http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/ Tutto (o quasi) sulla poesia contemporanea italiana Thu, 08 Aug 2019 12:21:12 +0000 hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.1.3 Di: “Ridefinizione”, di Alessandro De Francesco [scheda] « slowforward http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/#comment-7382 Mon, 06 Feb 2012 12:15:28 +0000 http://poesia2punto0.com/?p=4280#comment-7382 […] http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/ http://www.cepollaro.it/poesiaitaliana/CRITICA/critica.htm Share this:Print & PDFFacebookEmailTwitter […]

]]> Di: Come capisco che una poesia è una buona poesia | Poesia 2.0 http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/#comment-1373 Thu, 20 Jan 2011 08:01:06 +0000 http://poesia2punto0.com/?p=4280#comment-1373 […] Salvatore Ritrovato, Pasquale di Palmo, Agostino Cornali, alcune cose di Andrea Inglese, altre di Alessandro de Francesco, Luigi Nacci… Ci sono molti altri nomi, questo è certo – ma non voglio farvi sorbire degli […]

]]> Di: Alessandro De Francesco http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/#comment-1021 Tue, 14 Dec 2010 00:06:22 +0000 http://poesia2punto0.com/?p=4280#comment-1021 Carissimi, pronuncio come al solito i miei ringraziamenti per tutto questo tempo che state dedicando al dibattito suscitato bene o male dal mio lavoro.

Sarò breve, sentendomi come le altre volte in dovere di intervenire e in imbarazzo per queste autoconsiderazioni, imbarazzo che invece non è appunto presente nel mio testo “Ostacoli, ipotesi, complessità”, dove il mio desierio non è spiegare i miei testi, ma fare emergere delle considerazioni teoriche e metodologiche a partire da essi.

Forse, effettivamente, caro Marco, il termine “ermeneutica” può essere fuorviante. Non penso infatti che si tratti di interpretazione, ma di esperienza, appunto. Come tu stesso hai spiegato, ovvero che lo sforzo ermeneutico è dovuto all’esperienza di linguaggi che provocano uno “shift” percettivo e semantico.

Mi sembra che siamo tutti d’accordo, Luigi compreso, sulla questione dell’esperienza. Ecco, a partire da lí, ogni considerazione sull’oscurità del testo, sul metodo che conta di piú del testo, sulla distanza rispetto al lettore, etc., mi sembra facilmente superabile. D’altro canto, l’illeggibilità è un problema tanto banale quanto persistente e direi anche necessario non solo della scrittura “di ricerca”, ma di ogni forma di poesia (anche liricissima), anzi forse dell’arte in toto. Presente e passata. Forse soprattutto passata.

Insomma trovo che alla fine il problema non si ponga piú di tanto.

Oscurità, freddezza, etc. non sono mai, in realtà, problemi della poesia. O lo sono, al limite, se, come diceva Mallarmé (si parva licet, ovviamente), “mi si legge credendo di aprire il giornale”.

Forse le ragioni di certi disagi nella lettura della poesia sono da ritrovarsi nel sistema educativo, nella grande quantità di pregiudizi, di gerarchie e di banalità che vengono programmaticamente inculcati negli individui sin dalla scuola elementare in modo tale da renderli piú controllabili, cosa di cui non ci si rende conto abbastanza oggi (è il cane che si morde la coda).

Un caro saluto.

Alessandro

]]> Di: Marco Giovenale http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/#comment-1014 Mon, 13 Dec 2010 13:34:08 +0000 http://poesia2punto0.com/?p=4280#comment-1014 grazie delle tue ulteriori annotazioni, Luigi!

secondo me sarebbe molto proficuo lavorare proprio su (leggere e annotare) 1000m. ma è solo un suggerimento, il mio. e non voglio monopolizzare il thread, dunque lascio ad Alessandro e ad altri lettori eventuali interventi. riservandomi di riscrivere più tardi. un salutone a tutti

M

]]> Di: Redazione http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/#comment-1013 Mon, 13 Dec 2010 12:49:26 +0000 http://poesia2punto0.com/?p=4280#comment-1013 Uhm… no, Marco, tu ti sei spiegato bene. Io invece, siccome questa “cosa” mi confonde, mi esprimo confusamente.

Vediamo se così riesco ad essere più chiaro: se io non avessi letto la nota di poetica di Alessandro, mi sarebbe rimasto oscuro non parte ma l’intero della sua opera. Ora, quando dico oscuro, intendo anche (ma questo può benissimo essere un mio limite e non un limite dell’opera o del poeta) privo di interesse poiché privo di attrazione poiché evidentemente privo di connessioni con il lettore – connessioni che implicitamente ci sono (leggere infatti la poetica per trovarle) ma che esplicitamente sembrano porre l’opera ad una certa distanza rispetto al lettore. Da qui le mie questioni e i miei dubbi e le mie richieste di “aiuto alla comprensione”. Forse è solo una mia impressione sbagliata (e sicuramente parziale nel caso di De Francesco, di cui non ho avuto ancora modo di leggere tutto), ma mi sembra come se la poetica e le intenzioni siano più importanti dell’opera in sé e, allo stesso tempo, che l’opera abbia necessariamente bisogno di una poetica esplicita che la affianchi per essere colta e compresa totalmente (ammesso che ciò sia possibile), o comunque “condivisa” – pratica a cui l’arte in genere si dedica: condividere l’esperienza del reale contenuta dentro una specifica forma di cui l’autore e primo spettatore.
Mi rendo conto che questo è “un rischio” che tutti i poeti che praticano la scrittura di ricerca corrono consapevolmente e volontariamente, ma – è sempre un mio parere! – ho come l’impressione che la creatività formale (per tornare alla citazione di Giaquinto) prevalga su tutto il resto.
Insomma, per essere ancor più chiaro: se io leggo, per esempio, da 1000 metri, apprezzo molto più le intenzioni (meta)poetiche che i testi in sé. Poiché la mia “azione ermeneutica” si rivela molto più fruttifera di fronte alla nota di poetica che rispetto ad un componimento privato, oltre che dai riferimenti tipici che possono trasformarsi in entusiasmi un poco kitsch, da ritmo, musicalità, metafora.
Allora bisogna andare ancora più all’origine e chiedere: cosa è – o diventa- dunque “poesia”? e se ci avanza del tempo chiedersi anche: è il lettore “preparato” alla responsabilità ermeneutica che l’opera gli offre?

