Anna Maria Farabbi: ‘La magnifica bestia’


La magnifica bestia

Anna Maria Farabbi

2007, 121 p., brossura

Traduttore Merkel Bertoldi F. V.

Traven Books (collana Rosa blanca)


di Gianmario Lucini

C’è una forte continuità tematica in tutti i lavori (quelli che io conosco) di Anna Maria Farabbi, anche se ognuno di essi sottolinea un aspetto particolare dell’“oggetto” che assorbe la sua intenzione poetica.  Con una certa superficialità, che però ci aiuta ad avvicinarci per gradi al centro della sua poesia, potremmo dire che “terra” è la chiave di lettura del suo messaggio, se per “terra” intendiamo un simbolo, un frammento olistico – come nella magia simpatica, dove un frammento contiene la totalità dell’essere o dell’òntos.  E non a caso e non solo per associazione mentale vorrei inserire nel discorso il concetto di “magìa”, ovviamente intesa nel senso più nobile e più colto, che in qualche modo ci è stato restituito (purtroppo soltanto come dato cognitivo, senza coinvolgimento e partecipazione perché ormai nella nostra cultura il mito non è più un discorso possibile e culturalmente vivo) dalla grande antropologia del secolo scorso, dopo le aberrazioni dei positivisti (come John Frazer nel suo “Il ramo d’oro”, ancora oggi venerato da alcuni come testo canonico in materia di mito e magia).

In questo termine, “terra”, Anna Maria sembra voler concentrare un portato di sentimenti, di emozioni, di meraviglia, di energia, di eros (aspetto al quale darò più spazio nel seguito di questa nota), così che “terra” si connota man mano nei testi, anche quando il termine non è esplicitamente scritto,  come alfa e omega di una parabola esistenziale nella quale l’Io vuole come disciogliersi nella terra per farne parte, abbracciando il mondo e nello stesso tempo abbandonandosi nelle braccia del mondo.  Così che l’Io si sente natura, parte che è nel tutto ma che contiene in sé il tutto, nella pienezza dello scambio – comunicativo, sensoriale, erotico.  “Terra” diventa così non soltanto un riferimento simbolico, ma un vero e proprio orizzonte culturale nel quale l’Io trova ogni consonanza, fino all’identificazione Io = Terra.

E dunque veniamo a questo termine, eros, il quale va chiarito e ripulito dalle incrostazioni della sottocultura contemporanea, specialmente quella mediatica.  Questa parola infatti viene abusata in ogni contesto come sinonimo di amore, oppure di piacere sessuale, oppure ancora come eufemismo di vera e propria pornografia (vendere le schifezze riesce meglio se le avvolgi in un bel pacco colorato capace di convincere il censore freudiano della coscienza o, peggio ancora, soppiantare il criticismo della scelta, che è l’agente della libertà personale).  La lobotomizzazione platonica dell’eros, sancita nel Simposio e purtroppo consegnataci ancor più lobotomizzata dalla tradizione filosofica successiva veicolata dalla Scolastica e dalla Teologia Morale cristiana, con tutte le sue casistiche e la pretesa di relegare alla sola ragione il giudizio su un aspetto che è una caratteristica inscindibile di tutto l’essere, non cessa purtroppo di fuorviarci, devastandoci nella nostra integrità, insinuando nella nostra mente l’idea che la bestia è il male da vincere, da controllare (non a caso la traduzione dei Testi Sacri, ad esempio dell’Apocalisse di Giovanni, usa come sinonimi Bestia e Satana).

Eros infatti non è soltanto riducibile alla pulsione erotica, che è soltanto una parte di una forma di energia individuale che ha natura mentale, emozionale e fisica insieme.  E’ di questa energia integrale che Anna Maria Farabbi scrive nelle sue poesie in modo non solo letterario ma anche e soprattutto mistico.  Il suo linguaggio infatti ha lo stesso piglio mistico di un poema come il Cantico dei cantici, che canta sì, il desiderio erotico, ma inteso anche come energia del sentimento, della innocente e arresa con-fusione imbevuta di meraviglia, recettiva, pronta all’accoglienza senza pregiudizi (coppa) nello sperimentare questo amore che centuplica le energie fisiche e psichiche.  L’erotismo, nel senso decaduto del termine, non ha nulla a che fare con tutto questo, è, anzi, il contrario: la reiterazione, il meccanicismo, la noia, la cosificazione dell’essere, l’annientamento della com-unicazione, l’aspettativa che non è mai soddisfatta, la nevrosi.  Non è in effetti eros, ma thanathos, morte cerebrale.

