Datemi solitudine ma non lasciatemi sola. — Mariella Bettarini

Parola ai Poeti: Giacomo Cerrai

di Redazione


[Dopo quelle di Gio Ferri, Antonio Spagnuolo e Ida Travi, ospitiamo oggi le risposte alla nostra intervista di Giacomo Cerrai. Buona lettura.]


Qual è lo “stato di salute” della poesia in Italia? E quello dei poeti?

Mi sembrano inscindibili. La poesia non è che un prodotto di uomini e della loro epoca, e nel nostro caso, anche di questo incredibile paese. Se il disorientamento è uno dei tratti ereditati dal ‘900, figuriamoci qui in Italia, dove la mancanza di una progettualità o di idee si riflette anche su una politica asserragliata e asfittica, e viceversa.  Mi sembra che ci sia, parlando in generale, una certa oscillazione inconcludente  tra il ripiegamento su sé stessi, su certe modalità di un ’900 ancora troppo vicino, e una ricerca “indicibile” e piuttosto noiosa. Naturalmente ci sono alcuni poeti molto buoni, ma non mi metterò a fare nomi, e la poesia sta lentamente, su iniziativa di molti, riacquistando una certa visibilità.


Quando hai pubblicato il tuo primo libro e come hai capito che era il momento giusto? Come hai scelto con chi pubblicare? Cosa ti aspettavi? Cosa ti ha entusiasmato e cosa ti ha deluso?

Il mio primo libro l’ho pubblicato circa un secolo fa e quindi non fa storia attuale. Non ho capito che era il momento giusto, è successo e basta, è stata un’amica a fare quasi tutto, tranne scrivere i versi! Mi aspettavo quello che non è successo, che servisse a stanarmi dalla mia naturale ritrosia, o chiamatela pigrizia se volete. Non c’è stato un entusiasmo “da carta” e l’unica cosa che mi ha deluso è stata la qualità della stampa, una cosa su cui, come vecchio topo di biblioteca, sono piuttosto attento.

 

Se tu fossi un editore cosa manterresti e cosa cambieresti dell’editoria poetica italiana? Cosa si aspettano i poeti dagli editori?

Se fossi un editore avrei tendenze suicide. I piccoli editori di poesia sono degli eroi, e li stimo molto, ho degli amici tra loro. Bisognerebbe aprire una parentesi su quelli che si fanno pagare, ma lasciamo perdere. Chi scrive in fondo si aspetta da loro una visibilità, un sostegno che non sempre sono in grado di fornire. In cambio dovrebbero almeno mantenere l’asticella alta, parlo della qualità, dovrebbero fare un serio lavoro di editing, come quello di Pound (il miglior fabbro) su Eliot, dovrebbero essere severi (e quindi preparati). E invece c’è in giro della roba, concentrata in case editrici che non nomino per carità di patria, su cui se avessimo fegato dovremmo sparare ad alzo zero.


La poesia di domani troverà sempre maggiore respiro nel web o starà in fondo all’ultimo scaffale delle grandi librerie dei centri commerciali? Qual è il maggior vantaggio di internet? E il peggior rischio?

Devo ancora trovare un libro di poesia, che non sia un vecchio classico con i diritti scaduti, in un centro commerciale!  L’evento sarebbe di per sé memorabile. Ecco, il discorso sulla editoria deve appoggiarsi per forza di cose su quello della rete, come editoria virtuale, come diffusione copyleft o tipo Ipad, come allargamento di una platea potenziale, come luogo di dibattito ecc. Al discorso poesia e web ci credo, ho partecipato a dibattiti, ho scritto cose e anche se al momento non ci posso dedicare tempo sono favorevolissimo ad una iniziativa come Poesia 2.0. Semplificando il discorso, Internet permette di raggiungere un numero di persone impensabile per qualsiasi rivista, tanto per dire. I rischi, sinteticamente, sono come ho detto altrove l’information overload, il “troppo”, e con il troppo la fretta e lo scadimento qualitativo, a volte effetti collaterali della cosiddetta “democrazia” della rete. Ma la questione è più complessa. Accenno solo a un altro rischio, legato a ciò che ho detto: quello di una cultura “di superficie”, come un sasso lanciato in velocità a pelo d’acqua.


