Parola ai Poeti: Marina Pizzi


[Dopo Gio Ferri, Antonio Spagnuolo, Ida Travi, Giacomo Cerrai, Federico Federici e Liliana Ugolini, ospitiamo oggi le risposte alla nostra intervista di Marina Pizzi. Buona lettura.]


Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?

Come fattore prassi stiamo messi piuttosto male. Quasi tutti gli editori fanno pagare. E così, ovviamente, non c’è nessun gusto. La folla si crede poeta. L’affanno dell’anonimato rende vanesi e forse, anche, crudeli.

 

Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?

Ho pubblicato la mia prima plaquette con Tam Tam di Adriano Spatola, pagando la tiratura. Poi è arrivato Crocetti e sono stata molto lieta. Oggi ho una miriade di pubblicazioni elettroniche e in cartaceo. Ma non sono soddisfatta. I grandi e i  medi editori gratuiti sono del tutto disattenti.

 

Se tu fossi un editore cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?

L’editoria di livello dovrebbe essere una casa sicura. Un rimedio alla fatica di scrivere. Una casa sulla quale contare sotto ogni sorte. E, invece, si sta completamente soli. Gli editori dovrebbero fare gli imprenditori e non i tipografi su commissione.

La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?

Internet è un mezzo potentissimo che, se usato bene, può anche dare soddisfazioni non effimere. Ma la bulimia dei poetastri e degli affaristi è sempre in agguato. La poesia è il residuo del magnifico, sarà ed è di cantuccio e questo può essere anche un bene, una tutela. Un buon sito e un buon libro cartaceo possono anche equivalersi. Certo, il possesso del libro è un’altra cosa, è più curata e affettuosa.

 

Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?

Tranne rare eccezioni la critica della poesia contemporanea è assente, almeno in Italia. Pochi azzardano. Le consorterie sono altra cosa e la conoscenza fisica di solito è predominante. La parola, da sola, non basta. Occorrono le letture e molte altre cose snervanti.

 

Il canone è un limite di cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?

Le regole vanno conosciute per essere divaricate e rese altro. I buoni sentimenti non c’entrano nulla con un buon verso sia esso tradizionale o no. Tutto in poesia è provocante perché genera dolore o, più raramente, gioia. L’ammirazione è il nuovo bimbo che nasce da umilissime parole. Nessun pupattolo per le bambine. Una cosa inedita che prima non c’era da nessuna parte. E’ qui il difficile, il cuore sta sempre allo stesso posto e si tira indietro da ogni pretesto.

 

In un paese come il nostro che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona poesia?

So solo che Bondi, poetastro, non fa ed è Ministro della Cultura. I poeti vanno aiutati, sempre. Gli artisti sono, in genere, poverissimi. La legge Bacchelli è una buona cosa. Scrivere nei ritagli di tempo è deprimente. Occorre vivere veramente e non sono al cinque%. E’ una vita che faccio la doppia giochista, anche se un lavoro, libero,  di certo giova al poeta. Altrimenti la pazzia sarebbe ben più galoppante.

 

Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?

La scuola illuminata, i professori intelligenti, la editoria onesta, i genitori, i parenti, gli amici, ecc. La poesia ha bisogno di genialità, come tutte le altre arti. Di essere riconosciuta un bene inestimabile. Di non essere solo accademia o élite. Ma poi, alla fine, la solitudine delle scelte impera, ed è meglio così. I miti dei Maestri sono prigioni.

 

Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?

Sono apolide, solo apolide. Verso il pubblico non ho responsabilità se non offrire un’ottima fattura di prodotto. Questa piccola patria mi ha regalato il mio idioletto che curo allo spasmo. Ho il rammarico di non essere poliglotta.
Sono n un apolide in tutti i sensi. I  questa patria non mi riconosco. Ne amo altresì moltissimo la lingua. Certo se leggi solo Dante e Petrarca, ti distruggono! Vorrei essere poliglotta per poter essere apolide alla massima misura.

 

Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?

Credo nel rigore e nella serietà. Nella pazienza infinita. L’ispirazione è una scintilla che dura pochi secondi, il resto è duro lavoro e sacrificio.

 

Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?

La poesia tratta della vita e della morte, ecco perché è così difficile la sinossi.
La poesia ha la fonesi dell’aria polmonare, non ha bisogno di messaggi, stravede per il ritmo con o senza senso. Non chiede niente e dice l’aranceto in fiore delle spose. Una promessa e nulla di più, il mantenimento del certo è dato ai creduli o ai creduloni. L’emozione e l’idea di solito vanno a braccetto, l’emozione del dubbio implica idee a grappolo.

 

Cosa pensano della poesia le persone che ami?

Vivo con un poeta che ha rinunciato a scrivere versi. Gli altri sono ignari  per comodità e menefreghismo.

 

Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?

Sono completamente clandestina. Il lavoro mi dà da vivere, la poesia mi dà l’almanacco dei mie giorni. Mi toglie la vita quotidiana per un appannaggio  che resta misterico. Il cartellino quotidiano mi uccide.

