
|
Storia dei minuti
Marco Giovenale
2010, 40 p., brossura
Transeuropa (collana Inaudita)
|
di Viola Amarelli
Con Storia dei minuti (Transeuropa, 2010 nella collana Inaudita con allegato un cd di Claudio Lolli) Marco Giovenale conferma una ricerca poetica già delineata in Criterio dei vetri e La casa esposta, ricerca centrata sull’irrapresentabilità del mondo (Dall’altra parte del fotogramma/il tempo continua in linea retta) e sulla presenza tuttavia ineliminabile delle facoltà percettive o, meglio, dell’immagine (l’errore è nello sguardo). E’ un nodo teoretico – dualistico e, forse, gordiano –affrontato con il rigore formale e l’apparente acribia che costituiscono la cifra della scrittura di Giovenale che del resto proprio qui offre una sequenza che sembra rivestire una valenza di dichiarazione di poetica: …Esattezza, poi/testarda, senza oggetti/nei colori solo millimetrati:/i detriti, il tetro/puro dei dati”.
Il sottotitolo del libro – “casa.clinica” – marca i luoghi svuotati, già presenti in precedenti opere, dove si svolge un processo di riproduzione antropologica del non esserci con modalità tonali che figurativamente trapassano dai quadri attoniti di Hopper al nero puro di Rothko. E se la contemporaneità storica riduce la valenza umana a merce, scarto, detrito, appunto, lo scacco tra osservato e osservatore rinvia a una costante quasi genetica e insondabile, l’enigma molto spesso richiamato nei lavori teorici dell’autore. Resta peraltro in questo impianto a metà tra la fenomenologia e le prime analisi wittgensteiniane, la tensione alla luce illuminata-il latte/interno congiunta a un’elegia civile calibratissima. La storia dei minuti – sorta di ossimoro che rinvia all’inanità dell’individuo di fronte al puntiforme del reale – è anche la storia minuta, quella che vive la maggioranza degli uomini per la quale, di sbieco ma certo e chiaro parteggia l’autore, a fronte dei fàmuli di Rotschild.
L’approfondita rielaborazione di tematiche novecentesche si rivela anche sul versante tecnico dei testi. La riduzione della sintassi a un grado minimale è evidente nelle strofe che funzionano come fotogrammi paratattici, stringhe binarie che scorrono in parallelo; il ritmo, pressoché perfetto, della poesia di Giovenale è affidato soprattutto all’interpunzione che funge da cesura e da cadenza, con movimenti di ralenti o di accelerazione estremamente curati come l’utilizzo del lessico che interpola in un linguaggio piano lemmi desueti o specialistici (rasura, crenature, anamorfosi). Siamo di fronte a un lavoro di montaggio di materiali che tende a depotenziare nel contempo enfasi e soggetto, progettando volutamente una strategia di improvviso straniamento o di implosione del discorso, con risultati di notevole efficacia anche se spesso assertivi. E’ un lavoro pienamente coerente con le scelte di poetica concettuale dell’autore, volte ad esorcizzare l’insignificanza del flusso ingrandendolo nei dettagli sino ai limiti del raggelamento. E tuttavia è una scelta che conserva irrisolta l’aporia iniziale: l’enigma che derivava dal dubbio sull’equivalenza parmenidea tra pensiero ed essere viene indagato col solo strumentario concettuale della *ratio*, rinunciando ad esplorare percorsi che fuoriescano da parametri di logica formale. Così, nella poesia allegorica che conclude la plaquette, l’impermanenza della guida dotta che *spiega* il quadro di cui ella stessa sembra essere parte (E’ la Contemplazione, che si nega) lascia come scia una figlia, una ragazza albina e condannata/a ridere/rapida. (Chiaro, dimentica), un’insensatezza mero rovescio della madre, che è poi il *dramma* su cui si fonda la scrittura di Giovenale:
Uno può essere visitatore
o visitato, fuori i montatori
chiodano a doppio
i cartoni della scena.
da Storia dei minuti
Dall’altra parte del fotogramma
il tempo continua in linea retta.
L’acqua – a sciame contro l’alluminio
giù dal doppio tetto capovolto è dentro
il fosso che la spezza e la preserva.
La durata dell’enigma è gli anni
necessari a rinunciare – con ragione.
Il ratto è nero. Corre in cerchio, accanto.
E’ la natura della versione. Il paesaggio
fa storia stesura, all’indietro,
all’inverso, pagina-vetro.
E’ una: varietà della scrittura.
Di questa. Rasura.
*******
L’ultima colonna in fondo
nel quadro- svela: una piccola
riga di donna che (spòrta
nel bordo buio una elle di fiaccola)
illumina l’uscita per lo sguardo.
E’ la Contemplazione, che si nega,
dice la guida dotta, che è identica
a chi vede, perché passa – ma diversa
perché è persuasa e spiega.
Rimasta indietro, sua figlia non si è persa.
E’ albina e condannata a ridere
rapida. (Chiaro, dimentica).
