Poesia 2.0

La mano ozia nel nido delle tue cosce,
è sera, e la sera rinnova la pioggia,
mai cessata di fremere.
— Alessandro Ricci

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Zibaldello n.16: Libri, cultura e territorio: intervista a Bocù

 

La libreria indipendente ai tempi di Amazon e la legge Levi, i megastore e i franchaising, l’editoria in crisi e il digitale, i panini alla cultura di Tremonti e i TQ, diventa ogni giorno che passa tema di sempre più grande interesse. Per questa ragione, ho voluto intervistare Monica Ferretti ed Alessandro Assiri, proprietari e gestori della giovane libreria indipendente bocù nel pieno centro di Verona che festeggia questa settimana il suo primo compleanno (vedi invito a fondo pagina).

Cos’è esattamente Bocù?

Ringrazio innanzitutto Luigi per averci dato modo di parlare di…

Bocù è un progetto che, come tutti i progetti, deve conservare la duttilità che gli consenta di migliorarsi. L’idea è nata da Monica e me attorno a una passionalità, per cercare anche di dimostrare che fare della libreria uno spazio differente è possibile.
In un panorama editoriale intasato da 5500 uscite al mese si ha bisogno di qualcuno che faccia delle scelte per te. Questo comporta arrivare a una definizione di immagine, una sorta di identità, dove chi si identifica lo fa con ciò che proponi. Se vuoi, lo stesso spirito che anima i brand e i negozi di moda; la costruzione, in questo caso, di un luogo in cui identificarsi.
All’interno del fare libreria al di fuori dello store feltrinelliano e simili, si muove un panorama invecchiato da una fossilizzazione di idee che hanno creato gran parte della stagnazione culturale esistente.
Non è la solita tiritera della piccola editoria della quale in questa chiacchierata non mi interessa parlare. È proprio il porsi, alla base, delle domande sulla direzione da intraprendere.
Ti faccio un esempio:  l’intenzione di far crescere la libreria occupandosi dei movimenti, dalle avanguardie storiche al beat, al punk come fenomeno, Monica e io l’avevamo da subito. Il trasferimento di un retaggio culturale sugli anni ’70 faceva parte dell’imprinting che sto ad oggi cercando di dare al locale.
Come altra osservazione per cercare di rispondere alla tua domanda, posso dirti che una cosa che noto in Italia è che pochissime librerie hanno in vetrina letteratura. Solo la solita manfrina di libri non scritti da scrittori: se qualcuno mi spiega perché, se faccio il libraio, non debba mettere in vetrina Rilke o Rimbaud, ne parliamo volentieri.
Bocù ha la fortuna di avere nelle molte vetrine una buona visibilità che le ha permesso di crescere anche come studio bibliografico e come settori dedicati all’illustrazione e al fumetto d’autore.
Negli errori che sono stati fatti durante questo primo tempo di gestione c’è, forse, quello di avere avuto troppa apertura ecumenica verso iniziative che si potevano evitare. Credo sia nostro compito cercare di appoggiare sempre le proposte di chi ha qualcosa da dire, anche se questo costringe, poi, a dover dire dei no.
La stagione entrante sarà dedicata molto più a rassegne che a singoli incontri, ospiteremo, infatti, dall’autunno, una serie di incontri sui movimenti culturali dagli anni ’50 agli anni ’00 e una serie di letture di poesia sonora e visiva, un laboratorio dedicato alla scrittura erotica e una serie di incontri con disegnatori fumettisti emergenti che si confronteranno con i loro “maestri” di riferimento.
Per ora, questo è Bocù. E questo assomiglia a noi.

Dunque vi siete impegnati nel costruire qualcosa che vi somigliasse. Tutto ciò è molto interessante e immagino dia moltissime soddisfazioni: il vantaggio di mettere in piedi una libreria indipendente è forse proprio quello di poterlo fare “a propria immagine e somiglianza”, senza dover dar conto a nessuno delle proprie scelte. Allo stesso tempo, però, suppone un rischio altissimo. Mettendo da parte i principi e riducendo il discorso alla dura realtà, la domanda (probabilmente scontata) che mi viene da porvi è: come si conciliano i propri interessi con un contesto in cui il mercato – questa grande figura mitologica del nostro tempo – sembra farla da padrona? è possibile? e, se lo è, a che prezzo?

