Particelle n.1: Le parole disabitate III (il santo) – di Marco Bin



La prima particella che qui presento è una poesia tratta dall’antologia “Le parole disabitate edita da Le Voci della Luna, che raccoglie le poesie premiate nel concorso letterario MezzagoArte 2010 –  Il titolo della poesia è “Le parole disabitate III (il santo)” ed è stata scritta da Marco Bin, giovane poeta milanese. Questa poesia fa parte di un trittico con il quale il poeta ha partecipato al premio sopra citato classificandosi al secondo posto.

La composizione consta di ventitre versi liberi divisi in quattro strofe di diversa lunghezza, nei versi riscontro qualche assonanza (vetro, vitro), assenza di rime, qualche aggettivazione particolare (staccia, franta). L’atmosfera è rarefatta, la poesia è di facile lettura nonché molto scorrevole, colloquiale, il poeta non si rivolge a un tu generico, a un qualsiasi lettore ma a un preciso personaggio, già conosciuto e incontrato  un giorno casualmente. Mi è piaciuta per la sua semplicità ma principalmente perché mi ha colpito il primo verso, breve, secco, deciso, che cita la distanza, tema che mi appartiene e che sempre mi turba e  mi coinvolge emotivamente. La distanza è il male del mondo, la distanza è la separazione, la frattura, la divisione.

Da questo primo verso comincio la lettura semiragionata e non critica della poesia.

Primo verso:

Quanto sei distante, Maestro.

C’è una virgola che separa il soggetto che osserva e parla, chiaramente allievo in quanto se chi parla si rivolge al suo interlocutore appellandolo padre di certo sarà figlio, non un figlio qualunque figlio di un padre qualunque, ma sarà quel figlio, sarà il figlio di quello specifico padre. Abbiamo quindi un allievo che si rivolge al suo maestro ma fra l’allievo e il maestro c’è una virgola che divide, che allontana, questo in effetti si era già capito da prima, perché il poeta lo specifica fin dall’inizio “quanto sei distante” – virgola – Maestro. E poi maestro è maiuscolato ad indicarne la grandezza e il conseguente sentimento di pochezza dell’allievo. In quel “Quanto” scorre sotterraneo un sentimento di risentimento e rancore nei confronti del maestro. Io sono un piccolo alunno e tu sei un maestro, e sei distante, ma quanto distante? Sei tanto distante  e infatti ti metto la M  maiuscola in quanto alto e inarrivabile.

Va bene, chiudiamola qui la questione, mettiamoci un punto.

Quanto sei distante – virgola – Maestro con la maiuscola PUNTO.

No, non è finita, il  poeta prende fiato e  ci dice dove si trova

 

Da dietro la mia bancarella straccia

Si trova dietro una bancarella e neppure tanto messa bene, infatti è straccia come gli stracci. Si trova dietro la bancarella, per cui la distanza è ancora più grande, la bancarella è un  divisorio, è una muraglia, una paratia, una trincea fatta di libri. E’ forse la cultura che separa? Sono quei libri usati, libri che fanno parte del passato a creare la distanza fra il maestro e l’allievo?

 

sembra tu abbia un debito di forma

un interesse sottile, di vetro.

Quindi il maestro non è poi così grande e maiuscolato, ha contratto un debito, anche se l’interesse non è alto, è fragile, è di vetro sottile, può rompersi da un momento all’altro.

 

I miei libri come alambicchi

mausolei immobili, in vitro.

 

Pare che l’interesse del grande maestro si rivolga alla bancarella del povero alunno poeta venditore di libri usati.

 

E tu sempre in alto, dietro gli occhiali.

Sempre altro.

Pochi volti nella tua orbita franta

impressionisti, belli per la distanza.

avvinto al tuo ricordo bambino

grottesco ormai, camuffato il tuo sogno

l’hai intonacato a forma di trono.

 

Il Maestro è vecchio, ora si è capito, la distanza è data semplicemente dall’età che li separa. Il giovane prova pietà per questo anziano maestro, ci dice dei sogni del bambino non ancora maestro, sogni che il  maestro non è riuscito a realizzare pienamente, sogni che si sono trasformati in troni di gesso che si scheggiano con un dito, che si frantumano solo a sfiorarli, sogni fasulli, risultati fasulli, artefatti malfatti, molto meno che quei volti impressionisti della giovinezza del maestro, quelli la distanza fa apparire più belli e che visti da vicino appaiono sfocati e senza forma e contorno, il maestro infatti è anziano, ha un debito di forma, porta gli occhiali, non vede, non è distante, oserei dire che il maestro non esiste più, sta svanendo come un acquerello immerso in una pozza d’acqua, la distanza non è più data dall’altezza del maestro ma dalla sua assenza e inconsistenza, il maestro si sta sciogliendo, è evanescente, leggero e senza peso sono le sue ossa, osteoporotico, può ora sedersi nel suo trono di gesso che lo reggerà perché è fatto con il calcio delle sue ossa.

 

I giovani giudicano i vecchi, gli allievi i maestri. Sembra crudele il giovane allievo nel suo giudizio. Crudele ed impietoso come uno specchio d’estetista, l’allievo è lo specchio che entra nelle sue pieghe, che mostra le rughe di quei sogni non avverati. Impietoso come a volte sanno essere i figli nei confronti dei padri, ma affettuosi nello stesso modo e nello stesso tempo. Bisognosi comunque di consigli  e insegnamenti, bisognosi di una qualche lezione, come pure  quella  dello svanire come la neve, come svaniscono certe parole, come l’agnello sacrificale immolato sull’altare della poesia, come le ossa sotto il peso degli anni e delle parole. Quando non ci sarà più la distanza. Non più fragilità, non più necessità di occhiali. Quando avremo lasciato dietro le nostre spalle le vecchie bancarelle, i vecchi libri,  reciteremo parole nuove a infinite voci con i bambini e con i maestri. Quando non ci saranno le distanze, nessun tempo, nessuno spazio, nessun peso.

 

L’ho sfiorato appena

il tuo respiro di burrone.

Tu santo senza altari

agnello di te stesso.

Nessuno ad esseri pari

non ha fratelli il silenzio dei nevai.

Forse sole le stelle.

Insegnami ora

A morire ad occhi aperti

a svendere il peso delle mie ossa.

 

Ps – Inserisco qui la dicitura in esergo con la quale il poeta specifica luogo e giorno dell’incontro, cioè che era sabato e che era in San Babila.

 

Mentre vendevo libri in San Babila

Sabato ho visto un poeta.

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Redazione
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2 Comments

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  • Stupendo ,sublime fragrante :come il blu che si crede notte nascosto tra le coste del velluto in piena quando l’alta marea e solo una luce bianca e riflessa dalle sopracciglia del maestro e non riesce a spiegare all’allievo com’è che l’occhio castano rimane
    ed terra senza burrone ,tunnel nella proiezione che finisce li nel buio lieve del costone nei picchi delle onde da luminare.

    ho letto delle frazioni di bei testi.

    un saluto,

    ciao.

    Marcello

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