Il poeta della vita: Luigia Sorrentino intervista Valentino Zeichen


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di Luigia Sorrentino

Valentino Zeichen, uno dei più raffinati poeti contemporanei italiani, racconta la sua “pagina di storia”. Era ancora bambino quando alla fine della Seconda guerra mondiale con l’esodo massiccio degli Italiani d’Istria lasciò Fiume, la città dove è nato, per trasferirsi con la famiglia a Roma, dove tuttora vive. La casa in cui Zeichen abita e che fin da quando ci siamo conosciuti, nel 1986, definisce con sottile ironia “una baracca”, si trova sulla via Flaminia, una delle strade più antiche della capitale, luogo ideale per il poeta che ha riconosciuto in Roma e nella Romanità la sua vera origine. Abbiamo incontrato Valentino Zeichen, “il poeta che a volte sorride, a volte si incupisce, in una densità varia di umori e negli scatti di un’intelligenza sempre agli antipodi dell’ovvio”, a Fabriano, nelle Marche, alla prima edizione di Poiesis, il Festival dedicato alla poesia curato da Francesca Merloni.

 

Ci siamo conosciuti nel luglio del 1986 a Ortona, a un incontro collettivo di poesia e d’arte organizzato da Cecilia Casorati, Giovanni Iovane, Renato Minore e Francesca Pansa. Vi parteciparono alcuni tra i più importanti poeti e artisti visivi contemporanei: tra i poeti, ricordo, oltre te e Dario Bellezza, c’erano anche Milo De Angelis, Amelia Rosselli, Giuseppe Conte, Anna Cascella, Valerio Magrelli, Elio Pecora e Patrizia Valduga. Tra gli artisti visivi italiani, ricordo anche, Enzo Cucchi, Nino Longobardi e Mario Schifano. Io arrivai a Ortona invitata da un giovane poeta, Marco Tornar.

In quella occasione lessi sul programma della manifestazione intitolata ‘Lo specchio di Nausicaa’, per la prima volta, una tua poesia: ‘Crimini’. “Se gli assassini del sentimento/avessero la mira infallibile/gli amanti sorpresi patirebbero/anche nell’aldilà un/perpetuo e inconoscibile affanno;/ma essendo errato il puntamento,/i colpi destinati al cuore/deviano in fortuita traettoria/colpendo l’elevato osservatorio della testa./Lì i proiettili producono dei fori/non dissimili da piccoli oblò/attraverso cui penetra la luce,/sorella al lume della ragione:/che diffonde ponderati dubbi/e dirada i fumi della passione.”

Ecco, ad Ortona incontrai la tua poesia, dall’ironia tagliente. Tu, però, avevi già pubblicato diversi libri di poesie: Area di rigore (1974), Ricreazione (1979), Pagine di gloria, (1983) e il romanzo, Tana per tutti (1983).

E’ vero. Il nostro primo incontro è stato a quella lettura di poesie, a Ortona. Eravamo io, tu e Milo De Angelis. Lì nacque, anche, dall’antipatia che avevo per De Angelis, (eravamo antitetici e antipatici reciprocamente), un sentimento di amicizia tra me e De Angelis. Tu eri una specie di donna della poesia. Donna esaltata dalla poesia. Pensavo che tu potessi diventare una specie di vestale della mia casa.

 

Io cercavo dei poeti e allora venni a vivere a Roma che era una città bellissima. Tu mi dicevi: ‘Tieniti lontana dalla mediocrità. Stai attenta ai falsi poeti.’ Oggi finalmente posso chiederti: chi sono ‘i falsi poeti’?

Mah!. In quel caso, ero io!

 

Parliamo di “Area di rigore”, il tuo primo libro di poesie uscito nel 1974. Una voce poetica ricca di slanci di umorismo, ma anche intrisa di malinconie. Una voce non paragonabile a quella di nessun altro poeta. Tu usi l’ironia come paravento linguistico?

Uso l’ironia per esprimere parvenze di pensiero. L’ironia, infatti, modifica il pensiero e lo orienta in un certo modo. Non è una copertura. Per me l’ironia è uno strumento d’attacco, uno strumento di pensiero, perchè aiuta a pensare. L’ironia è anche modalità critica del pensiero… per irridere, per offendere qualcosa di un pensiero avverso. L’ironia è anche un modo di criticare determinati sistemi di pensiero non veri, non sinceri.

 

Nella tua opera poetica oltre all’ironia anche ‘la Romanità’ riveste un’importanza assoluta. Penso, ad esempio, a ‘Pagine di gloria’, del 1983, e alla poesia ‘Mausoleo di Augusto’ che introduce quella raccolta di versi . In quella poesia la Romanità era vista da te proprio come una ‘pagina di gloria’. Poi, nel 2000, esce ‘Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio’ e ritorna anche, a pagina 36, la poesia ‘Mausoleo di Augusto’. Una poesia però completamente diversa da quella che apriva la raccolta del 1983. Una poesia che nella nuova versione registra un cambiamento totale della tua visione di Roma. Cos’era successo?

