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Le colonne d’ErcoleSebastiano Aglieco
pag. 64, 1996
Firenze Libri (Collezione Koberger)
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di Francesco Mandrino
Indubbiamente lo sguardo è stato gettato oltre quell’ antico baluardo della mente, ci sono prove: “oppure adagiate nei noviluni”, “nella calugine di un’estate”, “Gli uomini li riconosceva I dall’odore portato dagli uccelli”, “di giunchiglie e di malve I succhiate dalla luce”. Ma si avverte anche il peso di un dio che non ne riconosce i passaggi: “quando, nella nudità, il peso della colpa / lo ricacciava nella stiva. Veniva con / passo lento e gli si sedeva accanto / … / o gli asciugava il pianto.” Resta comunque veridico questo Ulisse: “la nave era stata solo un pretesto / (l’esercito si era ritirato da anni)”. Resta a rappresentare il cosiddetto Occidente: “…Nessuno vede l’altro / nessuno può veramente restituirci la sua dignità;”, anche se giunto oltre il baluardo ciò che gli è richiesto è un passaggio a oriente, e mai come in questo momento emerge la contraddizione: il viaggio come ritorno.
Nella seconda parte la restaurazione è forte, s’avverte il desiderio di tirare i remi in barca, la volontà di cercare la terra d’oltreconfine nell’unico sguardo fermato in una fotografia. Viene il dubbio che in questa rinuncia il poeta abbia stralciato la parte dignitosa del suo Ulisse per offrirlo al dio nella sua veste più umile: un’àncora che, offerta alla sicurezza, in realtà depreda della ventura e rafforza i limiti. Ma non c’è strada meno concludente del ritorno, e nella poesia che rifermenta nell’ ultima sezione appare un termine nuovo: “nord”. Una possibile digressione sui fianchi di quella direttrice inflazionata in precedenza: Occidente-Oriente. Sulla quale la prima parte ha oscillato sperando ne “la formula per sedare il vento;” senza riuscire a fissarsi per un attimo neppure in quella frattura del mare “in cui, a volte, un dio c’intrattiene”.S’avverte l’imminenza di un nuovo tentativo, un ulteriore approccio col “limite”: “Più in alto, i pensieri degli angeli / sospese sotto i ventri, le radici.”. Il poeta non mente a sé stesso; conosce le colonne d’Ercole, “I pesci segnavano sulla riva / un confine tra i vivi e i morti,” e sa che deve porre “di là i gabbiani, in attesa di una / preda. …”. Coraggio dunque.
Sebastiano Aglieco: ‘Le colonne d’Ercole’ – Firenze Libri, 1996
pag. 64, 1996
Firenze Libri (Collezione Koberger)
di Francesco Mandrino
Indubbiamente lo sguardo è stato gettato oltre quell’ antico baluardo della mente, ci sono prove: “oppure adagiate nei noviluni”, “nella calugine di un’estate”, “Gli uomini li riconosceva I dall’odore portato dagli uccelli”, “di giunchiglie e di malve I succhiate dalla luce”. Ma si avverte anche il peso di un dio che non ne riconosce i passaggi: “quando, nella nudità, il peso della colpa / lo ricacciava nella stiva. Veniva con / passo lento e gli si sedeva accanto / … / o gli asciugava il pianto.” Resta comunque veridico questo Ulisse: “la nave era stata solo un pretesto / (l’esercito si era ritirato da anni)”. Resta a rappresentare il cosiddetto Occidente: “…Nessuno vede l’altro / nessuno può veramente restituirci la sua dignità;”, anche se giunto oltre il baluardo ciò che gli è richiesto è un passaggio a oriente, e mai come in questo momento emerge la contraddizione: il viaggio come ritorno.
Nella seconda parte la restaurazione è forte, s’avverte il desiderio di tirare i remi in barca, la volontà di cercare la terra d’oltreconfine nell’unico sguardo fermato in una fotografia. Viene il dubbio che in questa rinuncia il poeta abbia stralciato la parte dignitosa del suo Ulisse per offrirlo al dio nella sua veste più umile: un’àncora che, offerta alla sicurezza, in realtà depreda della ventura e rafforza i limiti. Ma non c’è strada meno concludente del ritorno, e nella poesia che rifermenta nell’ ultima sezione appare un termine nuovo: “nord”. Una possibile digressione sui fianchi di quella direttrice inflazionata in precedenza: Occidente-Oriente. Sulla quale la prima parte ha oscillato sperando ne “la formula per sedare il vento;” senza riuscire a fissarsi per un attimo neppure in quella frattura del mare “in cui, a volte, un dio c’intrattiene”.S’avverte l’imminenza di un nuovo tentativo, un ulteriore approccio col “limite”: “Più in alto, i pensieri degli angeli / sospese sotto i ventri, le radici.”. Il poeta non mente a sé stesso; conosce le colonne d’Ercole, “I pesci segnavano sulla riva / un confine tra i vivi e i morti,” e sa che deve porre “di là i gabbiani, in attesa di una / preda. …”. Coraggio dunque.
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