Poernet n.4: Letteratronica: Appunti e riflessioni

 

[Con l’intervento di Annamaria Ferramosca si prosegue il dibattito iniziato la settimana scorsa sulla Letteratronica. Se vuoi dire la tua sull’argomento, dilla qui.]

Ho partecipato al convegno Letteratronica tenutosi a Roma lo scorso 9 marzo. L’evento, organizzato da Tiziana Colusso (formafluens.net) e Marco Palladini (retididedalus.it), in collaborazione con urbaneexperience.it (Carlo Infante), si è avvalso degli apporti di numerosi relatori quasi tutti con varie esperienze nel web e nel settore della multimedialità. L’argomento, di grande attualità ed interesse per tutto il mondo letterario e quello artistico in generale, è di sicuro destinato ad essere ulteriormente studiato e dibattuto. Tutte le relazioni  hanno esplorato vari e insoliti aspetti sul cammino della creatività nell’era telematica, suscitando notevole interesse nel pubblico. Riporto qui qualche mio elemento di riflessione.

L’intento del convegno era quello di mettere a fuoco una realtà che diviene oggi sempre più incisiva nel nostro quotidiano e apre nuovi imprevisti scenari culturali con cui noi scriventi dovremmo confrontarci. Sorgono infatti nuovi e complessi interrogativi sul futuro della letteratura, dal momento che, come Carlo Infante ha esposto con entusiasmo, “ la scrittura starebbe superando la condizione alfabetica per aderire ad una polisemia che contempla suono ed immagine, come avviene per esempio nelle soluzioni ipermediali o nelle modalità di video-sharing su YouTube”. Sempre dal discorso di Infante, starebbe avanzando un tipo di scrittura plurimediale che supera l’alfabeto per dilatare verso un tipo di comunicazione più ampia e più naturale perché basata sulla multisensorialità, rispetto all’artificio -puramente tecnico- dello strumento alfabeto.

Nonostante la mia – e non solo mia- difficoltà a comprendere come uno scrivente possa sentirsi incline ad altri strumenti diversi dalla scrittura e velocemente impadronirsi della tecné necessaria alla propria espressione creativa (penso alla generazione anni 50 e anche 40, ancora vitalmente attiva in letteratura), sento forti elementi di verità nel fatto che l’esercizio della connessione nel libero scambio di comunicazione telematica apre alla creatività una nuova dimensione: quella della condivisione. Questa capacità nuova di mettere in relazione tra loro le diverse specificità dei linguaggi della scrittura e dell’audiovisivo mentre il soggetto (o i soggetti) che crea è connesso con la globalità degli individui, attuerebbe una condizione di straordinaria spinta verso nuova cultura e nuovi comportamenti.

Già nella sua introduzione Marco Palladini presenta la realtà della rete come fenomeno ormai imprescindibile nella totalità del vivere oggi, con tecnologie in continua veloce innovazione, e dunque pone all’attenzione la necessità di porsi i giusti interrogativi per comprendere appieno il fenomeno, definirne coordinate e limiti, prima di prospettare soluzioni. E dai numerosi contributi all’analisi è emerso che la creatività tutta appare dirigersi verso forme “orizzontali”, perché più partecipate e interattive rispetto alla verticalità soggettiva del pensiero creativo classico e caratterizzate dalla dimensione artistica sinestetica, nonchè da una possibile estensione dell’atto creativo ad altri soggetti connessi, proprio mentre l’evento si attua-crea sul territorio.

Andrebbe dunque prefigurandosi da un lato, un profilo d’artista capace di avvalersi, oltre che della scrittura, di altri strumenti tecnologici in un’infinita gamma di ibridazione, nonché disponibile all’interazione creativa, dall’altro un profilo di “fruitore partecipante”, che decide di far parte del processo creativo, dunque facendosi co-creatore

(scenari descritti da C. Infante nell’ambito del suo progetto di Scritture mutanti e da Fabrizio Palasciano, autore di drammi digitali anche pluripartecipati, pensati e realizzati per e con la rete).

Dobbiamo dunque aspettarci per la creatività in generale una specie di avanguardia permanente per cui – come è stato più volte dichiarato da vari relatori- la letteratura non sarà più la stessa” ?

