
L’infinito respiro libertario di ‘lungo fucile’ e la sconfitta di chi ha visto la repressione dei sogni cedendo nelle sue prolunghe artificiali alla ‘pompeo’ è la storia sommaria di una generazione che ha respirato nei ‘tutto subito’ e ha graffiato il muro imbrattato di ‘quarto oggiaro story’.
Il profumo cantautorale sembrava poesia perché tutte le idee sembravano impegno, ma era ancora il fumetto ad avvertirci che la violenza di Zanardi e il coatto sintetico di Ranx Xerox era dietro l’angolo, a un passo da noi che stridevamo un po’ troppo e in fondo facevamo fatica a cavalcare con la stessa facilità i moniti di Roversi e quelli di Balestrini.
Mi sono accorto che Vicolo stava diventando una storia man mano che la scrivevo, la storia di uno spartiacque tra chi c’era e chi l’ha vissuto dopo, tra chi li ha fatti e chi li ha solo immaginati. Una storia che a pensarci bene con la poesia c’entra eccome, come c’entra una frase dello scomparso Tamburini, coautore insieme a Liberatore del già citato Ranx Xerox, ‘questo fumetto non è un fumetto ma collirio psichedelico per occhi stanchi’.
Si è detto spesso che i ’70 portano la schizofrenia di una generazione corrosiva che ha aggredito il linguaggio in parole instabili, ma personalmente mi piace considerarli come gli anni dei ‘pennarelli minorenni’ come ancora citava Pazienza su quella grandissima rivista che fu Cannibale, che prese il nome in prestito dall’omonima rivista dadaista di Francis Picabia.
E allora facciamola la poesia in quegli anni del doppio 7, dove il lirico e l’ironico passeggiavano insieme contemporanei di una disperazione (Francesco Berardi – Bifo).
Situazioni e linguaggi che stanno nel corpo disteso di ogni poesia.
Al mese prossimo…
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