Poesia 2.0

Il dolore è basso. Cammina
dentro le piante dei piedi.
Mi bruca la pancia.

Ma nell’ombelico profondo
mia madre canta.
— Anna Maria Farabbi

Biagio Cepollaro: Intervista sulla responsabilità dell’autore

(A cura della Redazione del blog Nazione Indiana)

Come giudichi in generale, come speditivo apprezzamento di massima, lo stato della nostra letteratura contemporanea (narrativa e/o poesia)? Concordi con quei critici, che denunciano la totale mancanza di vitalità del romanzo e della poesia nell’Italia contemporanea?

Cosa vuol dire ‘vitalità’ del romanzo o della poesia? Dovrei dire che la tv conosce  da anni in Italia grande vitalità? O che l’utilizzo del telefono è molto vitale in Italia? Vitalissimo in tal senso dovrei dire è Face Book…Tanta gente telefona, sta attaccata alla tv, tanta gente scrive e chatta e scrive, scrive poesie e romanzi, scrive di tutto…Ciò che è mortale per me per un altro è vitale. No, non credo sia un periodo vitale, qualunque cosa voglia dire quest’espressione, non per colpa degli scrittori e di ciò che si produce ma dell’orizzonte d’attesa che circonda  (o non circonda) le opere.

 

Ti sembra che la tendenza verso un’industrializzazione crescente dell’editoria freni in qualche modo l’apparizione di opere di qualità?

Non mi risulta che il comparto editoriale dell’industria italiana sia molto sviluppato. Ferretti tanti anni fa aveva studiato il ‘mercato delle lettere’…Ancora oggi è poca roba in Italia. In termini di fatturato la presunta industria editoriale italiana fa ridere…Il fatturato deriva tutto dalla scolastica o quasi. Non è l’industria il problema ma la civiltà industriale che può esserci o no (penso a Volponi e alla sua utopia industrialista). No, in Italia non c’è stata una vera e propria civiltà industriale. E le conseguenze non riguardano solo il comparto editoriale…La qualità delle opere non può essere significativamente influenzata o condizionata da un’industria così misera…Semmai è la mancanza di civiltà che può far male anche in assenza di un vero assetto industriale. E’ un peccato. La formazione del gusto rende materialmente possibile distinguere un buon lavoro da uno insignificante. La mancanza di civiltà coincide anche con l’impossibilità di fare distinzioni del genere. La contraddizione non è insomma tra qualità e industria ma tra mancanza di civiltà industriale e qualità.

 

Ti sembra che le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali rispecchino in modo soddisfacente lo stato della nostra letteratura (prosa e poesia), e quali critiche faresti?

Ricordo le polemiche a stampa sul Gruppo 93 e la questione dell’avanguardia, del postmoderno critico, gli articoli su La Repubblica di Giuliani, di Fortini su il Manifesto, il rimbalzo sui settimanali… Sembra un altro secolo. E in effetti lo è. Si, c’era un certo interesse da parte della carta stampata per le questioni letterarie che proveniva dalla tradizione in via di esaurimento che avevano alimentato intellettuali come Fortini e Pasolini… Dopo, il tentativo di fare della mera pubblicità in un mercato asfittico e mai decollato ha lasciato indietro un certo modo di fare… Le pagine dei quotidiani non hanno più collaborato a formare un campo di discorso tendenzialmente condiviso per le questioni letterarie.

 

Ti sembra che la maggior parte delle case editrici italiane facciano un buon lavoro in rapporto alla ricerca di nuovi autori di buon livello e alla promozione a lungo termine di autori e testi di qualità (prosa e/o poesia)?

L’aria che mi pare si respiri oggi non è quella di qualcuno che rischi del danaro industriale in un investimento a medio termine ma di una struttura  che cerca di produrre merci pre-pagate, vivendo alla giornata.

 

Credi che il web abbia mutato le modalità di diffusione e di fruizione della nostra letteratura (narrativa e/o poesia) contemporanea? E se sì, in che modo?

Sono parte in causa: ho creduto sin dal 2003 che il web potesse diffondere e contribuire ad aprire la questione letteraria…Ho ristampato con Poesia Italiana E-book gratuitamente opere degli anni ’60 e ‘70 allora per lo più introvabili e inediti di poesia e saggistica. Ma il miracolo di conversione della quantità in qualità non si è verificato…Si moltiplicano gli scritti ma non cresce in egual misura la consapevolezza del fatto letterario… Mi pare che i giovani stessi si siano stufati dell’autoreferenzialità prodotta e incrementata, blog dopo blog. In questa confusione non bastano gli aggregatori: manca proprio la determinazione a partire da esperienze condivise.

