Anche per le poesie vale la regola delle polpette: per farle bene ci vuole tempo, e poi se son venute bene durano.
— Valentino Zeichen
Una poesia che rifonda se stessa è principalmente una poesia che ripensa le sue relazioni percependosi come testimonianza collettiva.
Tra le relazioni che vanno rimesse in discussione ci sono anche le…
In fondo Addio alle armi, già dal titolo, voleva essere una chiamata di deposizione, non tanto degli strumenti del conflitto, quanto della zappa che ci serve per la causa del…
[ La questione orale : le diverse posizioni sin qui raccolte ne mostrano l'aspetto irriducibile, l' argento vivo. Il tentativo di adunare più voci in questo spazio è un gesto…
di Matteo Fantuzzi
Cari tutti, mi dispiace non essere con voi oggi ma sono di turno col lavoro e non mi era possibile sganciarmi.
Capisco bene le necessità di convegni, di idee,…
Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?
Se ti riferisci allo stato di salute attuale devo subito dirti che è buono ma nascosto, occultato,…
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di Christian Sinicco
Nel 1984 su Poesia della metamorfosi – Antologia e proposte critiche a cura di Fabio Doplicher (Stilb, Roma) viene pubblicato un saggio di Piero Bigongiari dal titolo “Poesia…
In tal modo all’infinito, attraverso il tempo, gli esseri del mondo si odieranno
e contro ogni simpatía manterranno il loro feroce appetito.
Michel Foucault
[Per i complottisti ed i sospettosi valga la…
1.
La morte scritta secondo elegia e profezia sfocia nella morte realizzata. Ecco Pasolini. Mi interessa l’uscita [di scena] di chi sa che non potrà avere, fuori, un suo simile: non…
di Alessandra Pigliaru
La parola che soffia
Oralità e scrittura sono sorelle tra loro e figlie di un’unica lingua, quella materna. Unica perché originaria seppure mai detta una volta per tutte e…
di Redazione
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Tà. Poesia dello spiraglio e della neve
Ida Travi 2011, 168 p. Moretti & Vitali (collana Le forme dell’immaginario)
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di Marina Corona
C’è un luogo desolato così disorientante e precario che potrebbe essere perfino una casa scoperchiata, con il cielo per tetto. In questo luogo, dove ogni cosa è in bilico e vacilla, si muovono la voce narrante e i vari personaggi dell’ultimo bellissimo libro di Ida Travi : “Tà poesia dello spiraglio e della neve”. E se lo spiraglio lo troviamo per lo più in un luogo di umana costruzione, la neve è elemento naturalistico e cade dal cielo in questa improbabile casa. “Tà” è dunque il luogo della casa priva di tetto, ma questa casa è anche il cosiddetto villaggio globale: è un luogo, rappresentato nell’essenzialità estrema della scrittura, dove il concetto di ‘abitare’ vacilla e muta, dove i personaggi sono oggetto di continuo spaesamento, dove anziché ritrovare se stessi i personaggi si perdono e si sperdono continuamente, privati come sono di qualsiasi storia personale o tradizione che possa dar loro un’identità solida e consistente.
Se il luogo è quasi un non luogo, il tempo non è meno straordinario: in “Tà”, la casa scoperchiata, i personaggi e la voce narrante vivono in una incombente attesa, sono in un tempo precario, non a caso l’autrice stessa nella prefazione chiarisce che essi “sono post: post studenti, ex lavoratori, viandanti”: una ‘non categoria’ del mondo moderno irretita nell’attesa di un’improbabile soluzione alla propria precarietà. Essi aspettano che la loro povera vita abbia uno sviluppo tale da mettere ordine e consequenzialità, che si ripristini la trama solida e logica dei fatti, interrotta chi sa quando e mai più restaurata, oppure sono in attesa che un avvenimento improvviso salvifico e finalmente confortante faccia irruzione nel loro mondo disarticolato. Tuttavia quest’attesa non è motivata, anzi si respira nell’aria non so quale scoramento, quale improbabile vicenda di un migliore futuro, quale presagio d’inconsistenza per cui l’attesa è destinata a prolungarsi indefinitamente e questo avvenimento benefico che sembra tanto prossimo, quasi sul punto di realizzarsi, non si realizzerà mai.
Che cosa si salva dunque in “Tà”? La risposta sembra una ricetta banale e tuttavia non lo è affatto in questo traballare dello spazio e del tempo quasi fossero due tavoli azzoppati che a fatica, non si sa ancora per quanto, si reggono in piedi: in “Tà”, questa è la risposta, si salva l’amore. C’è infatti un legame partecipe e in qualche modo affettuoso tra la voce narrante e i suoi interlocutori dai nomi estranei a qualsiasi nazionalità: Sunta, Olin, Attè, Inna, Antòn,Katrin,Usov. Che cosa in “Tà” lega la voce narrante ai suoi compagni? Certo la comune inquietudine per qualsiasi coordinata spazio-temporale che li contenga, certo il comune senso di un’attesa incombente dell’avverarsi di un nuovo evento, tale da metter fine all’angoscia, ma che non si avvera mai, certo l’insidioso disagio per uno stare impossibile in questo ‘non luogo’dove:
…..
Tutta la famiglia apre i fazzoletti
piange come un fiume
La famiglia si butta nei fazzoletti
piange come un fiume
i pesci guardano con gli occhi rossi
…..
Tuttavia li lega anche l’amore. E’ un amore fatto di ansia, preoccupazioni, richiami, implorazioni, doni, quasi la voce narrante si protendesse verso i suoi interlocutori, a volte richiedente:
Sunta…
vieni e leggimi il cuore!
Povero albero nella bufera
Con quei candelabri rami…
Sunta , Sunta…
A volte donativa:
…. dietro al vetro
sorgeva luminoso
il viso del bambino più piccolo
E’ vero o no che vivremo qui per sempre?
E’ vero o no che questo sorgere perenne
lo chiamiamo famiglia?
A volte recriminatoria e imperativa:
Sta’ bene a sentire, quando torno a casa
non voglio vedere quella faccia
Vuoi il dolce,ti porto il dolce
Vuoi il pane? Ti porto il pane
Ma chi ci pensa a me?
……
Come si vede, nonostante la precarietà dell’abitare a “Tà” i dialoghi sono intensi e fortemente coinvolgenti anche se mai risolutori: colui che viene interpellato non risponde e le parole dell’interlocutore, anche se dirette a uno dei personaggi dai nomi bizzarri e così cariche di pathos, sembrano cadere nel nulla. Non si sa se l’ascoltatore raccoglierà queste parole, le farà proprie, corrisponderà o protesterà. Si sa solo di questo dire a tratti materno, a tratti da compagna:
…
Noi abbiamo l’amore, Olin
…
che risuona nella casa senza tetto e apre a tante sfumature della parola in questo luogo degli affetti incerto, instabile, indicibile,questo luogo che è in realtà la casa di tutti noi.
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This entry was posted on Friday, April 29th, 2011 at 08:00 and is filed under 1941-1950, Altre Voci, Anno, Autore, Italia, Lombardia, Monografie - Il poeta della settimana, Poesia Contemporanea, R-T, Regione, Rubriche, Travi Ida, Ultimi articoli and tagged with critica, Ida Travi, lettura, Marina Corona, nota, poesia, poesia dello spiraglio e della neve, Tà. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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