Pensi che attorno alla poesia – e all’arte in genere – si possa costruire una comunità critica, una rete sempre più competente e attenta, in grado di giudicare di volta in volta il valore di un prodotto culturale? Quale dovrebbe essere il ruolo della critica e dei critici rispetto alla poesia ed alla comunità alla quale essa si rivolge?

Diciamo che ci spero. Se per rete si intende il web, può darsi. Tutto comunque dipende dalle persone, non dai mezzi. Ricordiamoci che abbiamo a che fare con un analfabetismo, culturale e non, crescente. Questo si riflette sulla semplice lettura, ma anche sulla capacità di recepire qualche indicazione critica appena meno banale di un semplice “bella!”.  Si ripiega allora sulla recensione (che è un’altra cosa), come si fa con la classifica dei best seller per scegliersi un romanzo per le vacanze.  Serve una funzione “didattica” della critica, serve il suo contributo ad una “assuefazione” alla poesia. Non basta che la critica sia competente e attenta, bisogna che sia anche abbastanza onesta e abbastanza coraggiosa. Non servono le stroncature alla Papini o le “botte” alla Boine, ma certo una critica senza infingimenti e retropensieri, senza paura di rompere troppo le scatole a qualcuno che magari potrebbe domani fare comodo, servirebbe parecchio. Come servirebbe che i poeti, come dico spesso, non fossero la categoria più permalosa della Terra.


Il canone è un limite di cui bisognerebbe fare a meno o uno strumento indispensabile? Pensi che nell’attraversamento della tradizione debba prevalere il rispetto delle regole o il loro provocatorio scardinamento?

Qui da noi abbiamo una certa tendenza a trasformare le parole in mantra. Il canone, più che occidentale, è provinciale, dalle nostre parti. Ci piacciono gli schieramenti, ma siamo un popolo di individualisti e così alla fine, come ognuno ha la sua nazionale tipo, ognuno ha il suo personale canone. Fatto spesso di totem e tabù. Che allora ingabbia, limita. Se il canone assomiglia a un bagaglio culturale o all’enorme archivio a cui accenna Eliot, da cui poi il talento estrae e ricombina una nuova relazione, allora lo puoi attraversare quanto vuoi, lasciando in questo scavo anche parecchie macerie in giro, naturalmente. Comunque ognuno è libero di fare quello che vuole, rammentando magari (è storia) che lo sradicamento, la radiazione del codice, spessissimo porta al grado zero della comunicazione, il rumore bianco. Poi, per carità, tutto prima o poi diventa tradizione, non preoccupiamoci troppo.


In un paese come il nostro che ruolo dovrebbe avere un Ministro della Cultura? Quali sono, a tuo avviso, i modi che andrebbero adottati per promuovere la buona Letteratura e, in particolare, la buona Poesia?

Se metti queste due domande insieme, associ diffusione della cultura e politica. Non sono sicuro che, oggi e qui, stiano insieme.  Ma anche storicamente politica e cultura non sono mai andate tanto d’accordo, da Pavolini a Zdanov a, per altre ragioni, Gilberto Gil. Disgraziatamente in questo paese ti viene subito in mente Bondi, e quelli che lo hanno preceduto, ma dirne male o bene è esercizio ormai futile, a parte che per Rondoni, naturalmente. Accantonerei la questione, è tempo perso, almeno fino a quando la scelta sarà tra uomini “fidati” e uomini competenti. In quanto alla letteratura e alla poesia, per quanto possa apparire pleonastico il modo migliore per diffondere quella buona è farla appunto buona. Troverà la sua strada.


Quali sono i fattori che più influiscono – positivamente e negativamente – sull’educazione poetica di una nazione? Dove credi che vi sia più bisogno di agire per una maggiore e migliore diffusione della cultura poetica? Chi dovrebbe farlo e come?