Una mutazione della sfera creativa in simultanea con la “mutazione antropologica” già evidente nei “digital born kids” appare infatti molto probabile, almeno per la nuova generazione in cui l’intelligenza cognitiva cede il passo a quella connettiva, che procede per frammenti, flashes, nuclei d’esperienza, come un ipertesto in continua rielaborazione. Scenari, questi, già in atto, che pongono numerosi interrogativi ai tanti, che come me, approdati alla rete da 1-2 decenni, la utilizzano solo come strumento di comunicazione. E tre le domande che sono state poste dai relatori come spunti di discussione (purtroppo il tempo risicato non ha permesso un dibattito adeguato con il folto pubblico presente) riferisco almeno due cui aggiungo altre  due miei interrogativi, che a me appaiono cruciali:

  1. Come attuare un coordinamento necessario in luoghi collettivi di confronto, anche virtuali, per  tenere sotto osservazione  il fenomeno, studiarne le caratteristiche e l’evoluzione, con dibattito periodico costruttivo, su temi e oggetti condivisi? (come  richiesto dal relatore Massimo  Giannotta)
  2. Quale tipo di difesa  potremmo attuare preventivamente per mettere al riparo tutta la popolazione telematizzata da possibili soprusi da parte dei colossi della rete divenuti colossi finanziari? (domanda di Marco Palladini)
  3. Quali parametri estetici siamo in grado di configurare per comprendere, giudicare e selezionare la qualità dei nuovi prodotti creativi, il cui numero si prevede sterminato? Quali potrebbero essere i marcatori artistici delle  nuove forme polisemiche multimediali capaci di identificarne le caratteristiche di valore, senso, memorabilità? (dubbio mio)
  4. Come attuare una preventiva difesa da possibili derive, stante la ridotta capacità della mente umana di seguire la maggiore velocità della tecnologia, dotata di una logica di sviluppo sganciata da ogni processo etico, artistico, etc.? In altre parole come porre dei limiti a tutto ciò che, estremizzando, potrebbe risultare prodotto “alienato/alienante” rispetto alla capacità di comprensione.elaborazioe-fruizione umana? (mia domanda)

Tutti questi interrogativi non vorrebbero riflettere riserve né pregiudizi, ma solo porre all’attenzione la necessità di fare chiarezza anche rispetto al volume globale del fenomeno, che, come è stato da alcuni rilevato, è di sicuro in una sua fase “primitiva”, ancora difficile da decifrare e catalogare.

Sono convinta che ogni soggetto creativo partecipi comunque del flusso inarrestabile che lo circonda, purchè volontariamente non si isoli rinunciando allo scambio. Mettere in discussione ogni presunta certezza, condividere dubbi e proposte, come sempre, potranno essere, ancora una volta, le uniche soluzioni costruttive.

Così decido di pormi in attento ascolto del movimento globale e intanto continuare a lavorare nel senso della condivisione, invitando a proporre-condividere poesia valida in rete (Progetto Poesia Condivisa). Azione resa possibile grazie al portale Poesia 2.0 ideato (tra i tanti) da Luigi, che nel convegno ha parlato del non facile compito di catalogare tutta la poesia italiana contemporanea, perché in rete si abbiano intanto punti di riferimento dell’esistente.

Una premessa credo necessaria in poesia, come per ogni manifestazione artistica, che mai dovrebbe disconoscere  passato e presente prima di proiettarsi nel futuro.

Annamaria Ferramosca
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2 Comments

  • Caro Marco,
    hai focalizzato, e te ne ringrazio, con la metafora delle boe, il punto che riguarda, nel mio discorso, la futura evoluzione del pensiero poetico nel suo impatto con nuove forme di contaminazione (userei il termine più soft di ibridazione). Non si tratta infatti, come tu stesso affermi, di cercare una quadratura del cerchio, augurarci che tutto vada per il meglio restando integre le boe della tradizione pur navigando nel futuribile.
    Il fatto è che non abbiamo ancora sufficiente esperienza né metodi valutativi per apprezzare le nuove forme di prodotti artistici e poter dichiarare guadagni e perdite. Il fatto è che pure il mondo va avanti e velocemente e la corsa è inarrestabile.
    Riflessione forse scontate le mie ma , pur ammettendo la mia scarsa plasticità generazionale, sento che quel che tu chiami “il personale andare a” , che è quell’ insopprimibile ( per noi generazione non di nativi digitali) stigma di individualità creativa, potrebbe divenire cosa indistinta in creazioni polisemiche multimediali. Dovremmo però anche essere pronti, fuori da pregiudizi, a saper estrarre il dato di valore da una futura più facile e felice fruizione collettiva , possibile in una realtà sempre più basata sulla tecnologia. Come sempre, credo che se si riuscirà a conservare lucidità critica nel guardare ai fini, anziché ai mezzi( ne parla anche Roberto Casati in un recente articolo sul Domenicale del Sole24 ore)potremo tenere sotto attento monitoraggio le nuove forme di comunicazione e artistiche senza scivolare su facili entusiasmi o su altrettanto affrettate dichiarazioni basate su pregiudizi. Non quadrare il cerchio, dunque, ma vigilare.
    Un caro saluto,
    annamaria