Potremmo forse cercare di spostare un pelo il discorso sulla questione omologazione/diversità. Non è poi così vero che a tutti piaccia vagare negli store librari senza contatto umano, vedere Vespa in vetrina e diventare vampirologo con le varie saghe piemme. Penso sia necessario costruire non tanto delle specializzazioni quanto delle competenze.
Un libraio indipendente non fa soldi, campa. Parlavo con un  amico, tempo fa, che mi chiedeva perché, in Francia, fare il libraio è un mestiere “normale” e in italia ti prendono per pazzo suicida. Rispondere a questo vorrebbe dire interrogarsi in primis sul fare cultura, sulle leggine sul libro che dovrebbero essere basate sullo sfoltimento dei catologhi e sul favorire l’emergere delle proposte valide, sul proliferare di un editoria piratesca e speculativa di cui altrove mi sono occupato.
Penso sia finito il miraggio del fare libreria con il panorama editoriale minore: oggi, molta piccola editoria è tale perché ha cataloghi inesistenti e proposte illeggibili. Oggi, si deve cercare di fare operando scelte consone all’indirizzo che si vuole tenere.
La libreria indipendente non può sostenere la tuttologia e non può sopravvivere con i volumini in conto vendita. In fondo, indipendente è una parola bellissima di cui sarebbe necessario riappropriarsi del significato.
Credo sia molto evidente in libreria, più forse che in altri settori, la stagnazione di idee che si è venuta a creare: si lavora con i vecchi modelli di pensiero di quando tutto filava liscio, e questo ora non basta più. Come credo non basti trasformare le librerie in spazi di food, di living etc…
Mi spiace per quel genio vero che è Montroni, ma le librerie coop ora sono più interessate alla cottura del bucatino o al formaggio di malga che non a una proposta editoriale. Sarò all’antica , ma se voglio parlare di vini vado in osteria.

Dalla tua risposta mi sembra di poter dedurre che il problema che assilla le librerie è un falso problema, nel senso che basta abbandonare l’idea di fare dei gran soldi con poco sforzo per avere una libreria che funziona dando anche molte soddisfazioni.
Paradossalmente, l’impressione è che Bocù si impegni più nel fare cultura che nel vendere libri – o, comunque, cerca di far andare le due cose di pari passo. Ma fare cultura concretamente, con una presenza fisica dentro la città significa interagire con un territorio ampio e complesso con cui ci si lega indissolubilmente. Cosa vuol dire per Bocù “territorio”? Con quali strumenti lo interpreta?
Creare delle competenze piuttosto che delle specializzazioni, aiutare il lettore a compiere delle scelte, proporre delle nuove o rinnovate pratiche capaci di reinterpretare il senso perduto della “indipendenza”, un fitto programma pieno di rassegne sui movimenti culturali: è Bocù che si avvicina molto ad un circolo culturale o è la maggior parte delle librerie che sembrano negozi di frutta? Cosa rappresenta – o dovrebbe rappresentare – per voi il concetto di libreria?

E’ fuori dubbio che debba esistere un procedimento di costruzione dell’interazione tra una proposta libraria e il territorio, ma non vorrei che anche qui ci fossilizzassimo sopra un trito abuso della territorialità. Le storie della gente si sentono e si ascoltano se si interagisce con loro. Cerchiamo sempre di accogliere i suggerimenti di chi ci consiglia testi da acquistare per la libreria: in questo modo cresci con e attorno alla tua clientela.
Per quello che possiamo, cerchiamo di dedicare agli artisti  locali almeno un paio di incontri al mese, ma vale quello che dicevo sopra: dobbiamo stare attenti in particolar modo a proporre qualità.
Non so dirti se sia bocù che si avvicina al circolo culturale. Credo di no, anche se è vero che ogni “specializzazione” beneficia di un circuito di aficionados che sono comunque un microcosmo emotivo.
Tornando per un attimo al territorio, penso che per non renderlo una parola stanca sia necessario coinvolgere associazioni e non solo individui che possono garantire una sorta di operatività e conoscenza argomentativa proprio in ambito locale.

Progetti?

Aprire a Parigi con una formula simile in rue de l’Odeon accanto alla casa di Cioran.

 

 

 Ci è sempre piaciuto pensare che i compleanni non si festeggino perché solo i primitivi e i rivoluzionari hanno l’eternità in testa.
Non ci piace vivere in un mondo dove se non si costruisce si celebra, ma abbiamo sogni grandi e fatti piccolini e vi aspettiamo comunque per un bicchiere insieme.

venerdì 16 settembre
ore 18.00

Libreria bocù

Galleria Mazzini – Vicolo Samaritana 1/B – I – 37121 Verona
Tel.+39.045.59.68.56
Fax +39.045.80.41.898

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Luigi Bosco

Luigi Bosco, pugliese, classe 1982. Dopo la Laurea in Psicologia ottenuta presso l’Università degli Studi di Bologna, ha vissuto a New York, Boston e Londra. Attualmente risiede a Madrid dove lavora, cercando nel frattempo di dottorarsi in Psicoanalisi e Filosofia della cultura senza grossi successi. Scrive e, soprattutto, legge, senza grosse pretese.

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  • http://tizianatius.wordpress.com/2011/08/04/a-volte/#comments Tiziana Tius

    Ci sono Librerie e librerie alcune sono scaffali impolverati dove i libri tacciono, altre sono fatte di persone con le quali interagire…in questa ho messo un piede oltre la soglia e mi sono sentita a casa.
    Tiziana Tius

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