Se siamo sinceri, e se siamo stati fortunati, dobbiamo ammettere che il primo contatto con la poesia è avvenuto a scuola.  Ma la scuola è ridotta a mal partito, non contiamo troppo su di essa. La poesia richiede un alto grado di sensibilità, in quanto linguaggio specifico, ma la società è sempre più anestetizzata, e non uso a caso questo termine: non solo insensibile, ma anche an-estetica. Quindi credo che bisognerebbe agire sull’educazione alla bellezza e agli affetti. Lo so, può apparire di un idealismo sfrenato, ma cosa vi aspettate da un poeta?, e poi magari servirebbe anche alla società in generale. A questo punto, se come abbiamo detto lasciamo perdere le istituzioni, sulla breccia ci rimangono quelli che la poesia la fanno, la leggono, si sbattono per diffonderla, compresi certi eroici insegnanti che non rinunceranno mai a infilarla nei programmi. Una responsabilità che più in generale compete a tutti coloro che in piccolo o in grande fanno lavoro intellettuale.


Il poeta è un cittadino o un apolide? Quali responsabilità ha verso il suo pubblico? Quali comportamenti potrebbero essere importanti?

Se fosse apolide forse sarebbe meglio, perché a volte è arduo appartenere a questo paese, a questa temperie. Ma è un cittadino, ed è bene che si ricordi di esserlo. Il che vuol dire, da questo punto di vista, che la responsabilità verso il suo pubblico, ammesso che ne abbia e a parte una doverosa onestà intellettuale verso di esso, è secondaria. Mi scoccia tirare fuori il solito Pasolini e ho alcune diffidenze verso la poesia “civile”, ma credo si possa dire che per lui essere un poeta era “secondario”. Non so se mi sono spiegato. Esorterei quindi i poeti a non dedicarsi esclusivamente al verso, ma anche ogni tanto al pensiero, all’intervento, se così si può dire.


Credi più nel valore dell’ispirazione o nella disciplina? Come aspetti che si accenda una scintilla e come la tieni accesa?

Ognuno ha i suoi metodi. Dylan Thomas si faceva delle epiche bevute, per dire, non è chiaro se prima o dopo aver scritto qualcosa. L’ispirazione, concetto quanto mai astratto, a volte capita, ti sembra di riconoscerla, e non hai a portata di mano nemmeno uno scontrino per prendere un appunto! A volte succede anche quando una ragazza ti dà il suo numero, stessa cosa. Se non è l’ispirazione, qualsiasi cosa voglia dire, magari è una singola parola, un’associazione d’idee, un pensiero laterale, quel raggio verde al tramonto che piaceva tanto a Eric Rohmer, o quella che io chiamo una “parola/seme”. Ma a questo punto quello che hai, l’ho detto altre volte, è solo “materiale” poetico. Credo poco alla scrittura di getto, anche se mi è capitata. Quello che ti serve a questo punto è, sì, la disciplina, il lavoro, la riscrittura, le varianti, l’autocritica, la cultura, insomma tutto l’armamentario che per me è essenziale e per altri, buon per loro, è secondario.


Scrivi per comunicare un’emozione o un’idea? La poesia ha un messaggio, qualcosa da chiedere o qualcosa da dire?

Il concetto di messaggio, avendo visto altre stagioni, mi risulta abbastanza estraneo, novecentesco. Vorrei, spererei che la poesia comunicasse un’idea, sia perché sono abbastanza convinto che sia una forma alta di pensiero, sia perché l’emozione rimanda all’individuo che rimanda all’io ecc. ecc., e di questi tempi, in cui troppa gente si trastulla a occhieggiare le vite superficiali  degli altri, è sempre più difficile convincere un lettore che le mie emozioni hanno un valore aggiunto rispetto alle sue, o che dico meglio una cosa che forse sa già ecc. Molto meglio instillare un dubbio.


Cosa pensano della poesia le persone che ami?