  • Cara Annamaria,
    innanzi tutto grazie dell’intervento. Non avendo partecipato al convegno ho forse qualche difficoltà nel mettere a fuoco i punti, notevoli, del discorso. Quelli che seguono sono personali approcci al tema, tenendo però aperti monitor, libri e cuore.
    Come ogni altro che affronta gli sviluppi del possibile nel campo poetico, anche questo discorso si presenta necessariamente ancorato a boe galleggianti, non fisse dunque, ma tenute più o meno in posizione costante dal lungo filo dell’esperienza, dall’ancora di quello che siamo finora. E penso che queste boe, cui tu implicitamente ti riferisci nei tuoi dubbi, restino anche se la marea cambia, se il mare muta colore, insomma se la poesia obiettivamente si contamina d’altri linguaggi. Uso le boe per restituire l’immagine dei codici necessari entro cui far passare il viaggio poetico, l’uscita da sé, direi ‘l’avventura necessaria nel primo coraggio dell’individuo’ (quello di far luce e raccontare). Ecco, forse l’impatto della nuova poesia potrà accentuare proprio quest’aspetto del pro-gredire, nel senso latino del termine, quell’andar fuori e oltre se stessa. E mi riferisco non tanto al nuovo ruolo autore-lettore quanto alla possibilità che il proprium del linguaggio poetico conviva con altri segnali/segni, espandendo da un lato il seminato consueto e dall’altro, why not?, avvicinandosi a forme di poesia coinvolgente in parte già praticate duemila anni fa (e mi riferisco alla pratica delle recitationes, quelle promosse da Asinio Pollione e poi grandemente sviluppate nella prima età imperiale, e nelle quali più sensi erano interessati dall’ascolto e dove l’abilità declamatoria era però in grado di determinare il successo dei nuovi testi, e ciò costituirebbe oggi il limite, la deriva del discorso). In questo accenno storico non sto tentando la quadratura del cerchio, sto solo sottoponendomi a impressioni e luci del momento, nel tentativo di cogliere legami sotterranei (non possono non esserci nonostante la mutazione in corso), e nel desiderio di individuare il nuovo rapporto con la comunità virtuale per cui si andrà inconsciamente o coscientemente a fare poesia (i 25 lettori manzoniani avranno presto, mi auguro, molti zeri).
    In un raro mattino pulito e senza ‘terrori di ubriaco’ (un mattino lontano dalla frammentata, proteiforme esperienza multimediale e magari proprio per questo così invocato e raggiungibile) sarà proprio la dimensione multimediale a evidenziare il paradosso poetico di questa attualità: la nascita verticale del verso e la sua compiutezza orizzontale, un rapporto tutto da verificare, anzi – stando alla relazione – un paradosso che potrebbe morire. Quanto pesa la linfa individuale irrinunciabile? La poesia riflette una memoria individuale in avanti e la serve a quella storica degli utenti, che guardano necessariamente solo indietro, alla propria esperienza: quando la clessidra si rovescia (cioè in rete) il travaso fonde le due memorie…
    Credo tuttora che una buona parte della lingua poetica serva a renderci coscienti di ciò che sfugge o resta imbrigliato nell’incompiuto. Ogni poesia credo che nasca da un’incompiutezza (emozionale, relazionale, di senso) e dalla necessità di supplire ad essa. La rete, se usata dal fruitore indiscriminatamente, diventa un ventaglio di possibilità per cogliere al volo la ‘compiutezza che fa al caso nostro’, sempre che ciò sia eticamente valido, mancando il substrato della ricerca personale, del personale ‘andare a’ (che è invece proprio della lettura tradizionale, e di quella elettronica ma educata: quel prendere un libro di poesia in mano o aprirlo sul monitor e volerlo leggere implica un moto della volontà ben preciso, un entrare nell’ascolto dell’altro, dell’autore); ma questo è un discorso di autoeducazione all’uso della rete, non della validità del mezzo. E d’altra parte proprio questa tradizionale dicotomia autore/lettore potrebbe risolversi in uno stop alla stessa formula polisemica e partecipata della poesia.
    Ripeto: sono solo prime riflessioni che sottopongo alla redazione con la stima che sai. Grazie per l’opportunità.
    marco righetti

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