E’ successo che avevo iniziato ad avere una visione più chiara, più nitida, di quella che è la Romanità. Oggi penso che la Romanità non appartiene a Roma. Infatti in molte mie poesie parlo di ‘deitalianizzazione della Romanità’. Deitalianizzare la Romanità significa capire che Roma non era solo a Roma. Roma era in Gallia, nei Balcani, sul Danubio, ma anche in Gran Bretagna, in Francia, in Spagna… Questo naturalmente accadeva soprattutto durante il periodo dell’Impero Romano. Gli imperatori, come sai, erano militari, giravano molto. Ecco perchè Roma stava altrove. Ed è proprio questo essere altrove la grandezza di una civiltà. Ecco perché secondo me Roma è qualcosa che travalica l’italianità. Non c’entra niente l’Italia con Roma. Roma è patrimonio di altri popoli che hanno nel loro DNA l’eredità romana. Capisco infatti i rumeni che vengono a Roma e dicono “Siamo romani”. Hanno ragione. Noi siamo romani, siamo discendenti di Roma. Questa è la grande idea, il primo modello di democrazia. Roma, quindi, è la democrazia, la democrazia imperiale. Però è anche una democrazia dove ciascuno può fare qualcosa per migliorarsi. Roma è anche la città in cui se una persona lavora può guadagnarsi la ricchezza con la propria professione. Questa è la democrazia. Ma sai… io ho scritto ‘Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio’ perchè una donna mi ha lasciato. E’ stata una ferita d’amore che mi ha reso così ‘mortalmente ferito’…

 

Era la tua donna da molti anni?

E’ stata con me un paio d’anni. Poi s’è stufata perchè non sapevo decidermi e mi ha abbandonato. E allora io sono morto. E adesso? Ho il feretro, la corona… Tutto è pronto! E non c’è la sepoltura. Non mi seppelliscono però sono morto. Eh… si muore, d’amore, sai?

 

Torniamo alla poesia. Altri due libri importanti sono stati “Gibilterra” e “Metafisica tascabile”. Che cosa puoi dire di questi due libri che hanno poi consacrato la tua scrittura?

Non posso dire niente perchè non me ne occupo…

 

E’ l’effetto dello scorrere del tempo?

Penso di sì.

 

Che effetto fa?

Nessun effetto. Si va verso la morte… Cioè questa banca del tempo che inizialmente dà un prestito senza limiti e alla fine ritira gli interessi… Ma tu volevi sapere di ‘Gibilterra’… Ho scritto un libro sulle armi. sulla tecnica. Ho scritto un libro che nessuno avrebbe scritto, che mi ha creato una situazione intorno di totale inimicizia, presa di distanza… Però non mi è importato niente. L’ho sopportato.

 

Dici questo perchè ti ha collocato questo libro, in qualche maniera?

“Si, mi ha collocato. Tutti hanno pensato che fosse un libro, e forse lo è, un libro da parte dei vinti. Ma non è un libro sull’ideologia, è un libro sulla tecnica, sugli episodi bellici. E’ un libro di poesie sulla tecnica prendendo spunto da episodi bellici. Ho scritto un libro difficile che nessuno avrebbe scritto. Ma io mi sono permesso di scriverlo.

 

E invece? ‘Metafisica tascabile’?

‘Metafisica tascabile’ è ‘un retour à l’ordre’, il ritorno all’ironia, al gioco, alla parodia. E’ un libro che scherza, che parla d’amore, che ha tantissimi motivi, anche alcuni motivi civili. Perchè per me la poesia che scrivo, non tutta però, è poesia civile. Io sono per il nucleare, contro i detersivi, contro gli shampoo, contro un’infinità di altre piccole cose. Contro i cibi, contro ‘la nouvelle cousine’, per dire, ma questo poi l’ho fatto perchè sono passato a fare il commediografo e quindi l’ho anche rappresentata. Però come poeta civile sono per il nucleare e contro i combustibili fossili. Contro il dominio delle sette sorelle, otto. Tra cui anche la nostra Eni per quel che riguarda il consumo dei combustibili fossili che secondo me sono una delle ragioni dell’inquinamento e anche contro i viaggi, per esempio. Infatti, in qualche poesia che adesso non ricordo, io dico ‘restiamo al nostro posto’, non muoviamoci più, non facciamo più viaggi, non andiamo più in crociera, non perendiamo più aeroplani perchè l’ozono, cioè i resideui dei combustibili fossili del kerosene che gli aerei rilasciano alle alte quote sono assolutamente pericolosi, mortali. Quindi questo significa anche la fine dell’aviazione civile, o perlomeno la sua ibernazione, però tutti vogliono viaggiare, vogliono spostarsi, e questo è davvero nefasto!

 

Sì. Ma perchè ‘Metafisica tascabile’?

‘Metafisica tascabile’ è il titolo di una sezione. Maurizio Cucchi disse: ‘Guarda, questo è il titolo del libro’. Io avevo intitolato una sezione così, e trovai che aveva avuto una bellissima idea.