Tutto il bene possibile, partendo però dalla convinzione che è una attività perfettamente inutile. Quindi agiscono perché mi vogliono bene, perché sanno che a me importa. Così facendo mettono in moto, abbastanza inconsapevolmente, una poetica degli affetti che non ha nessun riflesso su quello che scrivo, ma che non è niente male.


Sei costretto a dividere il tempo che più volentieri dedicheresti alla poesia con un lavoro che con la poesia ha davvero poco a che fare? Trovi una contraddizione in chi ha la fortuna di scrivere per mestiere? Come vivi la tua condizione?

Divido il tempo tra questo e quello come quasi tutti. Come dico spesso c’è il lavoro della pagnotta e quello della poesia (e annessi blog, recensioni ecc.). Non conosco di persona nessuno che viva con la sola scrittura, figuriamoci con la sola poesia. In realtà la maggior parte dei poeti con una certa fortuna editoriale sono prima consulenti editoriali, conferenzieri, docenti universitari, o maestri elementari, attività con cui si guadagnano il pane, e dopo sono poeti. E tuttavia, se si tralascia il non morire di fame, è assolutamente vero il contrario: sono poeti, e con questa qualifica si presentano. C’è qualche differenza tra loro e un tipo come Luigi di Ruscio, o un Mimì metallurgico che scrive poesie? Nessuna, sono tutti intellettuali, nella basica accezione del termine ripescata da Umberto Eco. Poi qualcuno, ovviamente, è più intellettuale di altri, vuoi mettere?


Cosa speri per il tuo futuro? E per quello della poesia? Cosa manca e cosa serve alla poesia ed ai poeti oggi?

Per il mio futuro niente. Spero che ci siano abbastanza giovani e meno giovani poeti abbastanza preparati culturalmente e criticamente e abbastanza consapevoli della necessità di esserlo senza dare per scontato nulla. Insomma, studio, talento e lavoro.  E con questo credo di aver risposto anche alle ultime due domande.




Giacomo Cerrai è nato a S.Giuliano Terme (Pisa). Ha studiato a Pisa, dove abita e lavora, e dove si è laureato in Letteratura Italiana Moderna e Contemporanea con Silvio Guarnieri, con una tesi sulla rivista letteraria fiorentina “Solaria”. Ha pubblicato solo una piccola raccolta, “Imperfetta ellisse”, prefazione di Cristiana Vettori, negli “Opuscoli di Primarno” della Accademia Casentinese di Lettere, Arti e Scienze. Ha collaborato con un proprio testo bilingue a “Private” n. 18/2000, rivista di fotografia e scrittura, ed è uno degli autori del volume dedicato a Cesare Pavese “AA.VV. – Cesare perduto nella pioggia” a cura di Massimo Canetta, Di Salvo Editore Napoli. Sue poesie sono su Dadamag n.6 (1999), sul blog di Gianfranco Fabbri “La costruzione del verso”, sul n.4 – Gennaio 2007 della rivista “L’Attenzione. Altri testi (letti dall’autore) sono presenti su “Oboe sommerso”, il blog di Roberto Ceccarini. Altri ancora sono stati ospitati dal blog collettivo “Via delle Belle Donne“, di Antonella Pizzo e C., compreso l’unico, per ora, suo esperimento di poesia multimediale intitolato “Flash poem”. E’ ora disponibile su Lulu.com una versione a stampa (scaricabile anche gratuitamente) de “La ragione di un metodo”, silloge di testi risalenti agli anni ’80-’90. Inoltre una silloge di quattordici poesie appartenenti a periodi diversi è stata ospitata dal blog di Francesco Marotta “La dimora del tempo sospeso“. E’ presente nell’antologia “Vicino alle nubi sulla montagna crollata”, a cura di Luca Ariano e Enrico Cerquiglini, Campanotto Editore, con il poemetto “Acqua” e sull’annuario n. 29 di Tellus. Ha pubblicato di recente il poemetto “Sinossi dei licheni”, ebook presso Clepsydra Edition. Un altro poemetto, “Camera di condizionamento operante”,  è uscito nel Luglio 2009 presso “L’Arca Felice” di Salerno, nella collana Coincidenze.