 

Pensi che la letteratura, o alcune sue componenti, andrebbero sostenute in qualche modo, e in caso affermativo, in quali forme?

Occorre formare dei lettori, dei cittadini che leggono. E questo è compito innanzitutto della scuola e delle famiglie. Questo è il modo per sostenere la letteratura a lungo termine. Ed è la soluzione a monte della formazione del mercato, della domanda.

 

Nella oggettiva e evidente crisi della nostra democrazia (pervasivo controllo politico sui media e sostanziale impunità giuridica di chi detiene il potere, crescenti xenofobia e razzismo …), che ha una risonanza sempre maggiore all’estero, ti sembra che gli scrittori italiani abbiano modo di dire la loro, o abbiano comunque un qualche peso?

Come giornalisti credo possano e siano tenuti ad aver peso. La funzione intellettuale, quel poco che è rimasto di tale funzione, passa quantitativamente di più nei circuiti della comunicazione di massa. Perché uno scrittore possa aver peso in quanto tale occorre anche che corrisponda ad una figura che nell’immaginario pubblico abbia un peso. In Italia non mi risulta che sia proprio lo scrittore a rivestire questo ruolo. Il decadimento della funzione dell’intellettuale come riferimento ideale o ideologico è proprio questo. La condizione strutturale della comunicazione sociale rende impossibile oggi un nuovo Fortini, Pasolini etc.

 

Nella suddetta evidente crisi della nostra democrazia, ti sembra che gli scrittori abbiano delle responsabilità, vale a dire che avrebbero potuto o potrebbero esporsi maggiormente e in quali forme?

La vanificazione della funzione intellettuale non è soprattutto questione soggettiva e morale. Chi opera nei settori nevralgici della comunicazione o della conversazione sociale ha maggiori responsabilità. Lo scrittore che fa letteratura rivolgendosi ad un pubblico infinitamente meno numeroso può anche non concentrarsi direttamente su questo e preparare la vivibilità dei tempi migliori In questo senso ogni scrittura letteraria è intrinsecamente utopica, a prescindere dal suo contenuto. Allo scrittore non si chiede la presa sull’attualità che è invece dovere del giornalista: allo scrittore si chiede la presa sul presente che è la dimensione che non ha voce ed è in qualche modo l’aspetto non detto e non dicibile in altro modo del proprio tempo. Uno scrittore può anche intervenire come giornalista, più complicato l’inverso.

 

Reputi che ci sia una separazione tra mondo della cultura e mondo politico e, in caso affermativo, pensi che abbia dei precisi effetti?

Citando la solita questione Vittorini-Togliatti dovremmo dire meno male che c’è separazione. Ma il nostro problema oggi non è la separazione tra politica e cultura ma tra politica e civiltà: questo è grave ed è anche pericoloso, molto pericoloso per la stessa democrazia.

 

Ti sembra opportuno che uno scrittore con convincimenti democratici collabori alle pagine culturali di quotidiani quali “Libero” e il Giornale, caratterizzati da stili giornalistici non consoni a un paese democratico (marcata faziosità dell’informazione, servilismo nei confronti di chi detiene il potere, prese di posizione xenofobe, razziste e omofobe …), e che appoggiano apertamente politiche che portano a un oggettivo deterioramento della democrazia?

Tutti si dichiarano non-collaborazionisti. Il fatto è che se nessuno ti offre nulla è facile dichiararsi coerenti. A veder bene, nello stile di molti intellettuali di oggi, al di là di questi casi evidenti,  nella genealogia del dotto italiano troveremo piuttosto D’Annunzio in modo trasversale: la retorica dell’iperbole, dell’enfasi, dell’aggressività, la sensuosità dei riferimenti e delle immagini etc… Non è questione di schieramenti ideologici o di competenza – che spesso c’è-  ma di consistenza etica prima di ogni altra cosa. L’intellettuale italiano medio per lo più lo si riconosce dalla sua verbosità retorica e dal suo essere sempre in fondo un cortigiano, subalterno materialmente e psicologicamente al potere, di qualunque colore sia questo potere, passando spesso da un colore all’altro.

 

 

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