Marco Giovenale: ‘Storia dei minuti’ – una nota di Viola Amarelli
Storia dei minuti
Marco Giovenale
2010, 40 p., brossura
Transeuropa (collana Inaudita)
di Viola Amarelli
Con Storia dei minuti (Transeuropa, 2010 nella collana Inaudita con allegato un cd di Claudio Lolli) Marco Giovenale conferma una ricerca poetica già delineata in Criterio dei vetri e La casa esposta, ricerca centrata sull’irrapresentabilità del mondo (Dall’altra parte del fotogramma/il tempo continua in linea retta) e sulla presenza tuttavia ineliminabile delle facoltà percettive o, meglio, dell’immagine (l’errore è nello sguardo). E’ un nodo teoretico – dualistico e, forse, gordiano –affrontato con il rigore formale e l’apparente acribia che costituiscono la cifra della scrittura di Giovenale che del resto proprio qui offre una sequenza che sembra rivestire una valenza di dichiarazione di poetica: …Esattezza, poi/testarda, senza oggetti/nei colori solo millimetrati:/i detriti, il tetro/puro dei dati”.
Il sottotitolo del libro – “casa.clinica” – marca i luoghi svuotati, già presenti in precedenti opere, dove si svolge un processo di riproduzione antropologica del non esserci con modalità tonali che figurativamente trapassano dai quadri attoniti di Hopper al nero puro di Rothko. E se la contemporaneità storica riduce la valenza umana a merce, scarto, detrito, appunto, lo scacco tra osservato e osservatore rinvia a una costante quasi genetica e insondabile, l’enigma molto spesso richiamato nei lavori teorici dell’autore. Resta peraltro in questo impianto a metà tra la fenomenologia e le prime analisi wittgensteiniane, la tensione alla luce illuminata-il latte/interno congiunta a un’elegia civile calibratissima. La storia dei minuti – sorta di ossimoro che rinvia all’inanità dell’individuo di fronte al puntiforme del reale – è anche la storia minuta, quella che vive la maggioranza degli uomini per la quale, di sbieco ma certo e chiaro parteggia l’autore, a fronte dei fàmuli di Rotschild.
L’approfondita rielaborazione di tematiche novecentesche si rivela anche sul versante tecnico dei testi. La riduzione della sintassi a un grado minimale è evidente nelle strofe che funzionano come fotogrammi paratattici, stringhe binarie che scorrono in parallelo; il ritmo, pressoché perfetto, della poesia di Giovenale è affidato soprattutto all’interpunzione che funge da cesura e da cadenza, con movimenti di ralenti o di accelerazione estremamente curati come l’utilizzo del lessico che interpola in un linguaggio piano lemmi desueti o specialistici (rasura, crenature, anamorfosi). Siamo di fronte a un lavoro di montaggio di materiali che tende a depotenziare nel contempo enfasi e soggetto, progettando volutamente una strategia di improvviso straniamento o di implosione del discorso, con risultati di notevole efficacia anche se spesso assertivi. E’ un lavoro pienamente coerente con le scelte di poetica concettuale dell’autore, volte ad esorcizzare l’insignificanza del flusso ingrandendolo nei dettagli sino ai limiti del raggelamento. E tuttavia è una scelta che conserva irrisolta l’aporia iniziale: l’enigma che derivava dal dubbio sull’equivalenza parmenidea tra pensiero ed essere viene indagato col solo strumentario concettuale della *ratio*, rinunciando ad esplorare percorsi che fuoriescano da parametri di logica formale. Così, nella poesia allegorica che conclude la plaquette, l’impermanenza della guida dotta che *spiega* il quadro di cui ella stessa sembra essere parte (E’ la Contemplazione, che si nega) lascia come scia una figlia, una ragazza albina e condannata/a ridere/rapida. (Chiaro, dimentica), un’insensatezza mero rovescio della madre, che è poi il *dramma* su cui si fonda la scrittura di Giovenale:
Uno può essere visitatore
o visitato, fuori i montatori
chiodano a doppio
i cartoni della scena.
da Storia dei minuti
Dall’altra parte del fotogramma
il tempo continua in linea retta.
L’acqua – a sciame contro l’alluminio
giù dal doppio tetto capovolto è dentro
il fosso che la spezza e la preserva.
La durata dell’enigma è gli anni
necessari a rinunciare – con ragione.
Il ratto è nero. Corre in cerchio, accanto.
E’ la natura della versione. Il paesaggio
fa storia stesura, all’indietro,
all’inverso, pagina-vetro.
E’ una: varietà della scrittura.
Di questa. Rasura.
*******
L’ultima colonna in fondo
nel quadro- svela: una piccola
riga di donna che (spòrta
nel bordo buio una elle di fiaccola)
illumina l’uscita per lo sguardo.
E’ la Contemplazione, che si nega,
dice la guida dotta, che è identica
a chi vede, perché passa – ma diversa
perché è persuasa e spiega.
Rimasta indietro, sua figlia non si è persa.
E’ albina e condannata a ridere
rapida. (Chiaro, dimentica).
Condividi su:
Mi piace:
Quali parole ci salveranno
You may also like
Eugenio De Signoribus: ‘Ronda dei Conversi’
Link Case Editrici
Opera Prima 2017 – Marco Mioli