  • Facebook
  • Twitter
  • Wikio IT
  • Technorati
  • del.icio.us
  • Digg
  • Google Bookmarks
  • Meneame
  • Tumblr
  • StumbleUpon

15 Responses to “Parola ai Poeti: Giacomo Cerrai”

  1. Cinzia Luigia Cavallaro says:

    Ho davvero apprezzato il disincanto e la prontezza con le quali Giacomo ha espresso i suoi pensieri. Dalle sue parole, dal suo vissuto e dalle sue scelte editoriali, a mio modesto parere, traspare chiaramente il suo amore viscerale e reale per la poesia, per il “fare” poesia. Penso che ci siano molti spunti, per me innanzitutto, per riflettere sul senso reale e pregnante della poesia cosi com’è. La poesia in quanto tale, a prescindere. Se tutti mettessero per ultime le velleità letterarie e per prima la scrittura poetica onesta, forse anche l’editoria sarebbe costretta a cambiare.
    Grazie per le belle riflessioni e anche per la bella scoperta della rivista Private, oltre a tutto il resto.
    Buona continuazione.

  2. Giuseppe says:

    Ho conosciuto Giacomo per caso esplorando il web in cerca di siti interessanti sulla poesia. Sono d’accordo con Cinzia. Giacomo ha pensieri interessanti e lucidi. Ed ama visceralmente la poesia. Se il parlare di poesia sul web comincia ad avere un senso è anche e soprattutto per merito del lavoro paziente di quelli come lui.

  3. Mario Fresa says:

    Caro Giacomo,
    parole chiare, forti, poco circostanziate e molto dirette. Mi preme sottolineare l’importanza delle tue osservazioni – contenute nella risposta alla questione n. 9 – fondate sull’auspicio – o sulla speranza – che il poeta la smetta, ogni tanto, di occuparsi (o di preoccuparsi) del “suo” pubblico, e che, invece, possa iniziare a intervenire con maggiore nettezza di idee e di posizioni nella vita politica del suo Paese.
    I poeti non dovrebbero mai tacere in merito a ciò che accade intorno a loro.

  4. giacomo cerrai says:

    ringrazio chi mi ha interpellato e pubblicato. E ringrazio gli amici che hanno commentato, Cinzia, Giuseppe e naturalmente Mario Fresa, amico e prefatore.
    Ringrazio anche la trentina di amici che “like this”. Ma a loro vorrei ricordare, con molto affetto, quello che ho detto parecchie volte: a dire a un autore che “mi piace” gli si esprime una stima ma non gli si fa un favore, se non si dice in tre parole perchè. Meglio lasciar stare certi bottoncini di Facebook, non lasciamoci intrappolare da certi meccanismi. Prendiamoci del tempo, e diciamo magari quello che non piace.
    un saluto

  5. Tweets that mention Parola ai Poeti: Giacomo Cerrai | Poesia 2.0 -- Topsy.com says:

    [...] This post was mentioned on Twitter by Poesia 2.0 and Poesia 2.0, Poesia 2.0. Poesia 2.0 said: Parola ai Poeti: Poesia 2.0 intervista Giacomo Cerrai http://t.co/uSzPBt6 [...]

  6. Lina Maria Ugolini says:

    Schietto il poeta non accetta la parola casuale. Cerca uno spazio, come pausa bianca di pace, per conferire alla materia del dire un corpo e un’ anima indomita. La poesia si nutre di poesia, fiato a fiato s’incontra e dilata se se stessa oltre un pentagramma che vorrebbe proprio complice nel canto dell’ineffabile.
    grazie a Cerrai.