 

Perché dicono che tu sei un poeta di destra?

“Io sostanzialmente sono un qualunquista. Mi rifaccio, cioè, a Guglielmo Giannini, a quel parlamentare degli anni Cinquanta il quale dice:’Siamo usciti disfatti, sconfitti dalla Seconda guerra mondiale… abbiamo perso tutto, siamo dei poveracci, pensiamo solo ai fatti nostri. Non ce ne frega niente di quello che succede fuori’. Quindi: pensiamo ai fatti nostri. Niente più. Possibilmente niente politica, il meno possibile. Non voglio seguire, non voglio sapere di quel che succede in Africa, in America Latina… Non me ne frega assolutamente niente. Io sono così.

 

Perché?

Per odio. Per odio verso tutto. Se questo può essere di destra, io sono di destra. Però non voglio che la gente di questo paese perda il proprio tempo a seguire quello che accade altrove . Ciascuno si occupi dei fatti propri.

 

Ciascun Paese? Vuoi dire questo?

Si, ciascun Paese. E si collabora per quello che è il reciproco interesse.

 

Perché questa chiusura così profonda?

Così, non lo so da dove mi viene, ma è così. Quindi, via questa patina di buonismo, di solidarietà finta. C’è gente che non darebbe neanche un centesimo della propria ricchezza. Ma delega allo Stato, alle Associazioni…

 

Torniamo alla tua poesia. ‘Neomarziale’ esce nel 2006 con Mondadori. Ed è il tuo ultimo libro di poesie. Qui abbiamo uno Zeichen che si paragona a Marziale e ad un certo punto parla dei ‘neoromani’. Chi sono i ‘neoromani’?

I neoromani sono persone che vengono da fuori, da altrove e sono le persone più degne di stare a Roma. I neoromani hanno una visione, un amore, un’attenzione, anche una sorta di sentimento, di languore, verso la città, di patimento, di compassione, anche per tutto ciò che evidentemente viene fatto alla Bellezza di questa città, che poi spesso sono le rovine. Io ho un profondo rispetto per i neoromani che amano Roma. Dai Goethe, ai James, ai preraffaelliti, a tutti i pittori, a tutti quelli che sono passati per Roma e che sono venuti a Roma con devozione, con un amore reverenziale. Noi siamo tutti stranieri a Roma perchè Roma è stata fatta dagli stranieri. Sono gli stranieri che fanno Roma e che l’hanno fatta. Quelli che venivano da altre, lontane civiltà che hanno servito Roma. Quindi Roma non è dei romani, ma di coloro che l’hanno servita, che l’hanno capita. Roma storicamente è qualcosa che appartiene al patrimonio mondiale.

 

Tu con la tua famiglia arrivaste a Roma da Fiume. Come ricordi quella pagina della tua vita?

Io avevo 7 anni. E’ una pagina drammatica. Era la guerra, la fine della guerra quindi grandi sconvolgimenti… fame, fame, soprattutto fame, tanta fame. Infatti io mangio poco perchè sono abituato alla fame. Ho perso mia madre quando avevo 8 anni e questo ha pesato in qualche modo nell’economia della mia vita. Mio padre era un giardiniere tecnico. Inizialmente da Fiume ci spostammo a Salsomaggiore perché c’erano terme e giardini. Ma c’erano troppi comunisti, quindi ci spostammo a Parma, ma anche lì era impossibile per lui lavorare, ci dicevano che eravamo fascisti. E allora siamo venuti a Roma.

 

… tu che cammini con i sandali del francescano…

Non sonosandali da francescano, prego. Sono sandali con plantare incorporato. Sandali svizzeri… marca Balì.

 

Abiti sempre sulla via Flaminia, in quella che un tempo definivi “una baracca”?

Beh, grossomodo lo è, anche se ora l’ho un po’ ingrandita.

 

Ma tu ci sei stata, no?

Si, molti anni fa.

 

E’ la tua casa?

Non è la mia casa! Mi possono mandare via da lì, giustamente, quando vogliono…

 

Ma lo dicevi anche più di 20 anni fa…

(Zeichen ride)

 

Non ti mandano via perchè quella è la tua casa! Non la consideri la tua casa?

No.

 

C’è un motivo particolare?

Non lo è oggettivamente.

 

Sei un uomo felice?

Io? Come sono d’aspetto?

 

A me sembri una persona che ha combattuto tutta la vita e che poi ha trovato un proprio equilibrio…

Si… è il minimo…

 

Alla fine…

Certo… si, combattere… quello sempre…

 

… hai sposato una cosa sola: la poesia

Non soltanto quella! Ho sposato la mondanità per esempio. Un periodo di mondanità. Tanti pranzi, cene… Sennò di che cosa si scrive? Io scrivo delle persone che ho conosciuto, dei posti in cui sono stato invitato, delle conversazioni. La conversazione è importante. Una società che conversa è una società evoluta.

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  • E’ particolare vedere come l’uomo si maschera da poeta quando legge poesia, e si maschera da uomo quando parla di se stesso.

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