Ci tengo a ribadire due cose: che il mio non è un giudizio (né su De Francesco nello specifico, né sulla scrittura di ricerca in generale) ma solo un tentativo di riuscire a cogliere ciò che sicuramente mi sfugge; abbiate pazienza: il “nuovo”, da che mondo è mondo, ha sempre provocato resistenze 🙂

Luigi

]]> Di: Marco Giovenale http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/#comment-1012 Mon, 13 Dec 2010 11:21:18 +0000 http://poesia2punto0.com/?p=4280#comment-1012 nella citazione “Se c’è una responsabilità verso il pubblico, questa è l’obbligo di farsi comprendere, compatibilmente con le necessità di una creatività formale. Altrimenti è il pubblico, è la società a dover avere una sua responsabilità di fronte all’arte e alle sue creazioni” non ho capito il valore di quell'”altrimenti”.

non mi è chiaro dalla frase: il pubblico ha o non ha “una sua responsabilità” (immagino si intenda “responsabilità di comprendere”)?

]]> Di: Marco Giovenale http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/#comment-1011 Mon, 13 Dec 2010 11:07:30 +0000 http://poesia2punto0.com/?p=4280#comment-1011 non mi sono forse spiegato benissimo. non so. tento di aggiustare il tiro.

se un testo usa un elemento noto ai lettori, entro i termini e confini e codici noti già ai lettori, offre qualcosa che non chiede un’azione ermeneutica molto differente dal semplice riconoscimento di un insieme – appunto – conosciuto.

se un testo usa un elemento solo parzialmente noto, o non noto affatto, al lettore è richiesta una azione di interpretazione e quasi di ri-costruzione dell’oggetto percepito.

è l’esatto opposto del consumo. si consuma (si compra) ciò che ci rassicura e che conosciamo già. si fa invece “esperienza” del non conosciuto, e si cerca di riempire i vuoti semantici che il non conosciuto offre. (“esperienza” ed “esperimento” si possono applicare al nuovo, non al già sperimentato).

se un poeta usa il paragone “come un giglio” per dire che una cosa è molto pura, io non faccio il minimo sforzo ermeneutico. il giglio non verrà interpretato da me lettore come 1 singolo fiore, o come lo stemma di Firenze, ma – propriamente – secondo le intenzioni dell’autore – come il simbolo della purezza. la parola “come” innesca non un’attività di nuovo paragone, ma è un link a un paragone preverificato, ultra-noto. un poeta che oggi produce il paragone “come un giglio” e vuole che io vi veda un riferimento alla purezza è un poeta kitsch, a meno che non stia scherzando, operando su un registro ironico. se non scherza, e si aspetta da me che io lo prenda sul serio, è kitsch (a mio avviso).

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l’incipit della domanda 2 “Ma l’arte deve pretendere…” mi fa percepire un accento posto su “dovere”, che secondo me attiene non all’arte in quanto tale, ma a un modo di concepire solamente alcune poetiche. identificabili come normative da chi vuole che tali siano. perfino delle poetiche molto connotate e rigide possono avere artisti che le praticano e che però non le pongono come “normative”. (artisti che dunque non usano il verbo “dovere”).

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su ritmo e musicalità. se (non è un obbligo: dico: “se”) ci poniamo in un orizzonte post-paradigma, molti elementi connotanti “il poetico” (tra cui ritmo e musicalità) possono NON occupare il centro e forse nemmeno la periferia della scrittura in campo.

]]> Di: Redazione http://poesia2punto0.com/2010/12/12/ostacoli-ipotesi-complessita/#comment-1008 Mon, 13 Dec 2010 09:06:07 +0000 http://poesia2punto0.com/?p=4280#comment-1008 Mi ricollego alla discussione iniziata con il post di Giulio, riportando una frase dell’ultimo commento di Marco:

“Sento insomma che – in/per quelle opere – è rimessa a me, lettore, l’azione ermeneutica di attraversamento. E la compio.”

da qui delle domande:

1. Se è così, non è un modo per deresponsabilizzare l’attività artistica? Non è un modo che contribuisce alla creazione del “prodotto” artistico soggetto a “fruizione” ad “uso e consumo” da parte dello spettatore-autore, abbandonando così l’ambito della esperienza?

2. Ma l’arte deve pretendere dallo spettatore l’azione ermeneutica di attraversamento? o piuttosto deve offrire un nuovo luogo dell’esperienza umana dove è possibile viverla? Una forma per contenere l’esperienza umana che si vuole proporre, descrivere, rappresentare?
Come dice Giaquinto nella intervista postata oggi: “Se c’è una responsabilità verso il pubblico, questa è l’obbligo di farsi comprendere, compatibilmente con le necessità di una creatività formale. Altrimenti è il pubblico, è la società a dover avere una sua responsabilità di fronte all’arte e alle sue creazioni.”

Se poi qualcuno ha voglia di dialogare sul ritmo e sulla musicalità del verso entrambi, mi pare, in estinzione, mi darebbe una grossa mano come con il resto del dibattito 🙂

Luigi

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