  7. viola says:

    molto condivisibili le risposte di Giacomo, specie dove rimarca la responsabilità di ciascun autore/editore/critico ma soprattutto. forse, lettore nel far poesia fuori da ogni hortus, conclusus o meno che si ritenga, Viola

  8. Giuseppe says:

    Vorrei approfittare di questo spazio per aprire timidamente un discorso che mi gira in testa da qualche tempo. E’ mia impressione che nei blog di poesia si abbia spesso una dinamica che definirei “a stella”: tutti dialogano con l’autore del blog con i loro commenti. Dalla “periferia” al “centro”. Sarebbe bello avere una rete. Un dialogo esteso a tutti i partecipanti, tra loro stessi. Non il commento che si limita a trasmettere il messaggio personale ma il commento come seme iniziale di una discussione tra tutti. Pensate che si possa?

  9. Antonio (Fiori) says:

    Quello di Giacomo è sicuramente tra i pochi blog che resistono e mantengono l’impronta d’origine: un profilo alto ma amicale nell’accoglienza e nei toni. Ed uno dei pochissimi dove il post va subito all’analisi, al cuore dei testi e offre tutti i link d’approfondimento.
    La proposta fatta da Giuseppe nel commento precedente, al di là del miglioramento ‘tecnico’ della funzione del commento, ha a che fare proprio col problema dell’approfondimento, col desiderio vero di conoscenza di quell’autore. I post più ‘riusciti’ e gratificanti infatti sono quelli dove i commentatori dialogano – sul poeta – anche fra di loro (e non solo col padrone di casa)
    Un caro saluto a tutti

  10. Giuseppe says:

    Sono d’accordo con Antonio. E direi che la presenza di Giacomo in veste di critico e moderatore aggiunge tanto valore all’esperienza di dialogo/laboratorio di discussione sulla poesia e i poeti.

  11. giacomo cerrai says:

    quella di poter dialogare direttamente con gli autori è una delle grandi potenzialità di internet, purtroppo poco sfruttata perchè entra in conflitto con l’altra caratteristica del web, cioè la velocità. Che, come sappiamo, se diventa fretta è uno dei nemici peggiori della poesia.
    un saluto e un grazie a tutti
    Giacomo

  12. Redazione says:

    La proposta di Giuseppe è interessantissima e fa parte di uno tra i tanti obiettivi che ci siamo proposti: cercare di auto-educarci al mezzo internet, che è sì pieno di pregi, ma anche di enormi difetti.
    Commentare tanto per commentare; per avere un link, commentare un commento in una sfliza di dispettini e chiacchiere da bar etc. è, purtroppo, un enorme limite del mezzo. Però, con l’aiuto e la collaborazione di tutti (sempre che si condivida il medesimo oiettivo) credo possa essere possibile impostare un nuovo modo di dialogare come in una grande agorà. Ne parleremo in seguito su queste pagine.

    Per quanto riguarda l’approfondimento: il blog di Giacomo è un esempio che vale per altri (pochi, forse pochissimi) blog di approfondimento reale. Il problema, però, resta non del blog (quando gestito da persone competenti come Giacomo) ma di chi il blog lo frequenta. I vari commenti che si possono leggere (non solo sul blog di Giacomo, ovviamente) sono facilmente riconducibili (dal tono e dal contenuto) al “tipo” di persona che lo ha scritto ed alla sua preparazione, alle sue intenzioni di condivisione ed alla sua voglia di approfondimento. Per questo ribadisco c’è bisogno di auto-educarci al mezzo. Difficile…

    Luigi B.

  13. Redazione says:

    Dimenticavo di dire che la proposta di Giuseppe è opportuna visto il commento di Giacomo che la precede e che credo dica la stessa cosa. Però qui abbiamo già un esempio: da un lato l’autore che “sprona” (probabilmente perché conoscitore del mezzo) e dall’altro il lettore che coglie :)

    Luigi B.

  14. Lina Maria Ugolini says:

    Una perfetta dinamica del dare e del ricevere… Ricevendo il lettore si fa donante nell’atto di cogliere il dato per dono.
    Lina Maria U.

  15. [...] quelle di Gio Ferri, Antonio Spagnuolo, Ida Travi e Giacomo Cerrai, ospitiamo oggi le risposte alla nostra intervista di Federico Federici. Buona [...]

Leave a Reply