonimi: *senza vestiti* non è *nudo*. Nudo che radica quel vuoto onnicomprensivo del vaso Poeta.

    Nel grazie e nell’inchino

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