Nel canto della Farabbi si trova la stessa forza e la stessa passione di Francesco da Bondone, nel suo modo così forte e insieme disarmante di descrivere “frate sole”, “sora luna e le stelle”, “frate focu”, “sora acqua”, energia che egli sublima in una laudatio a Dio e che Anna Maria invece restituisce come laudatio alla terra (anche qui, intesa in senso largo come paesaggio, luogo, terra vera e propria, linguaggio, contatto, scambio, accoglienza, dono, dare e ricevere vita, energia).  Non è soltanto il corpo, dunque, che nella narrazione di queste poesie partecipa di questo “eros” ma è anche la mente, in una con-fusione mistica che il linguaggio poetico cerca di tradurre con una concisione mimetica in modo da evocare anche nella parola questa com-partecipazione e, come in un rito magico, ricreare le stesse condizioni psichiche e fisiche dell’esperienza narrata.

Questa mi sembra la tecnica, se così possiamo definirla, che Anna Maria ha saputo costruire nelle sue raccolte, a cominciare da Nel segno della femmina.  Dunque questa “magnifica bestia” in realtà è una bestia che magnifica, celebrando il suo essere bestia nel mondo (Wilde Tier, dice la tradizione tedesca, ossia animale selvatico) con l’innocenza della terra.  E’ esperienza di immediatezza, di piacere, di scambio, senza l’ingombrante intervento di una sedimentazione culturale monopolizzata dalla razionalità filosofica e scientifica che ha scisso l’integrità dell’uomo nella dualità anima/corpo, in spirito superiore e fisicità inferiore.  Troppo abbiamo privilegiato una razionalità contraffatta e fine a se stessa che avvolgendosi sulle spire delle sue premesse, in gran parte acritiche, non fa che produrre odio, malessere, pazzia, guerre, sfruttamento, schiavitù, ostracismi, moralismi, gerarchie, tirannie, repressioni, oppressioni…  Questi, che sono tutti aspetti opposti all’ethos sotteso in questa poesia, in realtà sono i prodotti della speculazione che definiamo razionale e che, con un sorprendente meccanismo di spostamento, sogliamo razionalmente (o piuttosto acriticamente) attribuire alla “bestia” – all’innocenza, all’energia irrazionale della terra.  E paradossalmente la razionalità capisce tutto, persino che le sue pazzie sono davvero pazzie, ma non riesce ad assumersene la responsabilità, perché ha perduto l’innocenza e dunque cerca di attribuire i suoi mali all’irrazionale, all’innocenza stessa, per continuare a seguire lo schema-gioco meccanico, che certo dà una spiegazione apparentemente vera del mondo ma non abita il mondo, non lo capisce.

C’è dunque, in questi testi, ben oltre un ritorno nel tempo per ricercare/ricreare le condizioni dell’origine nella parola che si fa quasi rituale e magica (impresa che di per sé non è da poco..): c’è anche l’accusa, neppure troppo velata, alla cultura occidentale di aver ripudiato la fisicità dell’essere, idolatrando il pensiero solipsistico e le sue speculazioni estremistiche fondate quasi sempre su secondi fini, non di comunicazione ma di potere, condannando l’uomo a pesi che non può sopportare.  La leggerezza, che paradossalmente risulta poi essere la vera solidità, sta invece nell’innocenza, nel chiamare le cose col loro nome, nel disvelo dell’intimità non come esibizione che svilisce ma come meraviglia che com-unica.  E’ qui che la ragione vera, quella della semplicità e dell’innocenza, torna ad integrarsi con la fisicità e ricostruisce, esattamente come il rito magico ricostruisce una condizione degradata, l’integrità della persona in tutti i suoi aspetti: fisici, mentali, sociali-relazionali, affettivi, emotivi, intuitivi, percettivi –  e, di conseguenza la sua energia che, donandosi alla “terra”, si accresce e si potenzia di nuova forza e di nuova energia.

Un importante lavoro, dunque, nel panorama letterario di quest’anno, un lavoro che colloca Anna Maria Farabbi fra le voci più significative della poesia italiana contemporanea.

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