Maria Grazia Lenisa: ‘Verso Bisanzio’

Verso Bisanzio

Maria Grazia Lenisa

1997, pp. 328

Bastogi Editrice Italiana

La poesia di maria Grazia Lenisa non è facilmente definibile, ha qualcosa di mutevole, di sfuggente, è in divenire costante, inonda improvvisamente di luce, spinge precipitosamente nell’abisso, mostra le radici dell’essere, dà senso alle cose, offre perfino l’invisibile. Il lettore inizialmente è disorientato, una dovizie così ampia di sensazioni, di immersioni nell’umano e nel divino, un effluvio così vaporoso di antichi e nuovi profumi di vita saziano e, a un tempo, rendono avidi. Ciò significa che il mondo della Lenisa oscilla e si divarica in tutte le direzioni, in modo da non perdere (e non farci perdere) la possibilità di rubare senso al rapido passare degli eventi. Certo, se la personalità della nostra poetessa non avesse la tempra che ha, il rischio della dispersione sarebbe fatale e ci troveremmo quasi per forza dinanzi a uno svariare di temi tra loro contrastanti, antitetici e fuorvianti, ma la Lenisa sa orchestrare con padronanza e dare una direzione univoca, plasmando della sua meravigliosa sensibilità “cielo e terra”.
La premessa era necessaria per comprendere fino in fondo un’antologia come Verso Bisanzio, oltre quarant’anni di assiduo lavoro, di fedeltà a un sogno senza limiti. La Panoramica critica di Giorgio Bárberi Squarotti e L’Introduzione di Jean Jacques Méric hanno sceverato in lungo e in largo i versi di questo volume e le affermazioni dei due critici illustri sono tutte condivisibili, eppure leggendo Verso Bisanzio ci si accorge che la Lenisa si moltiplica, esce fuori dalle pagine, si rigenera a ogni pagina e magari proprio quando si pensa di averla potuta delimitare in un ambito qualsiasi. Quali le ragioni di questa sua imprendibilità? Io credo che si tratti della migliore qualità posseduta da un artista: avere il fegato di Prometeo.
Ho provato a cercare di individuare, in queste oltre trecento fitte pagine di poesia, i nuclei tematici affrontati da Maria Grazia Lenisa e anche i mutamenti linguistici, lessicali e stilistici avvenuti col passare degli anni. Ebbene, ogni aggiunta o dilatazzione non ha fatto altro che approfondire tesi e antitesi che via via avevano trovato accoglienza nei vari libri, da Il tempo muore con noi (1955), a Erotica (1979), da La ragazza di Arthur (1991), a Arianna in Parnaso (1996). Ma la crescita non è avvenuta soltanto in superficie, o nel visibile dello stile; la vera crescita è stata sotterranea: in Maria Grazia Lenisa sono avvenuti terremoti ondulatori e sussultori e quindi, pur fedele ad assunti morali, etici, sociali, culturali e umani, ha preso atto d’esser vasta e diversa e insieme fissa, e ne ha tratto giovamento per scrivere libri aperti, non soltanto secondo la visione di Eco.
Una delle costanti della sua poesia è comunque il senso profondo di appartenenza alla “poesia”, Ai poeti. scrivo con lettera maiuscola per sottolineare come lei veda il mondo, sempre, attraverso il punto di vista particolare di chi vive entro il diluviare dei fermenti e delle emozioni. A margine delle pagine di Verso Bisanzio ho segnato i nomi di amici, di letterati, di poeti che Maria Grazia cita o a cui dedica i suoi versi o da cui attinge linfa. Sono decine di personaggi e tutti hanno attraversato la sua strada e tutti hanno dato e avuto, in un interscambio che commuove non tanto per il gesto, quanto per l’assiduità del gesto. Maria Grazia non trascura mai di riferire di un emistichio, di un verso preso in prestito, di una suggestione. Non occulta e non sì occulta ed è per questo che poi la sua poesia appare stagliata nella limpidezza del dettato e nella forza del sentire, è per questo che i suoi versi emanano un calore d’altoforno e spandono intorno l’amore per la vita da vivere in pienezza dì cuore e d’intelletto.

(di Dante Maffia)

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