 

Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?

Manca di tutto. Per il mio futuro non spero più niente. Un’educazione alla poesia e alla musica in Italia  non c’è. Le lingue le imparano in pochi. E l’accademia è sempre stata supponente di sé. L’universalità della poesia, sbarrata dalla lingua, non può esistere. I traduttori sono dei puri benefattori,  come i cuochi.

 


 

Marina Pizzi è nata a Roma, dove vive, il 5-5-55. Ha pubblicato i libri di versi: “Il giornale dell’esule” (Crocetti 1986), “Gli angioli patrioti” (ivi 1988), “Acquerugiole” (ivi 1990), “Darsene il respiro” (Fondazione Corrente 1993), “La devozione di stare” (Anterem 1994), “Le arsure” (LietoColle 2004), “L’acciuga della sera i fuochi della tara” (Luca Pensa 2006), “Dallo stesso altrove” (La camera verde, 2008), “L’inchino del predone” (Blu di Prussia, 2009), “Il solicello del basto” (Fermenti, 2010); le plaquettes “L’impresario reo” (Tam Tam 1985), “Un cartone per la notte” (edizione fuori commercio a cura di Fabrizio Mugnaini, 1998); “Le giostre del delta” (foglio fuori commercio a cura di Elio Grasso nella collezione “Sagittario” 2004). Sue poesie sono state tradotte in Persiano, in Inglese, in Tedesco. Ha vinto tre premi di poesia. Nel 2004 e nel 2005 la rivista di poesia on line “Vico Acitillo 124 – Poetry Wave” l’ha nominata poeta dell’anno. Fa parte del comitato di redazione della rivista “Poesia“. E’ tra i redattori del litblog collettivo “La poesia e lo spirito“, collabora con il portale di cultura “Tellusfolio”. Numerosi e-book e collaborazioni si possono leggere on line.   Sul web cura i seguenti blog di poesia: Sconforti di consorte, Brindisi e cipressi e Sorprese del pane nero.

Redazione
Written By
More from Redazione

Rimembrando una Claudia

Si comincia un anno nuovo guardando avanti. I resoconti, le pulizie nella...
Read More

5 Comments

  • Allora avevo interpretato male io – grazie Marina!

    @ Fiori: la questione dell’editoria a pagamento è controversa almeno quanto quella del canone e molte altri aspetti della poesia. Ne stiamo parlando in redazione per trovare un modo ed uno spazio da dedicarle per approfondire meglio.

    Luigi B.

  • Giusto che il poeta si promuova, che faccia il suo piccolo tour; ma attenzione: se per la promozione della poesia il problema è (anche)il pubblico (sempre esiguo quello vero) e l’attenzione di una critica autentica (ormai rara e disorientata), il tour a poco servirà….
    ma sono molti gli spunti offerti dalle risposte di Marina Pizzi: per sempio la sua ‘severità’ nel giudicare gli editori è fondamentalmente giusta, ma di fronte a un editore che chiede l’acquisto di un centinaio di copie ma fa una corretta selezione e promuove i poeti in cui crede, non sarei così severo (anche perchè le copie per gli omaggi amicali le acquista anche, a maggior ragione, chi ha la pubblicazione gratuita)

    Un saluto cordiale

  • Pingback: Tweets that mention Parola ai Poeti: Marina Pizzi | Poesia 2.0 -- Topsy.com
  • Questa intervista di Marina Pizzi è breve ma intensa. Intensissima. Dice cose importanti se si legge piano, se si legge bene. È evidente un certo abbattimento dovuto alla frustrazione di una condizione che non ha bisogno di spiegazioni e di un modo di viverla che forse meriterebbe più spazio – perché in molti vivono così ma ognuno con il proprio modo di essere.

    L’unica cosa che – se non l’ho male interpretata – non mi sento di condividere è questa:

    “La parola, da sola, non basta. Occorrono le letture e molte altre cose snervanti.”

    Ora, partendo dal presupposto che le letture e le altre cose snervanti non sono gli unici modi per accompagnare la parola, sono convinto che sia necessario un lavoro che vada oltre la parola. Soprattutto in un contesto dove il parlare è entrato a far parte dell’ambito del diritto (di parola) e ciò comporta il fatto che nessuno chiude il becco. A questo aggiungo anche un’altra ragione: perché io dovrei leggere Marina Pizzi piuttosto che X e Y? solo perché ha scritto un buon libro di poesia? E tutti gli altri che pure scrivono poesie? Che il merito dovrebbe “calcolarsi” sulla qualità della parola non può che essere condivisibile, ma lasciare ciò che si è detto a se stesso senza accompagnamento non è un po’ dare poca importanza a ciò che si è scritto?
    Per fare un paragone: i musicisti ed i cantanti, quando fanno uscire un disco, si mettono in marcia per un tour. Perché il poeta dovrebbe esimersi dal suo di tour?

    Luigi B.

Lascia un commento